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Mean Streets

1973

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Un immenso omaggio di Martin Scorsese al posto in cui è cresciuto e che ha foraggiato il suo estro artistico: Little Italy a New York. Non è un mero fondale, ma un'entità viva, pulsante, quasi un personaggio muto che plasma i destini dei suoi abitanti. Questo microcosmo è un crogiolo di fede e peccato, di lealtà tribale e tradimento insidioso, un territorio dove le tradizioni ancestrali dei genitori immigrati si scontrano con l'anarchia modernista e la violenza latente della nuova generazione. Qui, Scorsese non solo omaggia la sua genesi personale e cinematografica, ma disseziona con un bisturi affilato le dinamiche di una comunità italo-americana perennemente in bilico tra il desiderio di assimilazione e l'ostinata adesione a radici spesso degenerate, prefigurando le esplorazioni socio-culturali che animeranno opere successive come Quei bravi ragazzi o persino il più epico The Irishman.

La storia è quella di una scalcagnata banda di balordi che si aggira per le strade del quartiere italiano in cerca di piccoli loschi affari. Ma al di là della superficie della microcriminalità, Scorsese scava nelle profondità psicologiche di questi uomini, interrogandosi sui meccanismi che governano le loro anime tormentate. Li guida Johnny Boy (Robert De Niro), diviso tra l’amore per la cugina Teresa e le ambizioni mafiose incoraggiate da uno zio, boss di quartiere. Johnny Boy è un funambolo sull'orlo del baratro, un incauto Icaro che non teme di bruciarsi al sole, incarnando l'irresponsabilità nichilista e una fascinazione quasi fatale per l'autodistruzione. E poi c'è Charlie (Harvey Keitel), il suo tormentato guardiano, un moderno Sisyphus che si sforza disperatamente di redimere l'irredimibile, la cui anima è lacerata tra la devozione cattolica – una fede sincera e tormentata, intrisa di senso di colpa e ricerca di penitenza – e la brutalità ineluttabile delle strade. La loro è una danza macabra di amore fraterno e soffocante dipendenza, un legame indissolubile che trascende la semplice amicizia, tingendosi delle sfumature di un’ossessione religiosa, quasi una missione cristologica mancata. È il tema della redenzione attraverso l'altro, un leitmotiv che Scorsese avrebbe poi ripreso, a volte in modo più sublimato, a volte in modo più esplicito, in tutta la sua filmografia, da Taxi Driver a L'ultima tentazione di Cristo.

Le strade di Little Italy si popolano di personaggi grotteschi, di risse pantagrueliche, di confronti rusticani, il tutto ripreso da una macchina da presa che non è mai un osservatore passivo. L'occhio di Scorsese è febbrile, instancabile, pulsante al ritmo dei suoi personaggi e della città. Con un montaggio frenetico, quasi jazzistico, e una colonna sonora che è essa stessa un personaggio – un caleidoscopio di rock 'n' roll dell'epoca, opera italiana e blues – il regista cattura la nevrosi, l'urgenza, la vitalità grezza e a tratti disperata di Little Italy. Questo approccio visceralmente immersivo, che si allontana dalle convenzioni narrative più lineari dell'epoca, deve molto alla Nouvelle Vague francese per la sua energia e il suo realismo di strada, ma Scorsese lo traduce in un linguaggio squisitamente americano, intriso di pulp e sacro. La sua capacità di mescolare il realismo sporco della strada con slanci quasi operistici e spirituali rende Mean Streets un'esperienza sensoriale totalizzante, un vero e proprio manifesto stilistico. E dietro a tutto questo si intravede, sì, l’eterno amore di Scorsese per la sua gente, per le sue strade, per la sua casa natale, ma un amore che non lesina critiche né mostra reticenze nel svelare il lato oscuro e spesso brutale di quel microcosmo.

