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Mister Smith va a Washington

1939

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Un film dalla duplice valenza, quasi ossimorica nella sua intrinseca armonia, questo di Frank Capra: valenza politica, con il tentativo audace di scardinare non solo la patina demagogica del sogno americano ma di interrogare la sua stessa sostanza morale attraverso la denuncia pungente di un sistema politico infetto e corrotto, un meccanismo ben oliato di interessi e compromessi che minaccia le fondamenta democratiche; valenza sociale, con la fotografia incisiva di una perversa metropoli fatta di scalatori sociali, di opportunisti e di lobbisti dove il cinismo più bieco regna sovrano, erodendo ogni ideale, contrapposta con struggente lirismo all’ingenuità incontaminata, al candore quasi evangelico e alla dirittura morale incrollabile di chi proviene dalla lontana provincia, emblema di un'America più pura e autentica, forse idealizzata ma non per questo meno potente nella sua risonanza.

James Stewart, nel ruolo di Jefferson Smith, offre un'interpretazione memorabile che non si limita a incarnare un ideale, ma lo vivifica con una complessità psicologica sorprendente. Il suo Smith è un archetipo, certo, ma anche un uomo in carne e ossa, capace di passare da un entusiasmo debordante a una disillusione lacerante, per poi risorgere con una tenacia quasi sovrumana. La sua recitazione, fatta di tic nervosi, di balbuzie incerte e di uno sguardo al tempo stesso ingenuo e penetrante, dona al personaggio una credibilità e un'umanità che trascendono la mera rappresentazione, cementando la figura dell'eroe riluttante, profondamente americano, destinato a diventare uno dei marchi di fabbrica della sua carriera e un punto di riferimento nell'immaginario collettivo.

Jefferson Smith, un giovane e idealista capo dei Boy Scout, figura emblematica di un'America di valori semplici e puri, viene catapultato nella Capitale per sostituire un senatore defunto. Inizialmente entusiasta di servire il suo paese con la stessa devozione con cui ha guidato i suoi giovani allievi, Smith si reca a Washington con la mente colma di speranze e il cuore pulsante di buoni propositi, convinto che la politica sia l'arena più nobile per il bene comune. Ma la sua epifania è brutale: ben presto si scontra con la realtà cinica e corrotta del Senato, un crogiolo di interessi occulti dove la retorica democratica maschera una fitta rete di intrighi, e dove i politici, guidati dal carismatico ma subdolo senatore Taylor (un memorabile Claude Rains, capace di conferire al suo personaggio una profondità ambigua e un conflitto interiore che lo eleva al di là del mero cattivo), sono più interessati ai propri affari personali e alla perpetuazione del proprio potere che al benessere dei cittadini. Smith, con la sua ingenuità disarmante e la sua adamantina onestà, diviene una pedina facile da manipolare, sfruttato e ingannato da Taylor, che lo coinvolge in un losco affare di speculazione edilizia per la costruzione di una diga. Quando l'innocenza di Smith si scontra con la torbida verità e la sua coscienza lo spinge a opporsi strenuamente al progetto di legge corrotto, egli diventa, inevitabilmente, vittima di una spietata campagna diffamatoria orchestrata con cinica maestria da Taylor e dai suoi fedeli alleati. Isolato, ridicolizzato e delegittimato agli occhi dell'opinione pubblica e dei suoi stessi colleghi, Smith sembra destinato all'inevitabile sconfitta, un Davide solitario contro un Golia tentacolare.

