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Parla Con Lei

2002

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Il cinema di Almodovar è una metafora di passioni umane spinte molto spesso all’estremo, e al contempo una tela intessuta d’inquietanti ricami del Caso che generano situazioni grottesche, indecifrabili, e che con le passioni degli uomini sono interconnesse attraverso una segreta crittografia. Questa crittografia non è un mero artificio narrativo, ma l'essenza stessa di un universo dove il destino e la volontà si scontrano in un balletto ora malinconico, ora esilarante, ma sempre profondamente umano. Il grottesco, in Almodóvar, non è mai fine a sé stesso, ma diventa lente d’ingrandimento per scandagliare l'assurdità del quotidiano e la drammatica ironia delle esistenze. È una drammaturgia dell'imprevisto che si nutre di coincidenze impossibili, tradimenti inaspettati e rivelazioni scioccanti, elevando la banalità a sublime tragedia o commedia.

Trovare la chiave di quel codice significa penetrare ermeneuticamente fin dentro la più intima essenza delle opere del regista spagnolo. È un invito a leggere tra le righe dei dialoghi acuminati, a decifrare il simbolismo cromatico che pervade ogni inquadratura – quel "Rojo Almodóvar" che non è solo colore, ma pulsione, sangue, amore e pericolo – e a cogliere le allusioni culturali che spaziano dalla telenovela al melodramma classico, dal cinema hollywoodiano più sentimentale all'avanguardia più audace. Questo processo ermeneutico non è mai intellettualistico nel senso aridamente accademico, bensì un’immersione sensoriale ed emotiva, quasi una sinestesia che Almodóvar orchesta con maestria.

Almodovar in definitiva è un Demiurgo che plasma, attraverso l’argilla delle emozioni, splendide sculture barocche che persistono a lungo nella mente come cattedrali infinite. Il suo è un barocco non solo stilistico, ma intrinseco alla sua visione del mondo: un’esuberanza di forme e sentimenti, un’esplosione di vitalità che, come nelle opere di Bernini o Caravaggio, si confronta costantemente con il dramma dell'esistenza, la fragilità dei corpi e l'assoluto delle passioni. Ogni dettaglio, dalla scelta di un abito alla disposizione di un oggetto scenico, concorre a creare un affresco visivo e psicologico di rara complessità, dove la superficialità apparente cela abissi di introspezione.

Dopo l’incantevole Tutto su mia madre arriva Parla con Lei, un’opera che può considerarsi complementare alla grande ricerca introspettiva che Almodovar aveva messo in atto nel lavoro precedente. Se in Tutto su mia madre la lente era puntata sull'universo femminile, sulla maternità in tutte le sue declinazioni, sulla forza resiliente delle donne di fronte alla perdita e al dolore, Parla con Lei sposta il fuoco, pur mantenendo intatto il proprio sguardo compassionevole, sulle fragilità e le ossessioni maschili. Qui si esplora un altro tipo di cura e devozione, calato però in un contesto di relazioni maschili complesse e di una solitudine che confina con la patologia, creando un ponte tematico e stilistico, ma anche una cesura netta, che testimonia l'evoluzione del suo sguardo.

Anche qui abbiamo una storia dove un sentimento potente e devastante diviene fulcro semantico del film dettandone il linguaggio e la cifra estetica. Questo sentimento, nel caso di Benigno, non è solo amore, ma una fusione inquietante di devozione, possesso, empatia al limite del delirio e una solitudine così profonda da generare un universo parallelo di attaccamento. È una passione che sfonda i confini etici e sociali, trasformando la cura in ossessione, la vicinanza in violazione, e costringendo lo spettatore a confrontarsi con il disagio di una moralità ambigua.

Marco, scrittore argentino, incontra e stringe amicizia con Benigno, infermiere che si occupa in una clinica privata di pazienti affetti da lunghi stati comatosi. Il loro legame nasce in un teatro, guardando un balletto di Pina Bausch, elemento non casuale che sublima il silenzio e il movimento come linguaggi dell'indicibile. È proprio in questo ambiente rarefatto e dolente che si sviluppa una delle amicizie più complesse e sfaccettate del cinema almodovariano, un’amicizia che è allo stesso tempo solidarietà e scontro morale.

Marco rivedrà Benigno quando la sua fidanzata, Lydia, una torera colpita da un incidente sul lavoro, è ridotta in coma. L'immagine della torera, figura di forza e vulnerabilità estrema, immobile e priva di sensi, è un potente simbolo di una vita sospesa, di un destino spezzato nel pieno del suo fulgore.

