Non è un paese per vecchi
2007
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Registi
Una calda voce consumata dal tempo introduce lo spettatore al film: è un vecchio sceriffo di provincia che parla, le sue parole sono innervate ai luoghi dove ha sempre vissuto, hanno il sapore della polvere e delle distanze sconfinate. Un uomo che ha sempre lottato per preservare il luogo dal quale proviene, posti del profondo Sud dell’America dimenticati di Dio e dagli uomini. Il suo monologo è malinconico e guarda con nostalgia ai tempi in cui gli sceriffi non dovevano portare la pistola per svolgere il loro lavoro. Poi con amarezza ripensa ad un giovane che ha fatto condannare alla sedia elettrica, colpevole di aver ucciso una ragazzina.
Lo sceriffo Bell conclude amaramente le sue considerazioni con una dichiarazione di sconfitta: ” Con la criminalità di oggi è difficile capirci qualcosa, non è che mi faccia paura l’ho sempre saputo che uno deve essere disposto a morire se vuole fare questo lavoro ma non ho intenzione di mettere la mia posta sul tavolo… di uscire e andare incontro a qualcosa che non capisco. Significherebbe mettere a rischio la propria anima, dire OK, faccio parte di questo mondo.” È una bruciante dichiarazione di resa, di non sintonia con un mondo che ormai travolge ogni significato stritolando gli uomini che ne rimangono ai margini. È un lamento non solo per un'epoca passata di giustizia di frontiera, ma per l'erosione stessa di una moralità comprensibile. Bell, incarnato con una stanca saggezza da Tommy Lee Jones, è più di un semplice uomo di legge; è un riluttante oracolo, testimone della marcia inesorabile di un male nuovo, informe, che sfida i vecchi codici e la logica stessa dell'interazione umana.
È questo il cocente incipit del nuovo fulminante film dei Coen, divenuti ormai registi di culto e venerati come grandi maestri della macchina da presa e delle emozioni umane trasposte su pellicola. I fratelli Coen, già architetti di un'idiosincrasia cinematografica inconfondibile, qui trascendono la loro cifra stilistica – una miscela di humour nero e trame meticolose – per consegnare un'epopea americana moderna, una spietata meditazione sul destino, sul caso e sulla gelida banalità del male assoluto. La loro maestria si manifesta non solo nella narrazione impeccabile, ma anche nell'uso radicale del suono e del silenzio, un marchio distintivo che evoca atmosfere di tensione palpabile e solitudine metafisica, un vero e proprio contrappunto a certo cinema iper-musicale contemporaneo.
La storia è quella di un bottino trovato per caso, sullo scenario di un regolamento di conti tra bande, dopo un tentativo di vendita di una partita di droga. A trovare i soldi è un balordo locale, Llewelyn Moss, la cui scelta di impadronirsi di quel denaro non è solo un atto di avidità, ma una sfida incosciente al destino. Egli difende fino alla morte il suo tesoro da un apocalittico killer inviato sulle tracce del bottino da parte del cartello che lo ha perso, essere di ghiaccio che non conosce pietà né emozioni. Sulle tracce dell’uomo anche lo sceriffo Bell, cinico e disilluso funzionario, che si pone come obiettivo quello non già di catturare ma di salvare l’uomo che ha fatto la sciocchezza di appropriarsi dei soldi del narcotraffico. La sua è una crociata morale più che legale, un ultimo tentativo di affermare un principio di ordine in un mondo che scivola nel caos.
Menzione speciale per l’interpretazione di Javier Bardem nel ruolo del killer, davvero una prova di grande maestria attoriale. Anton Chigurh, magnificamente reso da Javier Bardem in una performance da Oscar, è meno un personaggio e più una forza della natura, un algoritmo amorale di distruzione. La sua arma, una pistola a proiettile captivo, strumento di macellazione per bovini, viene impiegata con una precisione chirurgica contro esseri umani, sottolineando il suo distacco dalla convenzionale umanità. Egli è la terrificante incarnazione di un cosmo arbitrario, uno spettro di violenza le cui motivazioni rimangono gelidamente opache, sfuggendo a qualsiasi profilazione psicologica o categorizzazione morale. Non odia; semplicemente è. La sua presenza evoca il terrore esistenziale di Camus o Beckett, l'idea di un universo dove lo scopo è assente e lo sforzo umano è spesso futile.
