Movie Canon

The Ultimate Movie Ranking

Paris, Texas

1984

Vota questo film

Media: 5.00 / 5

(1 voti)

Ultimo film del ciclo americano di Wenders (dopo l’Amico Americano e Hammett: indagine a Chinatown), nasce grazie ad un incontro con Sam Shepard, versatile attore con inclinazioni alla drammaturgia (ricordiamo la sua collaborazione alla sceneggiatura di Zabriskie Point di Antonioni nel 1970). Questa sinergia tra la visione autoriale europea e l'anima profondamente americana di Shepard, il suo intimo legame con i miti della frontiera e la solitudine esistenziale che permea il paesaggio, è la linfa vitale di un'opera che trascende il genere. Wenders, affascinato dal West come spazio di evasione e riflessione, trova in Shepard non solo un co-sceneggiatore ma un vero e proprio complice narrativo, capace di infondere autenticità al dramma del vagabondo e al suo rapporto con una nazione vasta e implacabile.

Ne scaturisce un road movie intimista e melanconico, uno dei film più amati del regista tedesco, un'elegia visiva che si dipana tra gli spazi sconfinati del Texas e le anonime periferie urbane. L'opera si iscrive nel solco di una tradizione cinematografica che vede il viaggio non come mero spostamento geografico, ma come introspezione forzata, alla stregua di un "Viaggio in Italia" rossegliniano trasfigurato nell'aridità del deserto americano. La macchina da presa di Robby Müller, storico collaboratore di Wenders, si fa complice di questa malinconia, catturando le tonalità pastello e le ombre lunghe che evocano un senso di perdita e di bellezza struggente, un paesaggio che è tanto fisico quanto interiore.

Un uomo vaga solo e senza meta nel deserto, senza memoria, una sorta di tabula rasa esistenziale che si muove in un panorama primordiale. Il suo nome è Travis e sembra in stato confusionale. Questa amnesia non è un semplice espediente narrativo, ma una metafora potente del rifiuto del dolore passato, un tentativo di cancellare l'io per sfuggire al ricordo delle proprie colpe. A poco a poco ricostruirà il sottile filo dell’esistenza venendo recuperato dal fratello e riportato a Los Angeles. Il ritorno alla civiltà è un confronto con ciò che ha lasciato, un graduale riemergere della coscienza.

Qui ritrova il figlio Hunter che dopo la separazione e l’abbandono dei genitori vive insieme agli zii. Inizialmente tra i due sarà difficile poter comunicare, troppe cose sono state lasciate indietro, troppi silenzi hanno scavato un abisso. Il loro legame è fragile, spezzato, ma la forza irrazionale dell'amore filiale e paterno comincia lentamente a riannodare i fili. Travis, con un’ostinazione quasi muta, cerca un contatto, un ponte verso un bambino che è l'ultima ancora della sua identità.

Gradualmente Travis riuscirà a far breccia in Hunter e a ritrovare una sintonia tale da coinvolgere il ragazzo in un progetto: ritrovare la madre dispersa nelle sabbie del tempo. La loro odissea si trasforma in una ricerca a due, un pellegrinaggio iniziatico in cui il figlio, con la sua purezza e la sua assenza di giudizio, diventa guida e motivazione per il padre. È un road movie dove il paesaggio diventa specchio dell'anima, e l'auto che li trasporta è un guscio protettivo in cui si ricrea, a fatica, una parvenza di famiglia.

I due dopo averne seguito le tracce viaggeranno fino a Houston in Texas per constatare che la donna lavora in un Peep Show mostrando il suo corpo a invisibili voyeur dietro uno specchio. Questa rivelazione è un pugno allo stomaco, una cruda esposizione della disillusione e della solitudine umana. Lo "Spyglass", il locale dove Jane lavora, è un non-luogo che amplifica il tema della distanza e dell'incomunicabilità.

