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Gli Uccelli

1963

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Alfred Hitchcock, figura titanica e profondo innovatore del settimo decennio del Novecento, trascende con disinvoltura i confini di generi potenzialmente meno fertili, come quello horror-catastrofista in cui, con una certa leggerezza critica, questo film potrebbe essere erroneamente incasellato. Gli Uccelli è piuttosto un'opera di pura suspense psicologica, un'esplorazione del terrore nel suo stato più essenziale, una discesa nell'ignoto che si manifesta attraverso il familiare.

Il Maestro, con la sua ineguagliabile abilità di trasmutazione, prende in mano un racconto di Daphne du Maurier, già di per sé inquietante ma più circoscritto, e ne trae un'opera dalla tessitura drammatica quasi shakespeariana, in cui l'aspetto teatrale diviene preponderante. L'unità aristotelica di tempo, azione e luogo – sebbene con le dovute licenze cinematografiche – scandisce il ritmo sempre più serrato del film, intrappolando lo spettatore in una morsa claustrofobica che si stringe attorno ai protagonisti. Dalle prime avvisaglie di anomalia al culmine dell'orrore, ogni evento si dipana con una logica interna inesorabile, amplificando la sensazione di un destino ineluttabile. La tranquilla e pittoresca Bodega Bay si trasforma così in un palcoscenico per un dramma primordiale, dove l'idilliaco si converte in infernale.

A Bodega Bay, infatti, gli uccelli iniziano a comportarsi in modo inspiegabilmente strano, un presagio sinistro che l'arrivo di Melanie Daniels, sofisticata donna di città, a casa del fidanzato Mitch Brenner, sembra innescare o, per lo meno, coincidere con l'escalation degli eventi. Le cose diverranno via via insostenibili, la minaccia prima latente, poi palesemente aggressiva, li costringerà a barricarsi in casa, osservando impotenti la furia dei volatili di ogni specie abbattersi sulla dimora, sui civili, sulla stessa logica dell'esistenza. L'assenza di una spiegazione razionale per gli attacchi degli uccelli è la chiave di volta del terrore hitchcockiano: non c'è un nemico che si possa capire o negoziare con lui, non c'è una motivazione che possa dare senso alla distruzione. Questa mancanza di risoluzione narrativa, questo rifiuto di fornire un "perché", proietta il film in una dimensione che anticipa tematiche esistenzialiste e la "paura dell'altro" irrazionale che permeerà tanta cinematografia successiva.

È un’opera fondamentale nel percorso autoriale di Hitchcock, che qui non si limita a costruire suspense attraverso l'intrigo criminale o lo scambio di persona, ma ricerca le radici del terrore puro, andando a sondare le paure più ataviche e primordiali. È la paura dell'ignoto, del collasso dell'ordine naturale, della vendetta della natura stessa o forse di un Dio silenzioso e indifferente. La pellicola evoca la fragilità della civilizzazione di fronte alla brutalità primordiale, l'assurdità di una minaccia senza volto né motivazione, un tema che risuonerà potentemente nel clima di Guerra Fredda e paranoia latente degli anni '60, un'epoca in cui l'umanità si confrontava con la possibilità di una distruzione improvvisa e inspiegabile.

Gli attacchi degli uccelli, lungi dall'essere semplici sequenze d'azione, sono realizzati con una tecnica all'epoca rivoluzionaria e ancora oggi di rara efficacia, tesa ad esaltare gli stridii ossessivi dei volatili e la loro aggressività mediante furiosi piani sequenza, complessi effetti di compositing (che mescolavano uccelli vivi, animatroni e disegni pittorici), alternati a primi piani dei visi atterriti dei protagonisti. Il sound design, curato magistralmente da Oskar Sala e Remi Gassmann con l'utilizzo del trautonium per creare suoni elettronici inquietanti, è una lezione di come l'assenza di una colonna sonora musicale tradizionale possa amplificare la tensione, rendendo i cinguettii, i battiti d'ali e gli strilli degli uccelli la vera e unica, agghiacciante sinfonia del terrore. Questo approccio sensoriale e quasi tattile al suono immerse lo spettatore nell'esperienza ansiogena dei personaggi.

Per quanto riguarda Tippi Hedren, diciamolo senza paura, la sua interpretazione è stata spesso oggetto di dibattito. Non è qui la migliore protagonista che si poteva sognare per questo film nel senso tradizionale di una recitazione virtuosistica o emotivamente complessa. Tuttavia, la sua autentica paura, documentata dagli aneddoti di un set che fu a tratti brutalmente estenuante per l'attrice – culminato nella celebre sequenza dell'attacco nella soffitta, che la lasciò in uno stato di shock – in qualche modo funziona prodigiosamente. La sua vulnerabilità e il suo terrore palpabile si fondono con il personaggio, rendendola un veicolo perfetto per l'orrore che si abbatte su Bodega Bay. La sua Melanie Daniels, inizialmente una donna mondana e quasi frivola, è costretta a confrontarsi con una realtà che smantella ogni sua certezza, e la sua performance, per quanto forgiata in condizioni estreme, riflette questa trasformazione con una crudezza innegabile.

Gli uccelli sono stati fatti oggetto da parte della critica di svariati e affascinanti tentativi di attribuirne significati metaforici: da simbolo di sessualità repressa (con Melanie come figura destabilizzante nell'ordine familiare e la madre di Mitch, interpretata da una superba Jessica Tandy, come espressione di possessività soffocante) a metafore delle paranoie e delle fobie dei personaggi, o persino un'allegoria ecologista sulla vendetta della natura contro l'arroganza umana. Ogni lettura ha il suo fondamento e la sua risonanza, testimoniando la ricchezza polisemica dell'opera.

Ma, in ultima analisi, al di là delle interpretazioni psicanalitiche o sociologiche, noi ci vediamo principalmente un tentativo audace e riuscitissimo, da parte di Hitchcock, di creare un nuovo stato d’animo di tensione e di paura attraverso un mezzo narrativo che non era mai stato impiegato con tale veemenza nei precedenti film e che il Maestro, con la sua inesauribile curiosità e la sua fame di sperimentazione, era desideroso di esplorare. È un cinema che si appropria della pura astrazione dell'orrore, trasformando il banale in incubo, il quotidiano in apocalisse. Il finale aperto, privo di risoluzione, non fa che amplificare questa sensazione, lasciando lo spettatore con l'inquietante consapevolezza che l'ordine delle cose può, da un momento all'altro, dissolversi in un caos inspiegabile, un eco eterno che ancora oggi risuona nella nostra psiche collettiva.

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