Se mi lasci ti cancello
2004
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Regista
Nel firmamento delle opere che tentano di mappare l'inestricabile territorio dell'amore e della memoria, poche brillano con la luce paradossale e struggente di Eternal Sunshine of the Spotless Mind. Quest'opera non è semplicemente un film; è un'ordalia proustiana filtrata attraverso la sensibilità di Philip K. Dick, un sonetto romantico scritto con l'inchiostro del surrealismo e rilegato in una copertina di fantascienza lo-fi. L'architetto di questo labirinto mentale, Charlie Kaufman, sceneggiatore che ha fatto dell'esplorazione della coscienza il suo terreno di gioco prediletto, concepisce una premessa tanto semplice quanto devastante: e se potessimo cancellare chirurgicamente i ricordi di un amore finito? Michel Gondry, un regista la cui immaginazione sembra funzionare con la logica onirica di un artigiano sognatore, traduce questo congegno narrativo in un'esperienza visiva che è al contempo tattile e ineffabile.
Il film si apre su un grigiore esistenziale che avvolge Joel Barish, incarnato da un Jim Carrey miracolosamente sottratto al suo repertorio di maschere comiche. Il suo Joel è un uomo-bozzolo, la cui interiorità è una tela bianca su cui la vita ha smesso di dipingere. La sua decisione impulsiva di saltare il lavoro per prendere un treno per Montauk è il sasso lanciato nello stagno della sua routine, l'evento scatenante che, scopriremo, non è un inizio ma un ritorno, un'eco di un'origine che la sua mente ha espulso. Lì incontra Clementine Kruczynski, una Kate Winslet pirotecnica e vulnerabile, i cui capelli cambiano colore come le stagioni emotive di un'anima irrequieta. Clementine non è la classica "Manic Pixie Dream Girl", quel trito cliché di una donna eccentrica che esiste solo per salvare il protagonista maschile dalla sua noia. Kaufman e Winslet le infondono una profondità e un'autonomia tragiche. È lei, per prima, a rivolgersi alla Lacuna Inc. per cancellare Joel. Il suo capriccio non è un vezzo, ma una disperata forma di autodifesa.
La genialità della struttura kaufmaniana risiede nel suo svolgimento a ritroso. Non assistiamo alla nascita, crescita e morte di un amore, ma alla sua demolizione controllata, ricordo per ricordo, partendo dalla fine rancorosa per risalire, attraverso un doloroso processo di archeologia emotiva, fino al nucleo incandescente del primo incontro. Questo viaggio all'indietro all'interno del subconscio di Joel è il cuore pulsante del film, dove la regia di Gondry esplode in tutta la sua inventiva. Lontano dalla fredda perfezione della CGI, Gondry opta per un'estetica artigianale, quasi teatrale, fatta di effetti ottici in camera, prospettive forzate e scenografie che si sgretolano letteralmente sotto i nostri occhi. La libreria in cui i volti dei libri diventano maschere bianche, la cucina d'infanzia in cui Joel-adulto si rannicchia sotto il tavolo come un bambino, il letto trasportato sulla spiaggia ghiacciata di Montauk: non sono virtuosismi fini a se stessi, ma la perfetta trasposizione visiva della fragilità e della soggettività della memoria. È un surrealismo che non ha la magniloquenza di Dalí, ma la malinconia intima di un Magritte, dove oggetti comuni sono decontestualizzati per rivelare una verità emotiva più profonda.
Mentre la procedura di cancellazione avanza, Joel, ormai passeggero impotente nel suo stesso paesaggio mentale, inizia una disperata resistenza. Si aggrappa ai frammenti di Clementine, cercando di nasconderla nei recessi più remoti della sua memoria, in ricordi d'infanzia dove lei non dovrebbe esistere. In questa fuga impossibile, il film pone la sua domanda fondamentale, un quesito che riecheggia da secoli nella letteratura e nella filosofia: è preferibile una mente immacolata, "spotless", o la cicatrice indelebile di un'esperienza vissuta, anche se dolorosa? Il titolo, prelevato da un verso di Alexander Pope, "Eloisa ad Abelardo", invoca proprio questo dilemma: "How happy is the blameless vestal's lot! / The world forgetting, by the world forgot. / Eternal sunshine of the spotless mind! / Each pray'r accepted, and each wish resign'd". Pope descrive una felicità basata sull'ignoranza, sulla cancellazione del desiderio e del dolore. Ma il film di Gondry e Kaufman ribalta questa prospettiva. La "luce eterna" della mente immacolata si rivela non una beatitudine, ma un vuoto, un'esistenza priva di quella trama di imperfezioni, gioie e dolori che ci rende umani. Joel scopre che persino i ricordi più amari sono intrecciati a momenti di pura bellezza, e che cancellare gli uni significa sacrificare anche gli altri.
Il contesto in cui il film emerge, i primi anni 2000, è cruciale. Siamo in un'epoca di transizione, all'alba dell'era digitale di massa, dove l'idea di poter curare e modificare la nostra vita, le nostre relazioni, i nostri profili, sta iniziando a prendere forma. Lacuna Inc., la società che offre il servizio di cancellazione, non è una corporation orwelliana, ma una start-up quasi patetica, con impiegati un po' sbandati (un giovane Mark Ruffalo, Elijah Wood e Kirsten Dunst) che eseguono la procedura con una superficialità sconcertante, bevendo birra e amoreggiando mentre smantellano l'anima di un cliente. Questa rappresentazione "banale" del male, o meglio, della sconsideratezza tecnologica, è profetica. Anticipa la nostra attuale tendenza a trattare le emozioni e le relazioni umane come dati da poter gestire, archiviare o, appunto, cancellare con un clic.
A rafforzare la tesi del film interviene il sottotesto meta-narrativo che coinvolge proprio i dipendenti della Lacuna. La scoperta di Mary (Dunst) di aver avuto una relazione con il Dottor Mierzwiak (Tom Wilkinson) e di essersi sottoposta lei stessa alla procedura, agisce come una sorta di coro greco, un commento etico sulla vicenda principale. La sua ribellione, l'invio delle cassette con le registrazioni a tutti i vecchi clienti, è l'atto che rompe il ciclo dell'oblio autoimposto, costringendo i personaggi a confrontarsi con la verità del loro passato. È un meccanismo narrativo che eleva il film da dramma romantico a parabola morale sulla necessità della memoria collettiva e individuale.
L'epilogo è di una maturità disarmante. Joel e Clementine, dopo aver ascoltato le registrazioni del loro disprezzo reciproco, si ritrovano sulla soglia di un nuovo inizio, pienamente consapevoli del fallimento che li attende. Sanno che la noia, il risentimento, le piccole crudeltà che hanno distrutto il loro primo amore torneranno. "I'll get bored with you and feel trapped because that's what happens with me," ammette lei. "Okay," risponde lui, con una semplicità che racchiude un universo di accettazione. Quell'"okay" non è rassegnazione, ma un atto di fede laico. È la scelta consapevole di abbracciare l'imperfezione, di accettare che l'amore non è una destinazione idilliaca ma un processo caotico, un continuo negoziato con i difetti dell'altro e con i propri. È il riconoscimento che la bellezza di un legame non risiede nella sua perfezione, ma nella sua resilienza, nella volontà di riprovarci nonostante la certezza del dolore. In questo, Eternal Sunshine si distacca da ogni romanticismo convenzionale per approdare a un umanesimo radicale e commovente. È un film che, come i ricordi migliori, si rifiuta di svanire, rimanendo impresso non solo nella mente, ma nell'anima, come la più preziosa e indelebile delle macchie.
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