Memento
2000
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Regista
Un’opera che gioca sul registro della memoria e sulle implicazioni che i nostri ricordi hanno nel processo cognitivo della realtà. Fin dai tempi della filosofia antica, il concetto di identità personale è stato indissolubilmente legato alla capacità di ricordare: si è chi si è, in larga parte, in virtù di ciò che si è vissuto e conservato nella propria coscienza. Memento non solo esplora questo legame, ma lo frantuma, costringendo lo spettatore a confrontarsi con l'inquietante ipotesi di un'esistenza priva di continuità narrativa personale.
La mente è l’elemento di interconnessione tra il processo euristico della realtà e l’esperienza, Jonathan Nolan (il fratello del regista Christopher) costruisce una storia intorno a questo trait d’union spezzato, partendo da una semplice domanda: cosa succederebbe se un uomo non potesse più disporre della propria memoria a breve termine e la sua memoria si resettasse ogni quindici minuti? Christopher Nolan plasma la sua risposta in forma cinematografica adattando narrazione e montaggio in maniera audace, quasi provocatoria, elevando il cosiddetto "gimmick" narrativo a espediente filosofico. Lungi dall'essere un mero virtuosismo stilistico, la struttura temporale frammentata del film è il veicolo attraverso cui il regista ci proietta nel tormentato mondo interiore di Leonard Shelby, facendoci vivere lo stesso senso di straziante spaesamento e di incessante ricerca di un ancoraggio alla realtà. È un esperimento di empatia forzata, dove la vulnerabilità del protagonista diventa la nostra.
La storia, così come la memoria di Leonard, ha uno svolgimento non lineare con l’alternarsi di spezzoni di quindici minuti senza consequenzialità cronologica, una scelta stilistica che si rivelerà la cifra distintiva di Nolan. Ma la non linearità di Memento non è la semplice riorganizzazione di eventi che abbiamo ammirato in capolavori come Pulp Fiction o Rashomon. Qui, la narrazione procede a ritroso, un decollo rovesciato che disorienta ma, allo stesso tempo, rende lo spettatore un investigatore attivo, costretto a ricostruire la verità nello stesso modo in cui Leonard tenta di farlo. Il film è ingegnosamente diviso in due linee temporali che si intersecano: le sequenze a colori avanzano a ritroso nel tempo, mostrandoci gli eventi finali prima di quelli che li precedono, mentre le sequenze in bianco e nero procedono in avanti, raccontando il passato remoto di Leonard e di Sammy Jankis, la figura tragica che funge da monito.
Leonard è un ex investigatore di una compagnia di assicurazione a cui è stata assassinata la moglie – un archetipo narrativo che Nolan decostruisce con acume. L’assassino è anche colui che colpendolo alla testa ha causato l’insorgere di amnesia anterograda, ovvero la perdita di memoria a breve termine. Questo dettaglio, apparentemente un mero meccanismo di trama, trasforma Leonard in un detective noir in cui l'investigatore è la variabile più inaffidabile dell'equazione, un eroe tragico la cui indagine è un Sisifo moderno. Per ricordarsi, Leonard scrive dovunque: su post-it, su foglietti, e in modo più indelebile sul proprio corpo per mezzo di tatuaggi, trasformando la sua pelle in una mappa dolorosa e paradossalmente mutevole del suo scopo. Ogni indizio è un fragile appiglio nel mare dell'oblio, e la verità stessa diventa una costruzione effimera, suscettibile di reinvenzione a ogni nuovo "reset".
La storia inizia dall’uccisione da parte di Leonard di Teddy, un suo sedicente amico, e tutta l’opera è incentrata su come Leonard sia arrivato alla conclusione che Teddy è l’assassino che stava cercando. Questa sequenza iniziale, mostrata a colori ma con una desaturazione quasi monocromatica, stabilisce immediatamente il tono di ambiguità morale e incertezza cognitiva che permea l'intero film. È un anello di Moebius affascinante, un loop di flashback che stravolge la scansione cronologica procedendo al contrario e dando un senso – o forse un'illusione di senso – ad avvenimenti già avvenuti. La brillantezza di questa struttura risiede nel suo essere non solo un espediente stilistico, ma il cuore pulsante del dramma di Leonard: l'impossibilità di distinguere la verità dalla convenzione, la giustizia dalla vendetta ciclica. Nolan, in questo, sembra fare l'occhiolino alla tradizione letteraria di autori come Jorge Luis Borges, dove il labirinto e la natura illusoria della realtà sono temi centrali.
Si prova un senso di rabbia e impotenza nel guardare questo film, ed è esattamente il tipo di reazione che vuol farci provare Nolan affinchè l’identificazione con il suo Leonard sia completa. Un'operazione di immersione psicologica che trascende la semplice narrazione, trasformando lo spettatore in co-cospiratore e vittima dell'amnesia. Memento è stata l'opera che ha rivelato al mondo il talento cristallino di Christopher Nolan, segnando un punto di svolta non solo per il regista ma per l'intero panorama del cinema indipendente. Prodotto con un budget irrisorio rispetto alla sua ambizione, ha dimostrato come la vera innovazione risieda nella struttura e nella concezione, non solo negli effetti speciali. È istantaneamente diventato un piccolo grande cult, un riferimento imprescindibile per chiunque voglia comprendere l'evoluzione del thriller psicologico moderno. Una storia assolutamente dirompente, con una regia attenta a contrarre il tempo capovolto e a fissarlo in un affresco componibile come un puzzle in divenire, le cui tessere vengono svelate in un ordine volutamente disarmonico per massimizzare l'impatto emotivo e intellettuale. Qui si possono già intravedere i semi di quella ossessione per la temporalità e per le architetture narrative complesse che avrebbero definito la successiva filmografia di Nolan, da Inception a Interstellar, fino a Tenet.
La realtà esiste solo in quanto rappresentazione mentale dentro ciascuno di noi, un'idea che risuona con il solipsismo filosofico, ma che in Memento viene portata all'estremo: questa rappresentazione si formatta ogni quindici minuti, lasciando Leonard in un limbo esistenziale. Le disperate parole di Leonard che chiudono il film non sono solo un monologo di un uomo alla deriva, ma un manifesto sulla condizione umana e sul bisogno intrinseco di narrazione e di scopo. “Devo credere in un mondo fuori dalla mia mente, devo convincermi che le mie azioni hanno ancora un senso, anche se non riesco a ricordarle. Devo convincermi che, anche se chiudo gli occhi, il mondo continua ad esserci… Allora sono convinto o no che il mondo continua ad esserci? C’è ancora? … Sì. Tutti abbiamo bisogno di ricordi che ci rammentino chi siamo, io non sono diverso… Allora, a che punto ero?” Questo epilogo amarissimo non offre catarsi, ma una vertigine. Mostra come l'identità non sia un dato immutabile, ma una costruzione quotidiana, un atto di fede continuo nella coerenza della propria storia. Leonard, incapace di ricordare, è condannato a inventare un senso, a perpetuare un ciclo di vendetta che è forse l'unico modo per dare un contenuto alla sua esistenza frammentata. Il film ci interroga sulla natura stessa della memoria come strumento non di verità oggettiva, ma di costruzione soggettiva della realtà e, in ultima analisi, della nostra stessa persona. È un capolavoro che continua a risuonare, invitandoci a riflettere su cosa significhi davvero "ricordare" e, di conseguenza, "esistere".
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