Splendore nell'erba
1961
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Regista
Un’opera di una bellezza sconvolgente questo Splendor in the Grass (titolo mutuato da un verso di Ode on Intimation of Immortality di William Wordsworth), che scatenò morigerati censori per il tema troppo esplicito della sessualità giovanile, finendo inevitabilmente per perdere di vista la delicata poetica dell’opera di Kazan e, a ruota, lo straordinario lavoro d’introspezione psicologica che fa di quest’opera un trattato freudiano scritto su carta patinata. Invero, la censura, miope e ossessionata dalla moralità di facciata, non colse come la forza della pellicola risiedesse proprio nella sua capacità di dissezionare, con brutale onestà, le nevrosi di una società americana imprigionata nelle proprie ipocrisie, rivelando il costo umano della repressione. La trama non è semplicemente una storia d'amore, ma un vero e proprio saggio visivo sulle dinamiche del Super-Io collettivo che schiaccia l'Es individuale, con la giovane Deanie Loomis che incarna la quintessenza della lotta tra desiderio autentico e conformismo soffocante. Kazan, con la sua inconfondibile sensibilità per le psicologie complesse, ci trascina in un abisso di desideri inespressi e divieti taciti che si trasformano in un veleno lento e inesorabile.
La storia è quella della storia d’amore tra due liceali in una piccola cittadina del Kansas nel 1928, un’epoca apparentemente libera e sfrenata – i celebri "Roaring Twenties" – ma che, nelle sue pieghe più intime e provincia, custodiva ancora un puritanesimo ferreo, eredità di un’America profondamente religiosa e conservatrice. Bud Stamper, l'erede di una famiglia facoltosa e rispettata, e Deanie Loomis, una ragazza dal cuore puro e dall'animo sensibile, si ritrovano a navigare le acque tempestose della prima attrazione, della curiosità sessuale e dell'amore nascente in un contesto sociale che eleva la castità a dogma e la reputazione a valuta inestimabile.
Il loro amore verrà contrastato e infine osteggiato dai genitori, preoccupati soltanto della decenza pubblica in un clima moralizzatore da Controriforma, ma con un sottotesto ancor più insidioso: il pragmatismo borghese che antepone il buon nome e la convenienza economica ai sentimenti genuini. Il padre di Bud, ossessionato dalla ricchezza e dalla rispettabilità, e la madre di Deanie, vittima essa stessa di un'educazione repressiva, diventano i carnefici involontari di un amore che, non potendo esprimersi liberamente, è condannato a implodere. Questa dinamica familiare, un classico nello stile di Kazan (si pensi a Fronte del porto o, ancora più esplicitamente, a La valle dell'Eden, dove pure si esploravano i tormenti di un'adolescenza ribelle e incompresa), è il motore della tragedia, un meccanismo inarrestabile che stritola l'innocenza e la spontaneità.
La ragazza ne soffrirà a tal punto da dover essere ricoverata in un istituto psichiatrico, un luogo che, più che curare, sembra certificare il fallimento della società nel gestire le proprie contraddizioni. La sua "follia" è in realtà la manifestazione più acuta di un disagio che è collettivo, un grido disperato contro l'oppressione e la negazione dei propri istinti naturali. L'interpretazione di Natalie Wood in queste sequenze è di una potenza disarmante, un tour de force emotivo che le valse una candidatura all'Oscar e scolpì il suo nome nella storia del cinema. La sua discesa nella depressione e nella psicosi è ritratta con una vulnerabilità così cruda e autentica da risultare quasi insostenibile per lo spettatore, un'eco delle performance "metodiche" che Kazan tanto amava e sapeva estrarre dai suoi attori.
Al suo rientro in società scoprirà che molte cose saranno cambiate. Questo "cambiamento" non è una facile redenzione, ma una presa d'atto amara e necessaria. Bud ha ceduto alle pressioni familiari, sposando una donna che può garantirgli la stabilità economica e sociale, ma senza amore. La Deanie che torna non è più la ragazza ingenua e sognante dell'inizio; è una donna ferita, segnata ma anche, in qualche modo, indurita dalla sofferenza. Il suo splendore adolescenziale si è trasformato in una consapevolezza più matura e tragica. La bellezza poetica, che Wordsworth evoca, non è più quella dell'innocenza intatta, ma quella, più dolorosa ma profonda, della resilienza e della memoria. La scena finale, con Deanie che visita Bud e la sua nuova famiglia, è un capolavoro di sottrazione e di non detto, un addio malinconico a un'epoca e a un amore che non potranno mai più tornare, ma che hanno lasciato un'impronta indelebile nell'anima.
Immensa interpretazione di Natalie Wood che consente a Kazan di lasciar traspirare dal film ogni tema a lui caro: critica sociale, disagio giovanile, forza poetica dei sentimenti. La Wood, affiancata da un Warren Beatty al suo folgorante debutto cinematografico – che con il suo carisma ribelle anticipa la figura del giovane inquieto che avrebbe dominato la scena anni dopo – dona a Deanie una profondità quasi dolorosa. La sua performance non è solo un ritratto della vulnerabilità, ma una denuncia vivente degli effetti devastanti della repressione emotiva. Kazan, da maestro qual era nel dirigere gli attori e nel plasmare atmosfere, costruisce un dramma che, pur ancorato al suo tempo, risuona con una universalità sconcertante. La sua regia è precisa, quasi chirurgica nell'analizzare le dinamiche familiari e sociali, ma al contempo lirica, capace di catturare la bellezza effimera e la brutalità della crescita. Splendor in the Grass non è solo un film sulla perdita dell'innocenza, ma un lamento per i sogni infranti, un monito contro le convenzioni che mortificano lo spirito e una meditazione sulla resilienza dell'anima umana di fronte all'ineluttabilità del destino. Un capolavoro che continua a interrogarci sul prezzo della conformità e sul significato, spesso tragico, della libertà.
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