Tante le scene memorabili: la rissa nella sala da biliardo, per esempio, non è solo violenza gratuita; è un’esplosione catartica di frustrazione e machismo, girata con un’energia quasi documentaristica, con la macchina da presa che si getta nel caos, proiettando lo spettatore direttamente nel cuore del conflitto, rendendolo complice e vittima allo stesso tempo. E poi c'è il monologo di Charlie in chiesa, davanti ad una statua della deposizione del Cristo che viene rivelata lentamente, con un delicato rollio dell’inquadratura. Questo è un vertice di cinema interiore: la statua del Cristo, inondata da una luce quasi mistica, diventa lo specchio dell'anima tribolata di Charlie, la sua personale icona di sofferenza e redenzione. Quel delicato rollio non è un semplice movimento di macchina, ma un viaggio intimo nella psiche del personaggio, un'interrogazione silenziosa al divino che si scontra frontalmente con l'inesorabile richiamo del peccato e della strada. È qui che la fede di Charlie si misura non con la devozione astratta o le pratiche esteriori, ma con la dura e spesso impietosa realtà di un ambiente che non perdona e che lo spinge costantemente al limite della sua moralità.

Ma forse la scena che rimane più vivida nella memoria, e che racchiude in sé l'essenza stessa di questo legame indissolubile e dannato, è quella dell’incontro tra Johnny Boy (De Niro) e Charlie (Harvey Keitel). Il locale è completamente avvolto da una luce vermiglia che dona all’azione una sorta di atmosfera soffocante, quasi infernale. Quella tonalità cromatica non è affatto casuale: è il colore della passione e del pericolo, della tentazione e della dannazione che pervade le loro vite e l'intero universo diegetico, un presagio cromatico. Charlie vede entrare nel locale Johnny Boy mentre si sistema i calzoni, con un gesto di volgare ostentazione, accompagnato da due ragazze che tiene abbracciate come due trofei, simboli di un successo superficiale e di una mascolinità esibita che nasconde profonda insicurezza. Charlie rimane come folgorato dalla visione – ma forse più per l'aura di autodistruzione e l'inquietante carisma che per un semplice stupore – e non gli si avvicina, lo guarda da lontano, quasi turbato. Questo sguardo a distanza non è indifferenza, ma un abisso di comprensione e angoscia. È la consapevolezza di una condanna implicita nel loro legame, un presagio di inevitabile tragedia che aleggia come una spada di Damocle sulle loro teste.

Una scena che denota la precoce maestria di Scorsese nel rendere l’importanza dei legami di amicizia nelle sue storie, un amore fraterno che crea legami indissolubili e grandi vincoli umani su cui imperniare la narrazione, ma che qui si manifesta in una vera e propria simbiosi tossica. Il rapporto tra questi due personaggi non è solo amicizia, ma una dipendenza reciproca che si nutre del bisogno di completarsi e al contempo di autodistruggersi. Scorsese ne fa il cuore pulsante del film, elevando il piccolo malaffare di strada a dramma morale universale, anticipando le complesse dinamiche di dipendenza affettiva e criminale che esplorerà con maestria in Casinò o ne The Departed.

Un’opera da cui non si può prescindere per penetrare a pieno nella poetica di Scorsese delle opere a venire. Mean Streets non è soltanto un film, è un crocevia. È il punto in cui la Hollywood degli anni '70 – la cosiddetta New Hollywood, con la sua ricerca di autenticità, la sua rottura con le convenzioni e il suo sguardo più cupo e introspettivo sulla società americana – trova una delle sue voci più originali e potenti. Questa pellicola ha ridefinito il genere gangster, spogliandolo della sua aura romantica per mostrare la sordida realtà della vita di strada, la piccola criminalità intrisa di paure, nevrosi e una religiosità spesso deviata e incompresa. Ha aperto la strada a un tipo di cinema più psicologico, più crudo, e ha cementato la partnership creativa tra Scorsese e De Niro, una delle più iconiche della storia del cinema, che avrebbe segnato un'epoca con la sua intensità e il suo realismo. Le sue tematiche – la colpa cattolica, l'ossessione per la redenzione (spesso mancata), il fatalismo, il codice d'onore distorto, la virilità tossica – sono diventate i marchi di fabbrica di un regista che non ha mai smesso di interrogarsi sull'anima americana, e in particolare sulla sua complessa incarnazione italo-americana, con un'onestà brutale e una profondità psicologica ineguagliate. È un capolavoro di energia e verità, un pugno nello stomaco e un'anima a nudo.

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