Spider-Man - Un nuovo universo
2018
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L'impatto di un'opera d'arte realmente seminale si misura dalla sua capacità di alterare la percezione di ciò che un medium può essere. Non si limita a raccontare una storia superba; ricalibra la grammatica stessa del suo linguaggio. Spider-Man: Un nuovo universo non è semplicemente un film d'animazione supereroistico eccellente; è un'epifania visiva, una tesi di laurea in semiotica pop e, soprattutto, un atto di liberazione cinematografica. La sua comparsa nel 2018 è stata l'equivalente, per l'animazione mainstream occidentale, di ciò che l'arrivo di Quarto Potere fu per la sintassi del cinema sonoro: un'esplosione di tecniche e possibilità che ha reso improvvisamente obsoleto quasi tutto ciò che l'aveva preceduto.
Per decenni, l'animazione digitale di matrice americana è stata incatenata a un'estetica di mimetismo iperrealistico, una corsa agli armamenti tecnologici per levigare ogni superficie, perfezionare ogni riflesso, simulare la fisica del mondo reale con una fedeltà quasi ossessiva. Lord, Miller e il trio di registi (Bob Persichetti, Peter Ramsey, Rodney Rothman) compiono un'inversione a U copernicana. Invece di far assomigliare l'animazione alla realtà, piegano la realtà cinematografica per farla assomigliare, sentire e respirare come un fumetto. Il film non adatta semplicemente un comic book; lo diventa. Lo schermo si trasforma in una tavola vivente, dove i punti Ben-Day non sono un vezzo nostalgico ma un elemento strutturale della texture visiva, dove le aberrazioni cromatiche della stampa CMYK diventano un filtro espressionista, dove le onomatopee ("THWIP", "BOOM") non sono un suono aggiunto ma un oggetto grafico che invade lo spazio tridimensionale. È Pop Art in movimento, un Roy Lichtenstein che ha divorato la teoria della relatività e l'ha rigurgitata in un trip psichedelico. L'uso differenziato del frame rate – Miles Morales che si muove "a due" (12 frame al secondo), goffo e incerto, per poi passare "a uno" (24 fps) nel momento della sua piena auto-realizzazione – non è un virtuosismo tecnico fine a se stesso; è narrazione pura, la curva di apprendimento di un eroe inscritta direttamente nel tessuto visivo del film.
Questa rivoluzione estetica è il veicolo perfetto per una decostruzione altrettanto radicale del mito di Spider-Man. Il film si presenta come un palinsesto, un'opera stratificata che non solo conosce a menadito i sessant'anni di storia del suo protagonista, ma li fagocita e li riorganizza in una narrazione che è, in essenza, profondamente postmoderna. L'idea del multiverso, qui, trascende il mero espediente fantascientifico per diventare una metafora letteraria potentissima, quasi borgesiana. Se Jorge Luis Borges, ne "Il giardino dei sentieri che si biforcano", immaginava un libro labirintico contenente tutte le possibili conclusioni di una storia, Un nuovo universo applica lo stesso principio a un'icona culturale. Esistono infiniti Spider-Man perché esistono infinite versioni della stessa, fondamentale storia di potere e responsabilità.
Il film mette in scena questo concetto assemblando un cast che è un pastiche stilistico e generazionale: il Peter B. Parker depresso e fuori forma, archetipo dell'eroe di mezza età in crisi; la Spider-Gwen cinetica e stilosa, proveniente da un mondo dipinto ad acquerelli acidi; lo Spider-Man Noir, un'ombra espressionista intrappolata in un film di Fritz Lang; Peni Parker, un'esplosione di estetica anime; e Spider-Ham, un'anomalia slapstick partorita dalla mente di Tex Avery. Ognuno di loro non è solo un personaggio, ma un intero genere, una diversa tradizione artistica costretta a coesistere nella stessa inquadratura. Questa collisione di stili non genera cacofonia, ma una sinfonia visiva che celebra la plasticità del mito. Il film ci dice che Spider-Man non è una persona, ma un'idea, un ruolo che può essere – e deve essere – abitato da chiunque.
Al centro di questo vortice concettuale c'è Miles Morales. La scelta di renderlo protagonista non è una semplice mossa di aggiornamento culturale; è il cuore tematico del film. Miles è un ragazzo afro-latino di Brooklyn, un artista di graffiti che ascolta Post Malone e Swae Lee, un adolescente che lotta con le aspettative di suo padre, poliziotto, e l'affetto per suo zio, una figura più ambigua. La sua specificità culturale è fondamentale. La colonna sonora hip-hop non è un semplice sottofondo, ma il battito cardiaco del suo mondo, diegeticamente integrata nella narrazione. Il suo essere un artista di strada informa il suo stile di combattimento e la sua identità visiva. Il film non si limita a "includere" un protagonista di colore; costruisce il suo intero universo sensoriale ed emotivo attorno alla sua esperienza.
La frase chiave, "chiunque può indossare la maschera", diventa così qualcosa di più di un semplice slogan edificante. Diventa una tesi sulla natura stessa dell'eroismo nell'era moderna. In un panorama culturale saturo di canoni rigidi e di franchise ossessivamente controllati, Un nuovo universo compie un gesto di democratizzazione radicale. La maschera non nasconde un'identità, ma la rivela. Permette a Miles di sintetizzare le sue diverse appartenenze – la sua famiglia, la sua arte, la sua eredità – in una nuova, potentissima forma di auto-espressione. Il suo "salto della fede" finale, un tuffo a testa in giù in un canyon di grattacieli che inverte iconograficamente la caduta di Gwen Stacy, è uno dei momenti più catartici e visivamente sbalorditivi del cinema del XXI secolo. È l'apoteosi di un percorso di formazione che è sia personale che universale.
Anche la figura dell'antagonista, Kingpin, è una lezione di character design. Reso come una massa nera, cubista e torreggiante che riempie quasi interamente lo schermo, Wilson Fisk è un'aberrazione fisica, una singolarità gravitazionale di dolore e rabbia. La sua motivazione, per quanto folle nei suoi metodi, è radicata in una tragedia comprensibile: il desiderio di recuperare la famiglia che ha perso. Il suo corpo, sproporzionato e quasi astratto, è la rappresentazione fisica di come il lutto abbia deformato la sua umanità, trasformandolo in un buco nero emotivo che minaccia di risucchiare l'intera realtà.
In definitiva, Spider-Man: Un nuovo universo è un'opera che funziona su ogni livello possibile. È un racconto di formazione commovente e divertente, una lettera d'amore alla storia di un personaggio iconico, un trattato sulla natura del racconto e una rivoluzione estetica che ha aperto la porta a un nuovo modo di concepire l'animazione. Ha dimostrato che questo linguaggio può essere audace, sperimentale e visceralmente cinetico senza sacrificare la profondità emotiva o la complessità intellettuale. Non ha semplicemente raccontato una storia a fumetti; ha insegnato di nuovo al cinema come leggere, e soprattutto come sognare, tra le vignette. Un'opera spartiacque la cui influenza si sta ancora propagando, come l'eco di una grande esplosione creativa.
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