Pink Flamingos
1972
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Regista
Non esistono filtri per Pink Flamingos. Non esistono griglie interpretative, lenti sociologiche o teorie accademiche che possano preparare lo spettatore a ciò che John Waters ha scatenato nel 1972. Questo non è un film. È un assalto. È un atto di terrorismo culturale perpetrato con una cinepresa 16mm, un manifesto dell'estetica "trash" che non cerca di sovvertire le regole del buon gusto, ma di cospargerle di benzina e dargli fuoco. Inserire Pink Flamingos in un "canone" cinematografico è un paradosso, perché l'intero scopo della sua esistenza è distruggere l'idea stessa di canone. È il paziente zero della trasgressione, un film girato con un budget inesistente, un cast di "disadattati" (i Dreamlanders di Baltimora) e una singola, gloriosa missione: dimostrare chi fosse "la persona più schifosa del mondo" (The Filthiest Person Alive).
L'estetica del film è la sua etica. Pink Flamingos è deliberatamente, quasi con amore, brutto. È sgranato, sovraesposto, il suono è spesso un disastro e il montaggio è rudimentale. Ma questa non è incompetenza; è una dichiarazione di guerra. Waters rifiuta la patina levigata di Hollywood, la "qualità" come metro di giudizio. Abbraccia l'immediato, lo sporco, il dilettantismo come forma di autenticità. È l'ethos del punk rock applicato al cinema, cinque anni prima che i Sex Pistols sconvolgessero la musica. La Baltimora di Waters è un'anti-Disneyland, un mondo parallelo dove la devianza è la norma e la rispettabilità borghese è la vera perversione. È un cinema che non vuole essere ammirato in un museo; vuole essere proiettato a mezzanotte in un cinema di periferia, lasciando il pubblico diviso tra ilarità isterica e nausea pura.
La trama, se così possiamo chiamarla, è una contesa mitologica. Da un lato, abbiamo la protagonista, la divina Babs Johnson (interpretata da Divine, un colosso carismatico di 300 libbre, una vera forza della natura). Babs vive in una roulotte rosa shocking (il "flamingos" del titolo) con la sua famiglia: la madre feticista delle uova, Edie (l'inimitabile Edith Massey), che vive in un box, il figlio degenerato Crackers e l'amica Cotton. Babs è l'attuale detentrice del titolo di "Persona più Schifosa". Dall'altro lato, ci sono gli sfidanti, i Marbles. Connie e Raymond Marble sono una coppia borghese solo in apparenza. Gestiscono un racket di adozioni (rapendo autostoppiste, mettendole incinte e vendendo i bambini a coppie lesbiche) e si dilettano nel vendere eroina nelle scuole elementari. Loro invadono il titolo di Babs. La guerra che ne consegue non è un dramma psicologico; è un'escalation di atrocità.
Pink Flamingos opera secondo una logica di accumulo. È una gara a chi riesce a disgustare di più lo spettatore (e, nel film, i tabloid che seguono la vicenda). Waters non si ferma davanti a nulla, e il cast lo segue con una lealtà che trascende la recitazione ed entra nel reame della performance art estrema. Il film allinea incesto, cannibalismo, castrazione e un feticismo per le uova che rasenta il surreale. Ma l'atto più celebre, quello che ha definito il film e i "midnight movies", è la famigerata scena del "singing anus". Non è una metafora. Non è un effetto speciale. È esattamente quello che dice di essere. È il momento in cui Waters piazza la sua bandiera e dice: "Da qui in poi, tutto è permesso. L'arte non ha limiti morali". È un gesto Dadaista fatto con il corpo, un rifiuto totale di qualsiasi convenzione narrativa o estetica.
La vera protagonista, l'asse su cui ruota questo mondo infetto, è Divine. Pink Flamingos è il suo manifesto. Divine non è una "drag queen" nel senso moderno del termine; non cerca di imitare la femminilità, la divora e la rigurgita in una forma nuova, mostruosa e gloriosa. Con le sopracciglia rasate e tatuate, un abito rosso attillato e una pistola in mano, è un'icona di pura sfida. È la celebrazione dell'emarginato, del "mostro" che non si nasconde, ma che rivendica il suo diritto di esistere al centro della scena. La sua performance non è recitazione; è un atto di esistenzialismo. Lei è Babs Johnson. La sua rabbia, la sua gioia, la sua fame sono reali. È l'avatar perfetto per la filosofia di Waters: il "cattivo gusto" è l'unica forma di liberazione in una società ossessionata dal "buon gusto".
E poi, c'è il finale. Il punctum del film. Dopo aver sconfitto i Marbles in un processo farsa davanti ai paparazzi (eseguendo lei stessa la sentenza), Babs deve cementare la sua vittoria. In un'unica, famigerata inquadratura in piano sequenza, la vediamo camminare per strada. Vede un cane che defeca. Si avvicina, raccoglie l'escremento ancora caldo e lo mangia, guardando dritto in camera con un sorriso di trionfo. È l'atto che ha fatto la storia. Non è simulato. È reale. È il punto finale della discussione. Waters e Divine non si sono limitati a rappresentare lo schifo; lo hanno commesso. È un atto di cinema-verità scatologico, l'unico finale possibile per un film che aveva promesso di essere "un esercizio di cattivo gusto". È la vittoria definitiva. Babs Johnson è, senza alcun dubbio, la persona più schifosa del mondo.
Perché Pink Flamingos è nel Canone? Perché è un documento storico. È il momento in cui l'underground è esploso, dimostrando che un film poteva ottenere successo non nonostante la sua repulsione, ma grazie ad essa. Ha ridefinito i confini di ciò che è "filmabile" e ha trasformato John Waters da un regista amatoriale di Baltimora al "Papa del Trash". Non è un film che si apprezza; è un rito di passaggio, un test di resistenza, un'opera d'arte che ti guarda dritto negli occhi mentre mangia escrementi. Ed è, a suo modo, assolutamente perfetta.
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