Movie Canon

I 1000 Film da Vedere Prima di Morire

Spettacolo di varietà

1953

Vota questo film

Media: 4.33 / 5

(3 voti)

Un treno sferraglia nella notte, fendendo una provincia italiana che non è più il paesaggio martoriato del Neorealismo puro, ma non ancora la fantasmagoria onirica del boom economico. Dentro quel vagone di terza classe, santuario mobile di speranze a buon mercato e disillusioni stantie, dorme un'umanità raccolta in se stessa: la compagnia di avanspettacolo "I Vagabondi delle Stelle". È un'immagine inaugurale che è già una dichiarazione di poetica, un microcosmo che contiene l'intero universo di Spettacolo di varietà. Il film, ufficialmente un'opera a quattro mani tra il solido e strutturato Alberto Lattuada e un esordiente di nome Federico Fellini, è in realtà il punto di collisione tra due sguardi, il terreno di una fertile battaglia estetica da cui germoglierà uno dei più grandi immaginari del Novecento.

Guardare Spettacolo di varietà oggi significa assistere a una sorta di Big Bang cinematografico in scala ridotta. Si percepisce la gravità narrativa di Lattuada, il suo occhio attento alla costruzione del racconto, al realismo psicologico dei personaggi. Ma sotto questa crosta, preme e ribolle l'energia anarchica, grottesca e compassionevole di Fellini. Ogni caratterista, ogni volto segnato che popola la compagnia di Checco Dal Monte (un Peppino De Filippo magistrale, patetico e guascone) è già una creatura del circo felliniano. Sono i parenti poveri, i prototipi sbiaditi di Zampanò, del Matto, di Cabiria. Esistono in una dimensione crepuscolare, sospesi tra la miseria materiale e una fame ontologica di applausi, di riconoscimento, di un'esistenza che sia qualcosa di più di una semplice sopravvivenza.

La dialettica del film è squisitamente pirandelliana. Il palco non è una via di fuga dalla vita, ma la sua continuazione con mezzi più vistosi e disperati. Checco Dal Monte non è semplicemente un capocomico; è un personaggio in cerca di un ruolo migliore, quello dell'impresario di successo, del talent scout infallibile, dell'amante irresistibile. Si costruisce una maschera di cialtroneria e boria per nascondere il terrore del fallimento e della vecchiaia. Quando la giovane e ambiziosa Liliana (una Carla Del Poggio che incarna la spietata innocenza del desiderio) entra nella sua orbita, non fa che offrirgli un nuovo copione da recitare, più seducente e pericoloso. La loro relazione è un duetto tragico tra chi crede ancora di poter scrivere la propria parte e chi è disposta a tutto pur di strappare quella di qualcun altro.

È impossibile non leggere l'opera in controluce rispetto al coevo cinema americano. Se a Hollywood il musical "backstage" come 42nd Street era la celebrazione del sogno americano, la macchina spettacolare dove il talento e il duro lavoro portavano inevitabilmente al trionfo sotto le luci della ribalta, Spettacolo di varietà ne è l'antitesi malinconica e profondamente europea. Qui, lo spettacolo è sgangherato, le luci sono fioche, i teatri sono gelidi e il successo è un miraggio che, quando si materializza per Liliana, assume i contorni cinici di un compromesso. Il sogno non è una scalata verso il cielo, ma una fuga orizzontale, da una provincia all'altra, in un eterno ritorno su un treno che sembra correre su un binario circolare.

In questo, il film si allontana dal Neorealismo canonico, pur essendone figlio. La povertà non è più solo quella del dopoguerra, della mancanza di pane e lavoro. Diventa una povertà dell'anima, una "fame di gloria", come la definisce Checco. La macchina da presa non indugia sulle macerie fisiche, ma esplora quelle psicologiche. È un Neorealismo che ha smesso di guardare all'esterno per rivolgere lo sguardo all'interno, verso le illusioni e le ferite di personaggi che, come gli eroi di Čechov, sognano Mosca – o in questo caso, Milano e il Lirico – mentre restano intrappolati nella mediocrità di un'esistenza provinciale. Il loro dramma non è la fame, ma l'irrilevanza.

Fellini, qui, è un alchimista che trasforma il piombo della realtà quotidiana nell'oro della sua visione. La sua mano è evidente nella galleria di volti, nei corpi non convenzionali, nell'amore per il dettaglio bizzarro: la soubrette sovrappeso, il comico con la sua battuta tormentone, il trombettista malinconico. E poi c'è lei, Giulietta Masina, nel ruolo della fedele Melina, fidanzata tradita di Checco. Il suo volto è già una maschera chapliniana, un paesaggio emotivo su cui si disegnano la devozione, la sofferenza e una resilienza quasi ultraterrena. Quando, nel finale, accoglie di nuovo Checco sul treno, senza una parola di recriminazione ma con uno sguardo che contiene tutta la tristezza e l'amore del mondo, stiamo già assistendo alla nascita di Gelsomina. Non è un personaggio, è un archetipo.

Meta-testualmente, il film stesso è il suo soggetto: uno spettacolo composito, a tratti diseguale, frutto della collaborazione di due "impresari" con visioni diverse, proprio come la compagnia di Checco. Si avverte la tensione tra la narrazione più classica di Lattuada e le fughe in avanti, visionarie e grottesche, di Fellini. Questa dualità, lungi dall'essere un difetto, è la sua forza. Rende Spettacolo di varietà un oggetto cinematografico unico, un fossile che cattura l'istante esatto di una transizione, come un anello di congiunzione evolutivo tra il cinema del passato e quello del futuro.

La sequenza finale è emblematica. La compagnia si ritrova sul solito treno, dopo il fallimento di Checco e il successo effimero di Liliana. Nulla è cambiato, eppure tutto è diverso. Le illusioni si sono incrinate, i sogni sono stati ridimensionati. Checco, adocchiando un'altra giovane aspirante, ricomincia a recitare il suo stanco copione da talent scout. Non è un lieto fine, né una tragedia conclamata. È qualcosa di più sottile e crudele: la constatazione di un ciclo perpetuo, di un'eterna coazione a ripetere. È la stessa disperata speranza che spinge i personaggi di F. Scott Fitzgerald a remare "controcorrente, risospinti senza posa nel passato". Il sipario cala, ma lo spettacolo della vita, con la sua fragile, assurda e commovente messinscena, continua. E in quel vagone notturno, abbiamo appena visto nascere un mondo.

Generi

Galleria

Immagine della galleria 1
Immagine della galleria 2
Immagine della galleria 3
Immagine della galleria 4
Immagine della galleria 5
Immagine della galleria 6
Immagine della galleria 7

Commenti

Loading comments...