I Predatori dell'Arca Perduta
1981
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Regista
Steven Spielberg, da grande affabulatore, concepisce un nuovo genere di film d’azione forgiando in parallelo una nuova tipologia di personaggio che entra di gran carriera nell’immaginario collettivo per radicarvisi a fondo. L'eco di Duel e Lo Squalo era già un presagio di una maestria narrativa senza pari, ma con I Predatori dell'Arca Perduta, Spielberg e il suo sodale George Lucas non si limitano a replicare il successo: scolpiscono un archetipo. Essi attingono a piene mani dall'immaginario dei vecchi serial di avventura degli anni '30 e '40 – da Flash Gordon ai western più rudi – ma li infondono con una sofisticata sensibilità moderna, un ritmo vertiginoso e una maestria tecnica che elevano il pulp a forma d'arte cinematografica.
Il personaggio in questione è naturalmente Indiana Jones, un archeologo americano degli anni quaranta, con la passione per il recupero di antichi oggetti perduti nel gorgo del tempo. Questa figura, incarnata con carisma disarmante da Harrison Ford, è una fusione brillante: di giorno un mite e impolverato professore universitario, di notte un temerario avventuriero con frusta e cappello, proiettato in scenari esotici e pericoli mortali. Indy non è l'impeccabile James Bond, ma un eroe sporco, sudato, spesso malconcio e vulnerabile, la cui umanità e la cui testarda resilienza lo rendono infinitamente più relazionabile. La sua natura di studioso che si scontra con la violenza del mondo esterno crea una tensione comica e drammatica che è il cuore pulsante della sua identità.
Il tono della storia è un perfetto cocktail tra commedia ironica e film d’azione. Questa miscela esplosiva è gestita con una precisione quasi alchemica, dove l'umorismo non mina mai la posta in gioco, ma anzi la esalta, rendendo i personaggi più vicini e le situazioni più vivide. È un equilibrio sottile tra la gioiosa celebrazione dell'avventura escapista e una consapevole autoironia che previene qualsiasi retorica eccessiva. Il film accoglie il pubblico in un universo dove il pericolo è palpabile ma l'audacia e l'ingegno possono ancora prevalere, il tutto condito da un'irresistibile leggerezza.
La trama è quella del professor Jones che si trova coinvolto in una macchinazione nazista per impadronirsi dell’Arca dell’Alleanza, la cassa di legno d’acacia commissionata a Mosè da Dio in persona. Il ricorso ai Nazisti come antagonisti primari non è solo una scelta narrativa comoda; essa attinge a una profonda riserva di memoria storica e cinematografica, posizionando il male in un contesto riconoscibile e inequivocabile, permettendo così all'eroismo di Indiana di brillare senza ambiguità morali. L'Arca, un MacGuffin perfetto, non è solo un pretesto per l'azione; essa simboleggia l'avidità umana e la cieca ambizione che osa profanare il sacro per scopi profani, un tema ricorrente nella filmografia spielberghiana.
Il manufatto si dice possedesse poteri tremendi soltanto a pronunciarsi e nel film diviene una sorta di superarma mistica che Hitler ha intenzione di usare per i suoi loschi propositi di conquista. Questa fusione di storia, mito e orrore soprannaturale è la vera genialità del soggetto. Il film non teme di trascendere il realismo, culminando in un finale in cui l'orrore cosmico e la retribuzione divina si manifestano con una potenza visiva sconvolgente, riaffermando il monito contro l'empietà e la hybris. Le sequenze finali, in particolare, con le facce che si liquefanno e le anime che volano via, sono un tour de force di effetti pratici e una virata decisa verso il genere horror che sorprende ancora oggi per la sua audacia.
Ma non ha fatto i conti con Indy. L'uomo comune, l'archeologo armato solo della sua intelligenza, del suo frustino e di una pistola, si erge a baluardo contro un'intera macchina militare e un male che trascende la comprensione umana. È una lotta impari, ma che esalta proprio la determinazione e l'innata integrità del protagonista, la sua capacità di improvvisare e di resistere, non tanto per un ideale astratto, quanto per una profonda, quasi viscerale, avversione all'appropriazione e alla distorsione del sapere antico per fini malvagi.
Un’opera che di fatto è la celebrazione della fantasia, dell’avventura nella sua dimensione più gloriosa, ma con venature d’ironia che sfiorano la parodia più irriverente (celebre è la scena del duello tra Indy e un arabo con scimitarra che gli si fa incontro nel Suk del Cairo e che, dopo un’elaborata introduzione roteando il proprio spadone, viene ucciso istantaneamente con un colpo di pistola da un Indy quasi distratto). Questa sequenza, nata da un’improvvisazione di Harrison Ford afflitto da un’intossicazione alimentare che gli impediva di girare una lunga scena di combattimento, è emblematica dell'intelligenza del film: non solo è esilarante, ma sovverte genialmente le aspettative del genere, dimostrando che l'eroe pragmatico e stanco non si preoccupa della spettacolarità del duello quando c'è una soluzione più rapida ed efficiente. È un momento di genio comico che rivela molto sul carattere di Indy e sulla visione del film, un vero e proprio manifesto contro le coreografie troppo complesse a favore di una logica più brutale e immediata.
Con Raiders of the Lost Ark si riassapora dunque il gusto esotico del viaggio avventuroso, della meravigliosa scoperta dei Tesori della Storia, di segreti sepolti dal tempo e dall’incuria degli uomini. John Williams, con la sua epica e inconfondibile partitura, eleva ogni scena, dal tema iconico di Indy alle atmosfere più misteriose ed esotiche, fino ai momenti di puro terrore. La fotografia di Douglas Slocombe avvolge il film in una patina da vecchia pellicola, tra luci dorate e ombre profonde, conferendo un'estetica senza tempo. La maestria artigianale e l'ingegno narrativo di Spielberg non solo hanno rianimato un genere, ma hanno definito il blockbuster moderno, dimostrando che un film d'intrattenimento può essere allo stesso tempo sofisticato, intelligente e profondamente risonante, lasciando un'impronta indelebile nella cultura popolare e nelle generazioni a venire. È un'opera che, a più di quarant'anni dalla sua uscita, continua a splendere come un manufatto prezioso e insostituibile.
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