Benigno farà capire a Marco quanto è importante prendersi cura con amore dei propri cari, parlare con loro, anche se questi apparentemente non possono né sentirci né reagire. Il suo approccio è quasi performativo, una narrazione continua che Benigno costruisce per e intorno ad Alicia, un atto d’amore delirante che trascende la ragione e si spinge nel territorio del patologico, confondendo la realtà con la proiezione dei propri desideri.

Benigno si occupa amorevolmente di Alicia, una ballerina ridotta in coma da quattro anni. La scelta che Alicia sia una ballerina è cruciale: il suo corpo, strumento di espressione, armonia e movimento, è ora paradossalmente immobilizzato, ridotto a pura forma, oggetto di cura e, per Benigno, di un'idealizzazione romantica e disturbante. La sua professione, come quella di Lydia la torera, è intrisa di performance, di corpi in azione, e il loro stato di inattività le rende, in un certo senso, tele bianche su cui si proiettano i desideri e le paure altrui.

Quando si verrà a scoprire che Alicia è incinta, il colpevole verrà individuato in Benigno, con sommo orrore dell’amico e dello spettatore. Questa rivelazione, scioccante e moralmente ambigua, è un pugno nello stomaco che eleva il film da un dramma intimo a una riflessione audace sui confini del desiderio, del consenso e della solitudine umana. Almodóvar non giudica, ma invita a esplorare la psiche contorta di Benigno, quasi a voler comprendere l’inspiegabile, pur senza mai giustificare l’inaccettabile. Il parallelo con il film muto proiettato nel corso della storia, Shrink!, dove un uomo in miniatura entra nel corpo di una donna, funge da metafora onirica e surreale di questa invasione, anticipando e commentando, con crudele ironia, l'evento più perturbante del film.

Benigno incarcerato sarà così separato dall’oggetto delle sue tumultuose passioni. La prigione diventa l'ultimo stadio di un isolamento già autoimposto, il tragico epilogo di una devozione che, nel suo slancio verso l'altro, ha finito per distruggere ogni confine.

In questo film Almodovar usa l’espediente narrativo dell’osmosi tra piano reale e piano della memoria: flashbacks e vita reale appaiono innervati in un unico piano sensoriale. Ma l’osmosi va ben oltre la mera memoria. Essa include il cinema, il teatro, la danza, il sogno, la fantasia, e persino le piccole menzogne con cui i personaggi cercano di dare un senso alla loro realtà. Le sequenze oniriche si mescolano ai racconti del passato, le scene teatrali (come quelle di Pina Bausch o il surreale film muto Shrink!) si riflettono sulla vita dei protagonisti, creando una stratificazione di piani narrativi e sensoriali che rende il film un’esperienza quasi sinestetica, dove la verità è sempre sfuggente, filtrata attraverso il prisma delle percezioni individuali. È un gioco postmoderno con la realtà, un’affermazione che la vita stessa è una costruzione, una performance, un racconto che continuamente si riscrive.

Ne nasce un film rarefatto e spietato in cui Almodovar disegna con grande maestria l’animo dei protagonisti fino a spingersi nel più oscuro recesso dell’animo umano. È spietato nella sua onestà brutale, nel rifiuto di fornire risposte facili o giudizi morali definitivi. Ci costringe a guardare l'indicibile, a confrontarci con il lato più disturbante dell'amore e della solitudine, lasciando che il dramma si sviluppi con una logica inesorabile che solo il cinema di Almodóvar sa tessere. È una discesa negli inferi dell'ossessione, ma anche un inno commovente alla necessità di comunicare, di "parlare", anche quando sembra non esserci nessuno ad ascoltare.

Un’opera magistrale in cui l’animo di un uomo appare tentennare tra visione idealizzata della realtà e ciclica quotidianità. Parla con Lei non è solo la cronaca di un amore non convenzionale, ma una profonda meditazione sulla natura della relazione umana, sulla fragilità del corpo e della mente, e sul potere della narrazione nel modellare la nostra percezione del mondo. È il trionfo della dimensione emotiva e visiva, un capolavoro che conferma Almodóvar come uno dei più grandi "Demiurghi" della nostra era, capace di creare universi complessi e indimenticabili che risuonano a lungo nella coscienza dello spettatore come eco di un'antica e mai sopita pulsione umana.

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