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Snatch – Lo Strappo

2000

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Immaginatevi una sorta di contenitore che fonda Dickens, il Pulp e il Vaudeville: aggiungetegli una spruzzata di cultura underground londinese et voilà, avrete ottenuto la cifra estetica di Snatch, il secondo film di Guy Ritchie dopo l’ottimo Lock and Stock (1998). Il paragone con Dickens non è peregrino solo per la folla di personaggi grotteschi e memorabili che popolano i bassifondi di una Londra vividamente post-industriale, ma per la sottile critica sociale che affiora, mascherata da humour nero, sulla disperata ricerca di un riscatto economico, sulla povertà morale che si cela dietro la patina della criminalità organizzata. L'elemento pulp, d'altro canto, si manifesta nell'iper-stilizzazione della violenza, nel montaggio frenetico e nella narrazione non lineare che salta tra diverse trame intrecciate, omaggiando senza sfacciataggine maestri come Tarantino. Il Vaudeville, infine, permea la comicità slapstick e le performance quasi teatrali, caricaturali, che rendono ogni personaggio un'icona immediata, un archetipo riconoscibile nel pantheon dei freaks metropolitani. Con Snatch, Ritchie non si limita a replicare la formula di successo del suo predecessore; la eleva, la raffinata, plasmare un linguaggio cinematografico che diventerà la sua inconfondibile firma, inaugurando di fatto un sottogenere nel cinema britannico.

Un film assolutamente pirotecnico questo Snatch dove personaggi quasi fiabeschi nella loro stravagante vitalità popolano i sobborghi di Londra. La "pirotecnia" non si esaurisce nella semplice vivacità dei personaggi o nella sequenza incessante di eventi: è un'esplosione controllata di stile, un'orchestra di voci narranti, di musica pop e rock che scandisce il ritmo serrato, di freeze-frame e ralenti che enfatizzano momenti chiave, quasi a voler fermare e contemplare l'assurdità di un istante. Ogni inquadratura è carica di energia cinetica, ogni dialogo è un proiettile scagliato a bruciapelo, e la Londra che ne emerge non è la cartolina turistica, ma un dedalo di vicoli e magazzini, di pub malfamati e ring clandestini, dove la vita è un costante rodeo senza regole, un teatro dell'assurdo illuminato dai neon sporchi della notte.

Il Turco e il suo compare sono alla ricerca di un affare nel giro della boxe clandestina, ma sfortunatamente il loro pupillo viene massacrato da uno zingaro pazzo e mingherlino che picchia come un fabbro (Brad Pitt). I due cercheranno di assoldare lo zingaro e nel frattempo verranno coinvolti in altri loschi affari. Il vero genio di Snatch risiede nella sua capacità di tessere una ragnatela complessa di sottotrame – il furto di un diamante di proporzioni bibliche, un cane con un debole per i giocattoli cigolanti, un pugile nomade dall'accento incomprensibile e la potenza di un bufalo, scommesse clandestine, e una serie di gangster russi, ebrei, irlandesi e gitani che si calpestano i piedi a vicenda nel tentativo di arricchirsi. La performance di Brad Pitt, in particolare, è una lezione di geniale autodistruzione dell'immagine divistica: il suo "Pikey" è un concentrato di follia imprevedibile, una forza della natura primordiale che disgrega ogni schema logico, consegnando al pubblico uno dei personaggi più iconici del cinema d'inizio millennio. Non è il classico protagonista eroico, ma una variabile impazzita, il jolly in un mazzo di carte truccate.

Un’opera godibilissima, divertente, girata con ironia graffiante da Guy Ritchie, un regista che ci ha sempre favorevolmente impressi. L'ironia di Ritchie non è mai fine a sé stessa; è una lente d'ingrandimento sulla natura umana, sulla grettezza, sull'ambizione meschina e sulla sfortunata fatalità che spesso governa le vite dei suoi personaggi. La sua macchina da presa è un occhio onnisciente, ma anche complice, che si diletta nel mostrare il fallimento tragicomico di ogni piano ben congegnato. Lo stile è riconoscibile all'istante: tagli veloci che spingono l'azione, una colonna sonora onnipresente e perfettamente integrata nella narrazione, dialoghi brillanti e serrati che si muovono tra il gergo di strada e aforismi lapidari. Snatch ha consolidato la reputazione di Ritchie come voce distintiva del cinema britannico, un autore capace di mescolare il pulp con la commedia nera, il gangster movie con la farsa, creando un cocktail esplosivo che ha influenzato generazioni di registi e sceneggiatori.

Si viene trascinati in un vortice di causa-effetto che sembra non avere mai fine, mentre intorno a noi vorticano personaggi dai nomi salgariani: Pallottola al dente Tony, Frankie Quattro dita, Doug La zucca Denovitz, Boris Lametta Yurinov, Testarossa Polford. Questi nomi, più che semplici etichette, sono epiteti, quasi titoli onorifici nel loro mondo sotterraneo. Sono cartelli che annunciano una reputazione, un tratto distintivo, spesso ironico, che definisce l'essenza stessa del personaggio. Il "vortice di causa-effetto" è il cuore pulsante del film: ogni minima azione, ogni errore, ogni scelta impulsiva si ripercuote in un effetto domino inaspettato, trascinando tutti in un turbine di eventi fuori controllo. È una riflessione sulla casualità, sull'impossibilità di dominare il caos, e su come il destino si prenda gioco delle ambizioni umane, trasformando i criminali più scaltri in semplici pedine di una partita che non riescono a comprendere. In questo universo, il controllo è un'illusione, e la fortuna – o la sfortuna – è l'unico vero arbitro.

Il carattere dei personaggi viene fuori spesso dal monologo interiore del Turco, una sorta di narratore sbracato e irriverente che commenta lo svolgersi dell’azione. Non è solo un commentatore, ma una guida sardonica attraverso le pieghe più oscure e ridicole della malavita londinese, un Virgilio dal lessico colorito che interpreta e giudica, offrendo una prospettiva cinica ma sorprendentemente lucida sulla legge della giungla urbana. Dice il Turco per descrivere la caparbietà dello Zingaro: “Avete mai attraversato la strada guardando dalla parte sbagliata? e c’è una macchina che vi viene addosso? Allora voi che fate? Una cosa molto stupida: vi fermate! e non rivedete tutta la vostra vita perché avete troppa paura per pensare. Vi fermate e fate una faccia da scemi, ma lo zingaro no. Perché? Perché aveva già in mente di andare lui addosso alla macchina.” Questa frase, più di ogni altra, sintetizza la filosofia del film e la natura indomita dello Zingaro. È un manifesto della resilienza bruta, della capacità di sovvertire le aspettative, di trasformare l'inevitabile in una scelta volontaria. È il trionfo dell'istinto sulla ragione, del caos sull'ordine prestabilito, e dell'imprevedibilità che rende la vita e, in questo caso, il cinema di Guy Ritchie, così irresistibilmente imprevedibile e straordinariamente divertente. Snatch è un classico moderno che ha ridefinito il genere gangster con la sua energia travolgente e il suo inconfondibile umorismo.

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