Notorious
1946
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Regista
Hitchcock gira con una raffinatezza stilistica senza pari, accostando alla sua maestria registica una storia appassionante e un incedere narrativo coinvolgente che trascende la mera meccanica del thriller per addentrarsi nelle labirintiche dinamiche della psiche umana. La sua capacità di manipolare lo sguardo dello spettatore, guidandolo attraverso un caleidoscopio di emozioni e suspense, è qui elevata a vertici di perfezione cinematografica. Ogni inquadratura non è solo funzionale alla trama, ma un tassello essenziale di un'architettura visiva che comunica stati d'animo, intenzioni celate e pericoli imminenti, trasformando il medium in una vera e propria esperienza immersiva e palpabile.
All’indomani della fine del Conflitto Mondiale e all’alba della Guerra fredda, Hichcock mantiene saldo il suo sguardo verso i nazisti intesi ancora come villains per antonomasia, ma li colloca in un contesto di post-guerra che insinua nuove paure, quelle di un nemico silente e insidioso, celato nelle pieghe della società civile. Notorious emerge come un ponte tra le ansie palesi del conflitto appena concluso e l'ombra lunga e latente di un'era atomica e di spionaggio, dove la minaccia non si manifesta più sul campo di battaglia ma nei salotti borghesi, nelle segrete di una cantina, nel fumo di una sigaretta avvelenata. È l'inizio di un nuovo tipo di terrore, intimo e psicologico, che il maestro del suspense intuisce e cristallizza sullo schermo, trasformando l'uranio in un terrificante MacGuffin che amplifica le fragilità dei personaggi e la precarietà di un mondo in bilico.
In questo scenario teso, una donna, Alicia Huberman, viene infiltrata nella casa di un contrabbandiere di uranio per conto dei nazisti, in una missione che si rivela essere molto più di un semplice compito di spionaggio. È un viaggio nel cuore oscuro del tradimento, della moralità compromessa e, in ultima analisi, della redenzione. Alicia, incarnazione della "donna con un passato" tanto cara a Hitchcock, è costretta a navigare un labirinto di inganni, sacrificando la propria dignità e la propria vita per una causa che le viene imposta. La sua fragilità e la sua forza emergono in un equilibrio precario, rendendola uno dei personaggi femminili più complessi e indimenticabili del suo universo filmico.
Amore e morte si intrecceranno in un crescendo senza respiro, dove la linea tra passione e pericolo si fa sempre più labile. Il triangolo sentimentale tra Alicia, il cinico agente Devlin e il tragico villain Sebastian non è solo un espediente narrativo, ma il fulcro emotivo dell'opera. Il film esplora la natura ambivalente dell'amore, che può essere sia strumento di salvezza che di manipolazione. Devlin, tormentato dalla sua incapacità di fidarsi pienamente di Alicia, incarna l'ambiguità morale della guerra fredda, dove persino gli "eroi" sono costretti a compiere scelte eticamente discutibili. Sebastian, d'altro canto, è un personaggio tragico, il cui amore patetico e ossessivo per Alicia lo porta a una rovina inevitabile, un'altra vittima collaterale di un gioco di potere e inganni che va ben oltre la sua dimensione personale.
Cary Grant e Ingrid Bergman si fondono nei loro ruoli con una chimica palpabile, in un amore senza confini che sfida ogni convenzione e censura. La loro interpretazione non è solo magistrale, ma trascende la recitazione per diventare una vera e propria fusione di icone. Grant, con il suo aplomb e la sua eleganza naturale, cela sotto la superficie una profonda vulnerabilità e un conflitto interiore che rende il suo Devlin straordinariamente umano. Bergman, con la sua bellezza vulnerabile e la sua intensità emotiva, conferisce ad Alicia una profondità che la eleva da semplice pedina a figura tragica ed eroica. La celebre sequenza del "bacio interminabile", che aggira astutamente le restrizioni del Codice Hays dividendo l'atto in brevi effusioni intervallate da dialoghi, è un manifesto dell'intimità e della tensione erotica che permea il loro rapporto, un saggio di come il maestro sapesse aggirare i limiti per esprimere l'inesprimibile.
Celebre la sequenza della chiave della cantina che sparisce dal mazzo e poi riappare la mattina dopo. Questo piccolo, insignificante oggetto, il MacGuffin nel MacGuffin, diventa un potentissimo generatore di suspense, un esempio lampante di "pure cinema" hitchcockiano. La minaccia non risiede nella chiave stessa, ma nel terrore che sia stata scoperta la sua assenza, nel rischio imminente di una scoperta fatale.
Maniacale la cura di Hitchcock per i dettagli, una firma distintiva del suo genio. Ogni scena veniva da lui disegnata in uno storyboard prima di essere girata, ogni singolo dettaglio della scena, ogni inquadratura veniva progettata, disegnata e poi filmata con una precisione quasi ossessiva. Non lasciava nulla al caso, orchestrando ogni movimento di macchina, ogni espressione, ogni oggetto di scena con la precisione di un direttore d'orchestra. Questa pianificazione meticolosa, che spesso rendeva le riprese per gli attori un'esperienza di pura esecuzione senza spazio per l'improvvisazione, garantiva un controllo totale sul risultato finale e sulla reazione emotiva dello spettatore, dimostrando la sua convinzione che il film dovesse essere "finito nella sua testa" prima ancora di iniziare a girare. È questa tirannia creativa che gli permise di scolpire la suspense fotogramma per fotogramma, guidando lo sguardo e le emozioni del pubblico con una mano ferma e invisibile.
Paradigmatica, in questo senso, è la scena d’apertura del film dove Devlin è sempre ripreso di spalle mentre osserva Alicia, il cui padre quello stesso giorno è stato condannato per spionaggio, che beve e flirta per allontanare da sé il pensiero del genitore condannato. La cinepresa, posta dietro la testa di Devlin, riprende soltanto la donna, mentre si avvicina e parla a Devlin. Questa scelta registica non è casuale: posizionando la telecamera alle spalle di Devlin, Hitchcock ci costringe a condividere il suo sguardo giudicante, a vedere Alicia attraverso il filtro della sua diffidenza e del suo disappunto. Il bicchiere che Alicia porta alle labbra non è solo un gesto di disperazione, ma un simbolo del suo rifugio nell'edonismo, una maschera per il dolore e la vergogna.
Una scena perfetta dove il comportamento disdicevole di Alicia viene perfettamente stigmatizzato dallo sguardo cinico di una cinepresa che si erge quasi a elemento moralizzatore, invitandoci a partecipare al giudizio prima di guidarci verso la comprensione e l'empatia per la sua complessa figura. Non è solo cinismo, bensì una magistrale introduzione al suo dilemma morale e alla sua vulnerabilità, che il film esplorerà e sovvertirà nel corso della narrazione. Questa tecnica di ripresa, che sarà poi ampiamente sfruttata nelle scene in prima persona per immergere lo spettatore nella prospettiva di un personaggio, per quegli anni, com’è facilmente intuibile, rappresentò un’innovazione assoluta, un balzo in avanti nella costruzione della suspense psicologica e nell'arte di rendere il pubblico complice dell'esperienza emotiva sullo schermo. La sua influenza è riscontrabile in innumerevoli opere successive, a testimonianza di come Notorious non sia solo un capolavoro del suo tempo, ma una pietra miliare nell'evoluzione del linguaggio cinematografico.
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