Segreti e Bugie
1996
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Regista
Secrets & Lies è forse il film più maturo e riflessivo di un grande uomo di cinema qual è Mike Leigh.
Vincitore della Palma d’Oro all’edizione del festival di Cannes del 1997, resta un’opera centrale del cinema britannico, un monolite nella filmografia di un autore che ha sempre saputo plasmare la materia umana con una sensibilità quasi antropologica. Mike Leigh mette sul palcoscenico una donna con le sue piccole nevrosi e il suo disperato desiderio di sapere chi l’abbia generata. Ma non si tratta di una mera vicenda di ricerca delle origini; è piuttosto un'esplorazione meticolosa del peso del non detto, delle verità nascoste che erodono i legami familiari e dell'inevitabile catarsi che la loro emersione provoca.
La sua astuta profondità di campo nel perlustrare le menti, le emozioni e i più reconditi pensieri dei personaggi in gioco fanno di quest’opera una pellicola assai interessante e con una bellezza intrinseca che nasce proprio da quest’acuta indagine psicologica. Questo approccio è la quintessenza del metodo Leigh, fondato su lunghe sessioni di improvvisazione e sviluppo dei personaggi, spesso portate avanti per mesi con gli attori. Un processo che consente una mimesi della realtà quasi documentaristica, dove ogni gesto, ogni esitazione, ogni sguardo tradisce una storia pregressa, un vissuto denso e palpabile. Non a caso, Leigh stesso ha spesso paragonato la sua metodologia a quella di un archeologo che scava strato dopo strato per rivelare la verità sottostante. È in questa paziente tessitura delle personalità che il film acquisisce la sua straordinaria autenticità e la sua commovente risonanza emotiva, distinguendosi da un semplice dramma familiare per elevarsi a una disamina universale della condizione umana e della costruzione dell'identità.
La storia è incentrata su una giovane donna, Hortense (interpretata con una quieta dignificazione da Marianne Jean-Baptiste), che intende ad ogni costo scoprire le sue vere radici, dopo la morte dei genitori adottivi con cui ha trascorso la vita. La sua ricerca la porterà dalla madre naturale, Cynthia (Brenda Blethyn, in una performance che le valse il Premio come Migliore Attrice a Cannes, un turbine di vulnerabilità e goffaggine emotiva), una donna fragile e nevrotica, in balia di un complesso rapporto affettivo con i due figli, Roxanne e Maurice. Il nucleo centrale del film, tuttavia, non si esaurisce nella semplice ricongiunzione, ma si ramifica nella complessa rete di relazioni che circondano Cynthia: il fratello Maurice, fotografo di successo e uomo taciturno, la cui vita agiata contrasta con la precarietà emotiva della sorella, e sua moglie Monica, prigioniera di un silenzio assordante e di una frustrazione repressa. Ognuno di loro è custode di un proprio "segreto" o "bugia", piccole o grandi omissioni che hanno contribuito a plasmare una realtà familiare intrisa di non detti e incomprensioni.
Una festa di compleanno della donna sarà l’occasione per riportare a galla i problemi di un’intera vita di sofferenza repressa, una sorta di resa dei conti emotiva in cui la verità, finalmente pronunciata, agisce come un bisturi, doloroso ma necessario. La sequenza della confessione, una delle più potenti e tese del cinema contemporaneo, è un tour de force recitativo e registico, un esempio magistrale di come la macchina da presa possa catturare la più sottile vibrazione dell'anima umana.
I dialoghi sono il pilastro narrativo del film, hanno una forza malinconica, sono sempre in qualche modo irrisolti, lasciano lo spettatore con un senso di attesa che non si stempera ma resta in forma beckettiana a corrodere il cuore. Non sono semplici scambi di battute, ma veri e propri flussi di coscienza, spesso interrotti, carichi di implicazioni e di quel sottotesto che solo l'occhio attento di Leigh sa cogliere e restituire. Questa "beckettiana" sospensione, che evoca la disillusione e l'assurdità dell'esistenza propria del teatro dell'assurdo, si manifesta nell'incapacità dei personaggi di comunicare pienamente, intrappolati nelle loro ansie e nelle convenzioni sociali. È attraverso queste imperfezioni linguistiche che il dramma si fa universale, rispecchiando le difficoltà quotidiane di ogni individuo nel connettersi autenticamente con gli altri.
Opera di forte impatto emotivo con attori all’altezza dello script e un regista che cesella la sfera emozionale di ogni personaggio con certosina pazienza. Il film si inserisce pienamente nel solco del realismo sociale britannico, pur trascendendone i confini per abbracciare una profondità psicologica rara. Non si limita a ritrarre un segmento di società, ma ne disseziona le dinamiche più intime, quelle che definiscono l'essere umano al di là delle sue contingenze socio-economiche. In questo senso, "Segreti e Bugie" non è solo un capolavoro di Mike Leigh, ma un'opera che continua a risuonare, invitando a riflettere sul significato di famiglia, di appartenenza e sull'inevitabile, dolorosa, ma liberatoria necessità della verità. La sua risonanza è tale da renderlo un punto di riferimento non solo per il cinema britannico, ma per l'intera cinematografia mondiale che intende esplorare le complesse sfaccettature dell'animo umano con autenticità e spietata onestà.
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