Movie Canon

The Ultimate Movie Ranking

Scarface

1983

Vota questo film

Media: 4.00 / 5

(1 voti)

Diretto da un ispirato Brian De Palma e sceneggiato da Oliver Stone, Scarface si erge a forse uno dei migliori remake di sempre: il film è tratto infatti dallo Scarface di Howard Hawks del 1932, con uno strepitoso Paul Muni nel ruolo di Tony Camonte. Ma definire l'opera di De Palma un mero "remake" sarebbe riduttivo; è piuttosto una rivisitazione sismica, un'audace rilettura che non si limita a un aggiornamento temporale, bensì a una profonda rielaborazione culturale e tematica dell'archetipo del gangster, trasfigurandolo dalla figura del bootlegger della Proibizione all'epico signore della droga del neon-drenched anni Ottanta.

Qui, al posto della ruggente Chicago degli anni ’20 del film di Hawks, avvolta nelle nebbie del proibizionismo e nell'ombra delle faide italo-americane, c’è l’assolata Miami degli anni ’80. Un decennio non a caso soprannominato "The Decade of Greed", dove l'arrivo di Tony Montana nel 1980 si situa in un contesto storico preciso e turbolento: quello dell'esodo di Mariel. La legge di Castro, che svuotò le prigioni cubane, riversò sulle coste della Florida un'onda anomala di esuli, tra cui numerosi criminali e reietti, non propriamente disposti a lavori umili per sbarcare il lunario. Miami, da placida meta turistica, divenne in pochi anni l'epicentro di un nuovo, brutale Eldorado della cocaina, una città che l'opera di De Palma dipinge con saturazione cromatica e luci al neon, quasi fosse un personaggio a sé, vibrante e corrotto, seducente e letale.

L’ascesa di uno di questi esuli, Tony Montana, ai vertici del crimine è anche il viaggio iniziatico di un giovane Al Pacino attraverso gli oscuri meandri della perdizione. Un viaggio, va detto, che Pacino intraprende con una foga e un'intensità quasi method-acting, cesellando un'interpretazione iconica che oscilla tra il ruggito animalesco e il lamento della paranoia, rendendo Tony un antieroe magnetico e repulsivo al tempo stesso. Non è solo un gangster che scala la piramide; è un uomo le cui ambizioni smodate sono inversamente proporzionali alla sua capacità di autocontrollo e discernimento, destinato a implodere sotto il peso della propria hybris.

Tony inizierà la sua carriera rubando una partita di droga da trafficanti colombiani in una scena davvero memorabile: rinchiuso nel bagno, è costretto ad assistere allo smembramento di un suo compagno con una motosega. Quella sequenza, brutale e quasi insostenibile per il suo realismo crudo, non è gratuita: è un battesimo di fuoco, un rito di passaggio che De Palma calibra con chirurgica precisione per immergere lo spettatore nella cruda realtà della violenza senza compromessi. La sua liberazione e l'implacabile vendetta che ne segue sono una dichiarazione programmatica. Questo primo gesto criminoso ci offre già la cifra estetica del film e la dimensione criminale di Tony: uomo spietato e determinato a perseguire i suoi obiettivi, ma anche un individuo il cui codice morale, seppur distorto e primitivo, risponde a una logica interna di lealtà – o di vendetta per il tradimento – che lo distingue dalla fredda calcolatrice di Sosa.

Brian de Palma ci regala altre scene indimenticabili, culminando nella sparatoria finale in cui Tony si batte come un leone, arringando i sicari che sono entrati in casa sua per ucciderlo e brandendo un mitra con possanza oplitica. Questa sequenza non è solo un’esplosione di violenza, ma un'orchestrazione quasi wagneriana della distruzione, un culmine operistico in cui la megalomania di Tony si scontra con la sua ineluttabile caduta. La villa lussuosa si trasforma in una fortezza assediata, un mausoleo dorato per il suo re folle. Ma l'arte di De Palma non si esaurisce nella rappresentazione dell'eccesso; essa risiede nella sua capacità di orchestrare il melodramma criminale con un'estetica barocca, fatta di carrelli ipnotici, inquadrature virtuosistiche – si pensi all'uso dello split diopter – e una saturazione cromatica che esalta la corruzione del sogno americano.

Un’attenzione maniacale alla genesi psicologica del protagonista rende quest’opera unica: una sorta di prontuario sulla corruzione delle emozioni e sulla deriva umana in senso lato. Scarface è, in fondo, un dramma shakespeariano trapiantato nell'opulenza kitsch degli anni '80, dove l'ambizione sfrenata di Tony Montana si scontra con la sua irrimediabile hybris. Non c'è redenzione per lui, solo l'ineluttabile caduta che segue l'eccesso di potere e la perdita di ogni barlume di umanità e affetto, persino verso la sorella Gina o il fidato Manny. A ciò si aggiunga la penna affilata di Oliver Stone, che cesella dialoghi taglienti, intrisi di volgarità e disillusione, dipingendo un affresco crudo e senza filtri del ventre molle del sogno americano, un sogno che per Tony si rivela una chimera autodistruttiva. Il periplo del protagonista nel mondo del crimine è anche il suo oscuro viaggio verso la devastazione morale del proprio io, una discesa agli inferi personale che lo trasforma da ambizioso immigrato in un tiranno paranoico e isolato, imprigionato nella sua stessa ricchezza. Scarface è più di un film di gangster: è un'opera che, nonostante l'iniziale accoglienza controversa, ha saputo trascendere il genere per diventare un'icona culturale, un monito sulla vacuità di un successo fondato sulla violenza e sull'ossessione, e un capolavoro senza tempo sulla caduta di un anti-eroe che voleva il mondo, ma che alla fine ha ottenuto solo una morte solitaria e fragorosa.

Galleria

Immagine della galleria 1
Immagine della galleria 2
Immagine della galleria 3
Immagine della galleria 4
Immagine della galleria 5
Immagine della galleria 6
Immagine della galleria 7
Immagine della galleria 8
Immagine della galleria 9
Immagine della galleria 10

Commenti

Loading comments...