Psycho
1960
Vota questo film
Media: 5.00 / 5
(1 voti)
Regista
Hitchcock rimesta nel torbido dirigendo il suo sguardo acuminato all’interno della psiche di un gestore di motel deviato e paranoide. Il Maestro del Brivido non si limita a scandagliare la superficie; egli s’immerge nelle profondità più oscure dell'animo umano, rivelando le crepe insospettabili che possono celarsi dietro la più banale delle facciate, quella di un motel sulla Highway 10. È una discesa agghiacciante nell'inconscio, laddove l'orrore non è soprannaturale, ma endemico, una patologia latente nella quotidianità.
La storia di questo film è particolarmente travagliata visto che nessun produttore credette nel progetto, un'ostinazione quasi inspiegabile se si considerano le credenziali artistiche dell’autore del romanzo originale, Robert Bloch, e soprattutto il pedigree di Hitchcock stesso, reduce da successi commerciali e acclamati come "Intrigo internazionale". Eppure, l'audacia tematica – l'omicidio di una protagonista a metà film, le implicazioni psicologiche estreme, la scelta di girare in bianco e nero con un budget volutamente ridotto per massimizzare il profitto e mascherare la brutalità di certe scene – spaventò le major. Questo rifiuto spinse Hitchcock, con la sua inconfondibile audacia visionaria, a prodursi il film da solo, un gesto di ribellione artistica che ne sottolinea la ferrea convinzione. Per farlo si trovò ad affrontare non pochi problemi economici, arrivando persino a ipotecare la propria casa per coprire i costi, un aneddoto che testimonia la sua fede incrollabile nel potenziale rivoluzionario dell'opera. Sapeva di avere per le mani non solo un buon film, ma qualcosa di epocale, e credeva fermamente in sé stesso e nella sua capacità di forgiare un nuovo paradigma cinematografico.
I fatti, come sappiamo, gli diedero ragione e grazie alla sua tenacia uno dei massimi capolavori della storia del cinema poté così vedere la luce, inaugurando di fatto un'era per il thriller psicologico e l'horror moderno. Il suo lancio fu accompagnato da una campagna di marketing senza precedenti, quasi paranoica, che proibiva l'ingresso in sala a visione iniziata, un'imposizione che mirava a preservare ogni singola sorpresa, ogni svolta narrativa, rendendo lo spettatore complice e vittima della manipolazione hitchcockiana.
Una donna, impiegata contabile di una ditta, ruba quarantamila dollari e fugge trovando riparo in un Motel. Il suo destino, apparentemente legato alla suspense di una fuga e alla ricerca della redenzione, si rivela un mero pretesto. Il proprietario, un tizio un po’ strambo e affabile nella sua goffaggine, la accoglie cortesemente, salvo poi trovarla morta, pugnalata sotto la doccia dalla madre malata. Questa scelta narrativa, audace e iconoclasta, di eliminare la protagonista nel primo atto, scardinò ogni aspettativa del pubblico, catapultandolo in un abisso di incertezza e orrore inatteso. Norman Bates, sconvolto da quanto accaduto, o almeno così sembra, mette il corpo nel bagagliaio dell’auto e fa sparire tutto gettando l’auto nelle sabbie mobili, un gesto che non è solo occultamento di cadavere ma una metafora visiva dell'affondare in un baratro di colpa e follia dal quale non c'è via d'uscita. Un investigatore privato, assoldato dal fidanzato della vittima, cercherà ostinatamente di far luce sul caso, seguendo le tracce in un labirinto di indizi e depistaggi che lo condurranno inevitabilmente verso il cuore pulsante della tenebra.
Un sontuoso Anthony Perkins, nella parte della vita, incarna un Norman Bates che diviene l’archetipo dell’ombra acquattata dietro la realtà, il fantasma che incombe sul nostro quieto vivere. La sua interpretazione è un capolavoro di sottigliezza e progressione, passando dalla timidezza impacciata a una lucida, terrificante follia, un ritratto indimenticabile che ha segnato la sua carriera e la storia del cinema. Perkins non interpreta un mostro, ma una vittima della sua stessa patologia, un uomo lacerato da un complesso edipico distorto che lo rende sia aguzzino che prigioniero. È il vicino di casa che potrebbe nascondere un universo di perversioni indicibili, l'incarnazione di una disfunzione che non è più reclusa negli ospedali psichiatrici ma si annida nel cuore della provincia americana.
Gloriosa, e meritatamente leggendaria, è la scena della doccia in cui l’assassino si avvicina in controluce dietro la tenda, scosta la tendina e pugnala, pugnala e pugnala. La sequenza, un tour de force di montaggio cinematografico, con i suoi 77 tagli in meno di 45 secondi, non mostra mai il coltello penetrare la carne, né il sangue scorrere copiosamente. È la suggestione, la violenza implicita e il crescendo sonoro dei violini stridenti di Bernard Herrmann a imprimere l'orrore nella mente dello spettatore. Mentre il sangue (sciroppo al cioccolato, in realtà, per un maggiore contrasto con il bianco e nero) defluisce inesorabilmente nello scarico della doccia, Hitchcock indugia sui particolari che rendono agghiacciante la scena: il flusso della doccia, lo scarico con l’acqua che vi vortica intorno, un vortice che richiama l'occhio vitreo della vittima e il turbine della follia che sta per inghiottire tutto. È un balletto macabro di frammenti che assemblano un'agonia, un'esperienza puramente cinematografica che ha ridefinito il concetto di violenza sullo schermo e influenzato in maniera indelebile l'intero genere horror, aprendo la strada a tutti i futuri slasher, pur rimanendo ineguagliato per la sua maestria psicologica piuttosto che per l'efferatezza esplicita.
Forse una delle prime opere di tale risonanza che affronta il tema dello sdoppiamento della personalità e le relative implicazioni criminali con una tale precisione clinica e un impatto così devastante. "Psycho" non è solo un film sulla follia, ma anche una profonda indagine sul voyeurismo, sulla repressione sessuale e sulla natura camaleontica del male. È una dimostrazione magistrale di come la suspense non derivi dal "cosa" accadrà, ma dal "come" e dal "perché".
Un film che vi farà guardare nervosamente alla finestra, che vi farà dubitare delle apparenze e che magari vi farà scegliere molto attentamente la vostra prossima camera d’albergo, o forse, semplicemente, vi farà preferire di non viaggiare più soli. La sua eco, a oltre sessant'anni dalla sua uscita, risuona ancora nelle nostre paure più recondite, confermando "Psycho" non solo come un classico intramontabile, ma come un pilastro ineludibile della cultura popolare che continua a disturbare e affascinare.
Attori Principali
Paese
Commenti
Loading comments...