Memorabile a questo proposito la scena del killer con un anziano esercente di un bazar che si gioca inconsapevolmente la vita con un tiro a testa e croce. Il dialogo tra i due è qualcosa di molto vicino ad un qualcosa in bilico tra teatro avanguardista dell’assurdo ed un fulminante scambio di battute da film noir degli anni cinquanta: “- Qual è la cosa più grossa che hai perso a testa o croce? – Scusi? – La cosa più grossa che hai perso a testa o croce. – Non lo so… non saprei dire… – Scegli.- Scelgo? – Sì. – Per cosa? – Scegli e basta. – Beh dovrei almeno sapere che cosa c’è in ballo… – Devi scegliere tu. Non posso scegliere io per te, non sarebbe onesto. – Ma … non mi sono giocato niente. – Sì, invece. Te lo stai giocando da quando sei nato, solo che non lo sapevi. Sai che data c’è su questa moneta? 1958. Ha viaggiato ventidue anni prima di arrivare qui. E adesso è qui, ed è o testa o croce. E devi dirlo tu, scegli.”. Questa sequenza è la quintessenza del film e un distillato del genio dei Coen. La moneta, che potrebbe essere scambiata per un semplice espediente narrativo, diventa la suprema dichiarazione filosofica del film: un brutale gioco del caso dove vita e morte pendono dal lancio di una moneta, esponendo la fragile precarietà dell'esistenza umana. È un momento di puro, distillato Assurdo, che risuona con le inquietudini filosofiche esplorate in drammi come Aspettando Godot o la letteratura di Dostoevskij, ma radicato nell'orrore viscerale di una pistola puntata alla testa.
Bell rappresenta una specie in via d'estinzione, una bussola morale che ha perso il suo nord in un deserto in rapida espansione di irragionevolezza. Chigurh, al contrario, è l'incarnazione di questa nuova terra selvaggia, un'entità che opera al di fuori dei confini dell'empatia o della comprensione umana. Il film, adattato con rigorosa fedeltà dal romanzo aspro e poetico di Cormac McCarthy, trasforma il paesaggio arido del Texas occidentale in un campo di battaglia filosofico, dove le stesse definizioni di bene e male si dissolvono in una nebbia indistinta. E Llewelyn Moss, l'archetipico uomo comune, è intrappolato tra questi due poli, la cui fatale debolezza è credere di poter superare in astuzia una forza oltre la sua comprensione. Il suo viaggio, segnato da tentativi sempre più disperati di aggrapparsi a una fortuna che lo maledice, serve da cupa parabola per i limiti dell'azione umana in un mondo governato dal caos. È il protagonista involontario di un brutalmente moderno Western, dove i confini tra eroe e cattivo sono sfumati, e la sopravvivenza dipende non dal coraggio, ma dalla pura, arbitraria fortuna. La quasi totale assenza di una colonna sonora tradizionale, un'audace scelta dei Coen e del direttore della fotografia Roger Deakins, amplifica ulteriormente la tensione, costringendo lo spettatore a una comunione scomodamente intima con il terrore che si dispiega. Negando la catarsi spesso fornita da una musica in crescendo, il film ci espone alla cruda realtà della violenza, una scelta stilistica che echeggia il realismo implacabile di certi film di Sam Peckinpah, sebbene con una precisione più distillata e quasi chirurgica. "Non è un paese per vecchi" non è solo un thriller impeccabile; è un'opera d'arte che interroga la natura del male nel XXI secolo e il peso insopportabile del destino.
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