Ma la speranza, come un fiore che sboccia nel deserto morale, rinasce grazie all'aiuto inaspettato della sua cinica ma dal cuore d'oro segretaria, Clarissa Saunders (una vibrante Jean Arthur, il cui arco narrativo è cruciale quanto quello di Smith), e di un manipolo di giovani giornalisti ancora in grado di distinguere la verità dalla menzogna. Smith, temprato dalle avversità ma non piegato, decide di resistere fino all'ultimo respiro e di lottare per la verità con l'unica arma che gli è rimasta: la parola. Intraprende così un monumentale atto di ostruzionismo in Senato, un'impresa epica e straziante in cui, parlando senza sosta per ore e ore, sotto lo sguardo delle telecamere e la pressione di una stampa ostile, tenta di risvegliare le coscienze sopite e di svelare la corruzione. È una scena di rara potenza emotiva e drammatica, un tour de force recitativo che mostra la straordinaria resistenza fisica e morale del personaggio, fino a quando, stremato dalla fatica ma non nello spirito, crolla a terra, simbolo vivente di una lotta titanica. Ma la sua battaglia non è stata vana: la sua integrità inossidabile e la sua indomita volontà di verità smuovono le fondamenta del sistema. Il senatore Taylor, un uomo non privo di complessità, tormentato dal rimorso e dalla consapevolezza del baratro morale in cui è caduto, confessa le sue colpe e si dimette, non prima di aver tentato il suicidio in un gesto estremo di redenzione. Smith, accolto come un eroe dalla nazione e lavato da ogni infamia, ha dimostrato con la sua solitaria, disperata resistenza che anche un uomo solo, armato di ideali e di una volontà ferrea, può fare la differenza, può incrinare il monolite del potere corrotto e riaccendere la fiamma della democrazia.

Mr. Smith va a Washington non è solo un film; è un monumento cinematografico che ha avuto un impatto indelebile sulla cultura americana e un ruolo cardine nella storia del cinema. Realizzato nel cruciale 1939, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, in un'epoca di crescenti tensioni internazionali e di minaccia tangibile da parte dei totalitarismi (nazismo, fascismo, stalinismo) che promettevano ordine a spese della libertà, il film si erge come un'appassionata e vibrante difesa della democrazia, un inno alla resilienza dello spirito americano e un monito contro i pericoli sempre in agguato dell'autoritarismo e della corruzione morale. La sua ricezione fu controversa: pur amato dal pubblico, irritò non poco l'establishment politico di Washington, che lo accusò di disfattismo e di denigrare le istituzioni, non cogliendo, o forse rifiutandosi di cogliere, la sua profonda matrice patriottica e riformista.

Capra, con la sua regia limpida, accessibile eppure profondamente coinvolgente, dimostra ancora una volta il suo genio nel creare un perfetto equilibrio tra commedia, dramma e pathos, un marchio di fabbrica del suo cinema, spesso definito "Capra-esque" o, con certa superficialità, "Capra-corn". Ma dietro l'apparente ottimismo si cela sempre una critica sociale acuta. Attraverso primi piani che scavano nell'anima dei personaggi, dialoghi incisivi e situazioni emblematiche che fungono da potenti metafore, il regista svela con maestria le contraddizioni e le fragilità intrinseche dell'animo umano, mostrando come anche gli uomini più potenti e apparentemente integri possano essere sedotti e corrotti dal miraggio del potere. La sua messa in scena è un'orchestra sapiente di luci e ombre, di spazi claustrofobici e architetture imponenti (la maestosità del Senato che sovrasta l'individuo), di ritmi incalzanti e momenti di quieta riflessione.

Un’opera mirabile non solo nella sua narrazione fluida ma soprattutto nella caratterizzazione a tutto tondo di ciascun personaggio, dal più piccolo al più grande. Lo sguardo ipertrofico di Capra funziona come un microscopio implacabile, mettendo a nudo personalità complesse e tratti psicologici sfaccettati, svelando le motivazioni più recondite dietro le azioni. Il suo grande lascito, che lo connette intrinsecamente ad altri suoi capolavori come Mr. Deeds Goes to Town e It's a Wonderful Life, è un film che celebra con fervore la forza indomita della coscienza individuale, la potenza catartica della verità e l'ineludibile necessità della partecipazione attiva dei cittadini alla vita politica, in un'epoca in cui tale engagement è forse più che mai cruciale. Mr. Smith va a Washington non è solo un classico senza tempo; è un punto di riferimento etico e artistico per tutti coloro che credono, ostinatamente e con ragione, nel potere trasformativo del cinema di ispirare, di interrogare e, in ultima analisi, di cambiare il mondo, ricordandoci che la democrazia è un bene fragile, da difendere con la stessa tenacia del senatore Smith.

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