Quello specchio sarà la paratia che dividerà Travis da Jane ma non impedirà loro di comunicare. Ed è qui che il film raggiunge il suo apice catartico e la sua massima potenza emotiva. La scena dello specchio è un capolavoro di drammaturgia cinematografica, un duetto muto e parlante allo stesso tempo. Jane non vede Travis, ma la sua voce, filtrata dall'anonimato di quella barriera, le permette di spogliarsi delle difese e di affrontare il proprio passato. Lo specchio non è solo una superficie riflettente, ma un confine liminale tra mondi, tra identità frammentate e il desiderio disperato di un contatto. Si assiste a una sorta di seduta psicanalitica a distanza, dove la confessione diventa liberazione.

Da quell’incontro si saprà finalmente la storia di Travis che in preda ai fumi dell’alcool bruciò accidentalmente la roulotte dove viveva con Jane e Hunter per poi vagare nel deserto per quattro anni cercando di espiare l’accaduto e rimuovendolo dalla sua coscienza. La sua deriva nel deserto non è solo fuga, ma un atto di penitenza autoimposto, un'espiazione muta e selvaggia. Il racconto di Travis è una narrazione della caduta e della ricerca di redenzione, una storia universale di perdita e rinascita che riecheggia i grandi miti americani di frontiera e fallimento.

Travis fornisce l’indirizzo dell’Hotel dove Hunter riposa, ma non vuole oltrepassare quella labile superficie di cristallo, non vuole incontrare Jane. Riprenderà il suo mesto pellegrinaggio lasciandosi alle spalle madre e figlio ricongiunti. La sua scelta finale, apparentemente crudele, è in realtà un gesto di estremo amore e sacrificio. Travis non crede di meritare la felicità, o forse comprende che la sua presenza, per quanto desiderata, rischierebbe di distruggere di nuovo l'equilibrio appena ritrovato. È un eroe tragico che accetta la sua condanna all'erranza, scegliendo la solitudine per garantire la felicità altrui.

Un film che anche grazie alla cristallina chitarra di Ry Cooder dispensa un fascino unico, come un sogno che persiste nella memoria lasciandoci sul palato atmosfere indecifrabili che sciolgono ricordi e sensazioni sopite. La colonna sonora di Cooder non è un mero accompagnamento, ma una componente essenziale della narrazione, un lamento blues che si fonde con il paesaggio desertico, evocando l'anima più profonda dell'America, quella delle ballate solitarie e dei cieli infiniti. Le note slide della chitarra sembrano il respiro stesso del deserto, un sottofondo di malinconia e speranza che eleva il film a un'esperienza quasi trascendentale.

Come ebbe a precisare lo stesso Wenders si tratta del primo film in cui la trama prevale sulla ricerca e sulla sperimentazione. Non è una rinuncia alla sua estetica, quanto piuttosto una maturazione, una sublimazione della forma al servizio dell'emozione più pura. L'ossessione per il viaggio e la dislocazione, tipica del cinema wendersiano, qui si incarna in una storia umana di tale intensità che la sperimentazione formale si fa invisibile, integrata nella pelle del racconto.

La vivisezione emozionale che Wenders opera su Travis denudandone l’io è l’evento più emozionante di Paris, Texas. Il regista tedesco, con la sua delicatezza chirurgica, scava nelle pieghe dell'anima del protagonista, rivelando le ferite più profonde con una sensibilità rara. È un'operazione di introspezione che il cinema raramente riesce a compiere con tale potenza e rispetto.

Quando Travis incontra Jane e attraverso uno specchio trova il coraggio di parlarle è grande cinema, nulla di più. È il trionfo della comunicazione sull'alienazione, dell'amore sulla disperazione, un momento di pura catarsi che rimane impresso nella mente dello spettatore per la sua inequivocabile verità emotiva. Una scena destinata a diventare icona, sintesi perfetta di un'opera che ha saputo catturare l'essenza stessa dell'esistenza, tra perdita, ricerca e l'impervia strada verso la redenzione.

Galleria

Immagine della galleria 1
Immagine della galleria 2
Immagine della galleria 3
Immagine della galleria 4
Immagine della galleria 5
Immagine della galleria 6
Immagine della galleria 7

Commenti

Loading comments...