Movie Canon

I 1000 Film da Vedere Prima di Morire

Il sospetto

1941

Vota questo film

Media: 4.00 / 5

(6 voti)

Abbandonando le nebbie gotiche della Cornovaglia di Rebecca, ma trattenendo la sua protagonista (e futura premio Oscar) Joan Fontaine, Alfred Hitchcock orchestra qui un'opera da camera crudele, un Kammerspiel travestito da thriller romantico, dove la vera prigione non è una magione isolata, ma il vincolo matrimoniale stesso. Il Maestro del Brivido prende il tropo della "damigella in pericolo" e lo interiorizza, trasformando la minaccia esterna in un tarlo psicologico. La domanda che il film pone non è "Chi è l'assassino?", ma "L'uomo che amo, l'uomo con cui dormo, è un assassino?". È un'architettura della paranoia costruita interamente sulla soggettività femminile, e per questo, un'opera di una modernità agghiacciante.

Il colpo di genio assoluto, il fulcro su cui ruota l'intero edificio del dubbio, è il casting. Prendere Cary Grant per il ruolo di Johnnie Aysgarth è una delle mosse più sovversive della storia di Hollywood. Grant, nel 1941, non era un attore: era un'istituzione. Era l'epitome della grazia screwball, l'amante ideale, l'eroe sicuro di sé, il massimo esponente del fascino mid-atlantic. Hitchcock prende questa icona di affidabilità e la perverte. Ogni sorriso smagliante di Johnnie, ogni sua battuta disinvolta, ogni gesto elegante, viene riletto attraverso la lente paranoica di sua moglie, Lina McLaidlaw (Fontaine), come la maschera di un sociopatico. Il suo fascino non è uno strumento di seduzione, è un'arma di distrazione. Hitchcock decostruisce la star persona di Grant, costringendo il pubblico a dubitare di ciò che ama di più. Johnnie è un bugiardo patologico, un giocatore d'azzardo compulsivo, un ladro sfacciato che non esita a sottrarre fondi fiduciari. Il film ci costringe a chiederci: qual è la distanza morale tra un truffatore e un uxoricida? Per Lina, e per noi, quella distanza si assottiglia a ogni scena, a ogni ombra proiettata sulla parete.

E Hitchcock è il maestro supremo di quelle ombre. La mise-en-scène de Il Sospetto è puro espressionismo tedesco trapiantato nelle Home Counties inglesi. La fotografia di Harry Stradling Sr. trasforma una lussuosa villa borghese in un castello gotico. La casa, che dovrebbe essere il simbolo della sicurezza domestica, diventa una trappola. La scala (feticcio architettonico hitchcockiano per eccellenza, da Psyco a La donna che visse due volte) non è un semplice collegamento tra piani, ma un potenziale patibolo, un luogo di transizione tra la sicurezza e la minaccia. L'ombra di Johnnie che sale le scale, proiettata in modo da sembrare un ragno minaccioso, è cinema puro: non mostra il pericolo, mostra l' idea del pericolo. E poi, c'è quel bicchiere di latte. È forse il più famoso MacGuffin emotivo della carriera del regista. In una trovata tecnica leggendaria (inserendo una lampadina all'interno del bicchiere per farlo brillare nel buio), Hitchcock non ci mostra un bicchiere di latte. Ci mostra un calice di veleno radioattivo, un Graal della morte domestica. È l'oggettivazione perfetta, luminosa e terrificante, della paura di Lina. Hitchcock non filma la realtà; filma il pensiero.

Il film è una riflessione brutale sul gaslighting, anni prima che il termine entrasse nel lessico comune (l'omonimo film di Cukor è del 1944). È un trattato sulla condizione femminile in un mondo patriarcale che liquida l'intuizione femminile come "isteria". Lina è intrappolata. È la classica "zitella" (secondo la crudele tassonomia dell'epoca) che ha passato la vita a leggere romanzi e a temere di rimanere sola. Johnnie è la sua unica, eccitante via di fuga. Ma la fuga si rivela una prigione più sofisticata. Quando inizia a sospettare, la sua ansia viene costantemente invalidata, derisa, trattata come una malattia. Tutti intorno a lei, inclusi i suoi genitori, sono complici del fascino di Johnnie. La performance della Fontaine è un capolavoro di implosione: vediamo il suo terrore crescere dietro gli occhi, la sua postura irrigidirsi, la sua voce spezzarsi. È una donna che sta cercando di capire se sta perdendo il marito o se sta perdendo la testa. Il film ci trascina così a fondo nella sua soggettività che iniziamo a dubitare anche noi.

E qui arriviamo al nodo gordiano, l'elefante nella stanza, il finale che ha fatto (e fa) infuriare generazioni di cinefili. Nel romanzo originale, Before the Fact di Francis Iles, Johnnie è un assassino. Avvelena Lina. Fine. Ma siamo nel 1941. Siamo alla RKO, non in una produzione indipendente. E soprattutto, abbiamo Cary Grant. L'Hays Code e lo studio si impuntarono: una star del calibro di Grant non può essere un uxoricida, e la (presunta) eroina non può morire a causa della sua stessa ingenuità. Hitchcock fu costretto a un dietrofront narrativo. Il finale, così com'è, è un'arrampicata sugli specchi logica, in cui Johnnie spiega frettolosamente ogni singolo indizio (il veleno era per se stesso, non per lei!). È goffo, è posticcio, è un tradimento. Oppure no? Ed è qui che l'opera, forse involontariamente, raggiunge una profondità meta-testuale ancora più terrificante. Se accettiamo il finale "ufficiale", cosa ci resta? Ci resta una donna, Lina, che è stata salvata fisicamente ma è condannata psicologicamente. È intrappolata in un'auto, sulla stessa scogliera dove temeva di essere uccisa, con un uomo che sa averla sospettata di omicidio. La sua paranoia è stata invalidata dalla sceneggiatura, ma i fatti (le bugie, i furti, l'irresponsabilità cronica) rimangono. Il vero orrore del finale RKO non è l'omicidio sventato, ma il matrimonio che continua. È la condanna a vita di Lina, costretta a sorridere accanto a un uomo che non potrà mai, mai più guardare senza vedere quel bicchiere di latte luminoso. L'inferno non è la morte; l'inferno è il dubbio eterno.

Il Sospetto è un film perfetto sulla disintegrazione della fiducia in un'epoca che ne aveva disperatamente bisogno. Girato nel 1941, mentre l'Inghilterra bruciava sotto il Blitz, il film ignora la guerra mondiale per concentrarsi su una guerra civile coniugale. È un film sulla classe sociale. Johnnie è l'aristocrazia decadente, affascinante ma inutile, senza un soldo. Lina è la borghesia facoltosa ma repressa. Il loro matrimonio è un contratto faustiano, un disperato scambio di denaro per eccitazione. È un capolavoro "difettoso", ma il suo difetto (il finale) è ciò che lo rende immortale. È una cicatrice che rivela la battaglia tra l'autore e lo Studio System. È un thriller che fallisce come whodunit per trionfare come un'implacabile radiografia della prigione psicologica che chiamiamo matrimonio.

Galleria

Immagine della galleria 1
Immagine della galleria 2
Immagine della galleria 3
Immagine della galleria 4
Immagine della galleria 5
Immagine della galleria 6
Immagine della galleria 7
Immagine della galleria 8

Commenti

Loading comments...