Lanterne Rosse
1991
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Regista
Un’opera formalmente pura e sublime, che passa in rassegna asetticamente usi e costumi della Cina di inizio secolo ricavandone un quadro storico d’insieme di eccezionale vividezza. La macchina da presa di Zhang Yimou si muove con una precisione quasi chirurgica, trasformando la grande dimora della famiglia Chen in un labirinto di mura imponenti e cortili silenti, una vera e propria prigione dorata dove ogni inquadratura è una composizione pittorica, permeata da un rigore estetico che evoca tanto la pittura tradizionale cinese quanto la fredda maestosità dell'architettura brutalista. L'imponente complesso, filmato quasi interamente dal basso verso l'alto, schiaccia le figure umane, sottolineando la loro insignificanza di fronte alla potenza del sistema patriarcale. Il colore, in particolare il rosso vivido delle lanterne, non è mai casuale ma si carica di una simbologia stratificata: passione, pericolo, potere, ma anche l'ineluttabilità di un destino già scritto.
La trama è incentrata sul personaggio di Songlian, una ragazza di umile estrazione sociale, che si trova costretta ad interrompere gli studi per divenire quarta moglie di un ricco possidente locale. Quest'interruzione forzata degli studi non è un dettaglio secondario; è il primo, devastante atto di una progressiva spoliazione. La conoscenza, simbolo di autonomia e pensiero critico, viene brutalmente recisa in favore di un ruolo sottomesso, cristallizzando la tragedia di un'intelligenza destinata a marcire in un'esistenza senza scopo. La sua formazione universitaria, rara per una donna dell'epoca, la rende inizialmente un'outsider, un elemento di disturbo in un equilibrio precostituito, quasi una Cassandra destinata a vedere ma non a poter cambiare il proprio tragico destino.
Il mondo puro della fanciulla si dovrà confrontare e corrompere con il mondo sordido e cinico delle concubine. È una discesa negli inferi di una psicologia femminile distorta dalla disperazione e dalla competizione. La prima moglie, anziana e rassegnata, le concubine Yuru (la seconda) e Meishan (la terza), ex cantante d'opera e donna dalla bellezza fragile ma determinata, sono figure che incarnano diverse sfaccettature di una stessa prigionia. Non sono semplici antagoniste, ma prodotti di un sistema che le costringe a una guerra fratricida per l'unica risorsa disponibile: l'attenzione, se non l'amore, del padrone. Le loro sono battaglie meschine, certo, ma nate da una fame atavica di sopravvivenza e riconoscimento, un "gioco" di palazzo la cui posta in gioco è la dignità e la sanità mentale.
L’uomo sceglierà ogni notte la concubina con cui condividere il letto e dopo la scelta una lanterna rossa sarà posta sulla porta della prescelta che dovrà esaudire la richiesta. Questo rito notturno è il cuore pulsante e visivo del film, un balletto macabro di speranza e delusione. La lanterna rossa, simbolo di prestigio e momentanea supremazia, è in realtà un vessillo di schiavitù, una luce che illumina la prigione anziché la libertà. Il suo rito di accensione è accompagnato da un massaggio ai piedi, un'intimità forzata che precede il "dovere", svuotando l'atto sessuale di ogni affetto e riducendolo a una mera transazione di potere. Il padrone stesso, figura quasi spettrale, raramente mostrato in volto, è il Grande Fratello invisibile che controlla le sorti di queste donne, rendendo la loro lotta ancora più disperata perché contro un'autorità impalpabile, onnipresente eppure assente.
Gli intrighi del palazzo sono al centro di quest’opera che fa di Songlian il perno intorno a cui ruota l’intera vicenda. Assistiamo a una spirale di inganni: la falsa gravidanza di Songlian per ottenere favori, la scoperta della sua menzogna da parte della gelosa cameriera Yan'er (che ironicamente desidera il suo posto, dimostrando come la servitù sia anch'essa intrappolata nella stessa logica di potere), fino all'epilogo agghiacciante che vede la condanna di Meishan per adulterio. Ogni manovra è un passo ulteriore nella corruzione dell'anima di Songlian, che da vittima si fa carnefice, imparando troppo bene le regole del gioco che inizialmente detestava. La sua presunta "purezza" si sfilaccia progressivamente, vittima della sua stessa intelligenza che, invece di salvarla, la rende più acuta nel percepire la propria miseria e nel tentare strategie di sopravvivenza, per poi finire annientata da esse.
È davvero difficoltoso seguire tutte le trame che cortigiani e concubine ordiscono, ma la purezza immacolata di Songlian sembra rimanere un punto fermo della narrazione, quasi un sospirato approdo in mezzo al vorticare degli eventi. Tuttavia, è proprio qui che il genio di Zhang Yimou si rivela più spietato: Songlian non mantiene la sua purezza. È macchiata, corrotta, e infine annientata dal sistema. Il suo collasso mentale alla fine del film, che la vede vagare come un fantasma tra le mura della dimora, non è la preservazione di un'integrità, ma la sua totale dissoluzione, l'ultima, tragica conseguenza di un'esistenza negata. La sua figura non è un faro di speranza, ma un monito terrificante sulla distruttività di un potere oppressivo e sulla futilità della resistenza individuale contro una struttura così monolitica. Il film si chiude con l'arrivo di una nuova, giovanissima concubina, a indicare la ciclicità ineluttabile e la permanenza di queste dinamiche.
Grandioso film di Yimou Zhang, regista che ha schiuso le porte della sterminata cultura cinese aprendo squarci illuminati dove intravedere una società intessuta di rituali millenari. Parte della cosiddetta "Quinta Generazione" di registi cinesi, Zhang Yimou, con opere come Sorgo Rosso, Ju Dou e questo capolavoro, ha saputo infondere alla bellezza visiva una critica sociale pungente, spesso scontrandosi con la censura del regime. Qui, la sua estetica formale si fonde con una profondità psicologica che ricorda i grandi melodrammi classici, ma con una freddezza distaccata che li eleva a un livello di studio antropologico. La performance di Gong Li, musa e compagna di vita del regista all'epoca, è magnetica: la sua Songlian è un'esplosione di orgoglio, vulnerabilità e disperazione contenuta, capace di esprimere interi mondi interiori con un solo sguardo. "Lanterne Rosse" non è solo un film sulla condizione femminile o sulla Cina del primo Novecento; è un'allegoria universale sul potere, l'oppressione e la distruzione dell'individuo in nome di tradizioni e strutture sociali che, pur nella loro apparente magnificenza, celano una brutalità intrinseca. È un'opera che, come poche altre, riesce a essere al contempo uno studio di costume meticoloso e una straziante tragedia umana.
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