I Gioielli di Madame de...
1953
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Regista
Un patinato inno allo stile, all’eleganza, alla severa raffinatezza dei sentimenti. Ma definire "I Gioielli di Madame de..." di Max Ophüls semplicemente un'ode al lusso sarebbe un'imperdonabile riduzione. Il suo "patinato" non è superficialità, bensì una patina di vernice sociale, un velo di illusioni e convenzioni che ricopre, e al contempo soffoca, le vere emozioni. Attraverso una mise-en-scène sontuosa e una fotografia che accarezza ogni superficie, Ophüls cattura l'opulenza della Belle Époque, non per glorificarla, ma per esporre la sua intrinseca vacuità e la prigione dorata che essa rappresenta per i suoi abitanti. La "severa raffinatezza dei sentimenti" si traduce in un dramma sussurrato, in gesti contenuti e sguardi che celano abissi, amplificando il pathos di una tragedia che si consuma in punta di piedi, con una dignità quasi straziante.
Ophüls dimostra di essere uomo di cinema sensibile al fascino della femme fatale e ne incarna il mito spogliandolo di ogni orpello barocco e fissando su pellicola il ritratto di una donna sofisticata ma al tempo stessa fragile ed esposta ai suoi tragici errori (in questo facendo tesoro della lezione di Flaubert e della sua Madame Bovary). A differenza della fatale seduttrice del noir, Louise non è una manipolatrice cosciente; la sua è una fragilità esistenziale, un anelito di autenticità in un mondo di facciate. Le sue "tragiche errori" non sono tanto cedimenti morali quanto disperate, seppur maldestre, ricerche di un amore che trascenda il calcolo sociale. Ophüls, con una sensibilità che attraversa tutta la sua opera, da "La Ronde" a "Lola Montès", è un maestro nel dissezionare la condizione femminile, rivelando come le donne siano spesso vittime delle aspettative sociali e delle proprie, talvolta ingenue, idealizzazioni. Il parallelo con Flaubert non è peregrino: come Emma Bovary è intrappolata nella provincia e nei suoi sogni romantici, così Louise è ingabbiata nel lusso di un’aristocrazia ottusa, dove il sentimento è una merce di scambio e la libertà un miraggio pericoloso. Entrambe le donne cercano la trascendenza, una attraverso i romanzi, l'altra attraverso un amore proibito, e finiscono per essere schiacciate dalla realtà.
La storia è interamente incentrata su una coppia di orecchini che Louise, donna altolocata e moglie di un importante generale, deve vendere per far fronte ad alcuni debiti. Questi gioielli, splendidi e quasi insignificanti come tanti altri ornamenti nella vita di Louise, diventano il fulcro attorno cui ruota un destino ineluttabile. Sono molto più di un semplice MacGuffin: si trasformano in un simbolo polisemico, incarnando la ricchezza fittizia del loro mondo, il debito morale e materiale che lo corrode, e la dissimulazione che permea ogni relazione. La loro peregrinazione è una metafora della stessa Louise, sbalzata tra mani diverse, soggetta a valutazioni e scambi, eppure sempre anelante a un valore intrinseco che il mondo attorno a lei non riconosce.
Gli orecchini saranno segretamente ricomprati proprio da suo marito che ne farà dono alla propria amante, la quale li cederà a sua volta ad un gentiluomo italiano. Questa catena di possessioni e cessioni è il cuore della critica sociale di Ophüls. Il Generale, interpretato da un magnifico Charles Boyer che incarna una virilità tanto affascinante quanto soffocante, ricompra i gioielli non per altruismo ma per un contorto senso di possesso e controllo sulla moglie, quasi un gesto per affermare la sua superiorità e la sua immunità alle conseguenze. L'amante li dismette con indifferenza, rivelando la superficialità dei legami extramatrimoniali nel loro ambiente. Il gentiluomo italiano, il Barone Fabrizio Donati, cui Vittorio De Sica presta una galanteria malinconica e autentica, è l'unico che li acquista mosso da un sentimento sincero e disinteressato. Ogni passaggio degli orecchini espone le dinamiche sottese e spesso meschine delle relazioni aristocratiche, dove l'amore è un gioco di potere e l'onore una facciata facilmente scalfibile.
L’uomo, in visita a Parigi, incontrerà Louise chiudendo il cerchio di un fato imprescindibile. L'incontro tra Louise e il Barone è l'unica scintilla di autenticità in un mondo di apparenze. La loro passione, pura e sincera, è destinata a cozzare contro le rigide convenzioni sociali e l'implacabile volontà del Generale. Il "cerchio" che si chiude non è solo quello degli orecchini, ma quello di un destino tragico tessuto fin dalle prime inquadrature, una fatalità che non lascia scampo. Ophüls crea un senso di ineluttabilità, non attraverso colpi di scena plateali, ma con la cadenza implacabile di un valzer lento, dove ogni passo conduce inevitabilmente alla rovina. La Parigi di inizio secolo, con i suoi balli e i suoi salotti eleganti, diventa un teatro di repressione emotiva, dove l'amore vero è un lusso che nessuno può permettersi impunemente.
Un’opera di algida e sensuale bellezza dove il ritmo narrativo è ben sostenuto da una cinepresa che ora indugia sul particolare ora scivola sorniona su piani sequenza di alta scuola. È qui che il genio di Ophüls raggiunge vette ineguagliate. La sua celebre macchina da presa, che danza fluidamente attraverso saloni sontuosi, corridoi specchiati e camere da letto intime, non è mai un mero esercizio di stile. Piuttosto, essa diventa una presenza quasi cosciente, un osservatore onnisciente che ci guida attraverso le labirintiche esistenze dei personaggi. I lunghi travelling e i piani sequenza, che sembrano non finire mai, avvolgono lo spettatore in una spirale ipnotica, catturando l'opulenza e la claustrofobia di quel mondo. La macchina da presa "sorniona" si sofferma su dettagli rivelatori – un gioiello luccicante, un volto segnato dalla malinconia, un gesto furtivo – per poi allontanarsi, suggerendo l'inarrestabile fluire del tempo e l'inevitabile dissoluzione. L'"algida bellezza" delle sue immagini si fonde con una "sensualità" quasi palpabile, una tensione che pervade ogni fotogramma e riflette il conflitto interiore di Louise: la sua ricerca di calore umano in un ambiente gelido di etichetta e convenzioni. "I Gioielli di Madame de..." non è solo un capolavoro di estetica e narrazione, ma un'indagine profonda sull'amore, la perdita e l'illusione, un'opera senza tempo che continua a incantare e commuovere con la sua squisita malinconia.
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