Movie Canon

The Ultimate Movie Ranking

Orizzonti di Gloria

1957

Vota questo film

Media: 0.00 / 5

(0 voti)

Durante la Prima Guerra Mondiale il Generale Mireau che tira le fila di una partita a scacchi contro una postazione tedesca super fortificata, accecato dalla possibilità di una promozione, spedisce le sue truppe al macello. La postazione in questione, l'inafferrabile "Formicaio", si rivela da subito un ostacolo insormontabile, un simbolo della futilità delle strategie belliche basate sull'arroganza e sulla negazione della realtà. Mireau, figura emblematica di una leadership militaresca imbottita di retorica e slegata dalla condizione umana dei suoi sottoposti, incarna la hybris che condannò intere generazioni di soldati nelle trincee della Grande Guerra, un conflitto in cui la vita umana era considerata merce di scambio nel gioco cinico della politica e delle carriere.

Inizia così una delle scene più cruente della storia del cinema, una battaglia infinita in cui ogni scena è pervasa di crudo realismo. Stanley Kubrick, con una maestria che già anticipa le vette della sua maturità artistica, ci immerge in un inferno di fango e ferro. Le celebri carrellate sui soldati che avanzano disperatamente nella terra di nessuno, sotto un fuoco incrociato devastante, non sono semplici movimenti di macchina, ma un vero e proprio abbraccio visivo alla disperazione. Il regista non concede nulla all'eroismo posticcio; non c'è gloria, solo terrore, confusione e l'inevitabile annientamento. L'assenza di una colonna sonora enfatica durante questi momenti acuisce il senso di orrore e autenticità, lasciando che siano i suoni della battaglia – le esplosioni, i proiettili sibilanti, le grida di dolore – a narrare la carneficina. È un pugno nello stomaco che eleva Orizzonti di Gloria ben al di sopra del mero film di guerra, collocandolo tra le più acute riflessioni sull'insensatezza del conflitto armato e sulla fragilità della condizione umana.

L’attacco naturalmente è un totale fallimento e il generale Mireau, per coprire le sue mancanze, decide di far fucilare tre uomini per codardia. Questa decisione non è solo un atto di vigliaccheria e auto-preservazione, ma l'apice di un sistema corrotto e disumano. È un tentativo di scaricare la colpa del fallimento strategico sull'anello più debole della catena, trasformando vittime in capri espiatori per preservare un'illusoria facciata di disciplina e onore militare. Ne nascerà una battaglia legale di fronte alla Corte Marziale per salvare la vita ai tre uomini con l’ausilio del Colonnello Dax, avvocato parigino che difende i tre uomini. La figura del Colonnello Dax, interpretato con una misurata intensità da un Kirk Douglas profondamente coinvolto nel progetto (fu la sua casa di produzione, Bryna Productions, a renderlo possibile), emerge come l'unica voce della ragione e dell'umanità in un tribunale che è una farsa grottesca. Il processo è un teatro dell'assurdo, dove la giustizia è piegata agli interessi della gerarchia, e la verità è un dettaglio scomodo da eliminare. Dax non è un eroe epico, ma un uomo che lotta con le unghie e con i denti contro un Leviatano burocratico e militare, incarnando la strenua difesa della dignità individuale di fronte all'oppressione sistemica. La sua lotta è quella di ogni coscienza che si ribella all'ingiustizia, anche quando la sconfitta è preannunciata e inevitabile.

Il film si chiude con una scena che non sembra organica alla narrazione. Abbiamo appena visto una straziante carneficina sul campo di battaglia e un'assurda battaglia legale per salvare la vita a tre uomini senza nessuna colpa, un punto di vista morale che condanna i generali dell’esercito francese corrotti e cinici che inviano i loro soldati al macello, e adesso che cosa vediamo? Quegli stessi soldati sopravvissuti ubriachi, ammassati in un bistrot, mentre sbattono i loro boccali di birra sui tavoli mentre il proprietario porta un’impaurita ragazza tedesca sul palco. La ragazza è bersagliata da commenti lascivi e da volgarità di ogni genere, poi inizia a cantare e la platea gradualmente si zittisce. È una canzone in tedesco e solo pochi soldati conoscono le parole così cominciano a canticchiarne il motivo, alcuni di loro si commuovono, altri chinano il capo in silenzio.

Questa scena finale, apparentemente dissonante, è in realtà la chiave di volta dell'intera opera, il vero, straziante colpo di genio di Kubrick. Dopo la disumanizzazione della guerra e la brutalità della giustizia militare, ci viene offerto un momento di inaudita vulnerabilità e connessione umana. I soldati, inizialmente ridotti a una massa informe di desideri primari e frustrazioni, reazioni comprensibili alla trauma appena subito, vengono rianimati da una scintilla di empatia. La giovane tedesca, dapprima oggetto di scherno e lascivia, si trasforma, attraverso il veicolo della sua voce e della sua canzone, in una figura universale di innocenza e bellezza. Il brano, una semplice melodia popolare tedesca, supera le barriere linguistiche e nazionali. Non è una questione di comprensione delle parole, ma della risonanza emotiva che essa suscita. Quei soldati francesi, acerrimi nemici dei tedeschi fino a pochi istanti prima, trovano un terreno comune di malinconia e umanità condivisa. I loro volti, segnati dalla guerra e dal dolore, si distendono in espressioni di commozione, di riconoscimento reciproco nella comune condizione di esseri umani vulnerabili. Alcuni piangono, altri chinano il capo, non più soldati ma uomini, capaci di una pietà che il sistema militare ha cercato con ogni mezzo di estirpare.

Una scena di una bellezza straniante, che stride con il tessuto epico del film ma che ben illustra la poetica di Kubrick, contrario ad ogni forma di retorico patriottismo, sempre pronto a catturare la realtà nella sua nuda essenza, ma soprattutto grida con forza il tema centrale dell’opera: l’essere contro ad ogni tipo di guerra. Questa chiusa non è una semplice chiosa; è un'affermazione potente sulla capacità umana di trascendere il conflitto, anche solo per un fugace istante. Il fatto che i soldati siano richiamati al fronte subito dopo questo momento di fragile tregua spirituale non fa che accentuare la tragedia. Kubrick non offre soluzioni facili, né finali catartici. Piuttosto, ci lascia con un senso di profonda melanconia, un'indelebile ferita aperta sulla natura della guerra e sulla sua devastante capacità di annientare non solo i corpi, ma anche l'anima umana. Orizzonti di Gloria è un film che, pur radicato in un contesto storico specifico, rimane universalmente rilevante, un monito eterno contro l'abuso di potere, la brutalità della guerra e l'eroismo imposto, celebrando al contempo la fragile, ma incrollabile, scintilla di umanità che può riemergere anche dalle profondità dell'orrore. È un'opera che ha aperto la strada a una nuova narrazione bellica, onesta e disincantata, destinata a influenzare generazioni di cineasti successivi.

Galleria

Immagine della galleria 1
Immagine della galleria 2
Immagine della galleria 3
Immagine della galleria 4
Immagine della galleria 5

Featured Videos

Trailer Ufficiale

Commenti

Loading comments...