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L'Impero Colpisce Ancora

1980

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Secondo capitolo della saga di Guerre Stellari, uscito tre anni dopo il primo episodio, L'Impero Colpisce Ancora non è semplicemente un sequel, ma la quintessenza del "secondo atto" tragico e trasformativo, un archetipo narrativo che avrebbe ridefinito le aspettative del cinema di genere.

Il film si avvale della regia di Irvin Kerschner che sostituisce Lucas, ma non lo fa rimpiangere; anzi, eleva la saga a nuove vette di drammaticità e profondità psicologica. Kershner, proveniente da un cinema più intimo e caratterizzato da una spiccata sensibilità per i drammi umani – si pensi a opere come Eyes of Laura Mars o Up the Sandbox – fu la scelta audace ma illuminata di Lucas, un regista capace di navigare le complessità emotive dei personaggi senza sacrificare la spettacolarità. La sua direzione ha infuso nel film una tonalità più cupa, malinconica e, in ultima analisi, adulta, distanziandosi dall'ottimismo fiabesco del predecessore per esplorare le ombre e i fallimenti dei suoi eroi.

Inizialmente fu accolto con freddezza dalla critica che si trovò abbastanza spiazzata sul cambio d’atmosfera rispetto al predecessore, abituata forse a un cinema più rassicurante e meno propenso a infrangere le convenzioni del lieto fine, ma non fallì al botteghino collezionando in tutto il mondo il tredicesimo incasso di sempre (al netto dell’inflazione). Questa iniziale perplessità critica, tuttavia, rivelava una miopia nei confronti di un’opera che stava ridefinendo le regole. L'Impero Colpisce Ancora osò ciò che pochi blockbuster avevano fatto prima: terminare con una nota di sconfitta, lasciando i protagonisti feriti, divisi e con un futuro incerto. Una mossa narrativa rischiosissima, ma che in retrospettiva si è rivelata un colpo di genio, creando un’attesa spasmodica per il capitolo finale e cementando la reputazione del film come la "parte centrale oscura" per eccellenza, un modello poi emulato da innumerevoli trilogie successive.

Attualmente è considerato unanimemente uno dei più bei film di fantascienza mai girati ed è ampiamente l’episodio più amato dai fan della Saga. Questo perché la sua grandezza risiede proprio nella sua audacia, nella capacità di approfondire la mitologia senza temere di sporcarsi le mani con dilemmi morali e perdite. Non è solo un capolavoro di intrattenimento, ma anche un'opera ricca di risonanze archetipiche e psicologiche, un vero e proprio compendio del viaggio dell'eroe delineato da Joseph Campbell, ma virato verso il lato più arduo e formativo di tale percorso.

Lucas questa volta, forte del successo di tre anni prima, produce il film in maniera indipendente, affrancandosi dall’ingerenza delle grandi case di produzione. Questo coraggioso atto di auto-finanziamento, in un'epoca in cui i blockbuster erano ancora saldamente nelle mani dei grandi studios, permise una libertà creativa impareggiabile. Fu una scommessa enorme, che mise a rischio la fortuna personale di Lucas, ma che diede i suoi frutti in termini di integrità artistica.

Proprio per questa sua nuova veste di produttore decide di chiamare alla regia Kerschner per concentrarsi unicamente sul lavoro di produzione, anche se naturalmente resta in sede di sceneggiatura facendosi però affiancare da giganti quali Lawrence Kasdan (inizia qui una collaborazione con Lucas che durerà fino ai giorni nostri) e Leigh Brackett (tra i suoi lavori Il lungo addio di Altman). La penna di Brackett, con la sua esperienza nel noir hardboiled, permea il film di un cinismo affascinante e di dialoghi affilati, in particolare per il personaggio di Han Solo, mentre Kasdan apporta una sensibilità per la caratterizzazione e per l'epica classica, ponendo le basi per la complessità emotiva che il film abbraccia. La collaborazione tra queste menti disparate diede vita a una sceneggiatura che è un tour de force di sviluppo dei personaggi e di progressione narrativa, un tessuto narrativo denso che regge il peso della complessità che si sviluppa.

La storia lavora sui personaggi donando spessore e volume psicologico a ciascuno dei tre protagonisti, trasformandoli da archetipi a figure tridimensionali, con le loro paure e le loro debolezze. Han Solo vince la sua naturale inclinazione anarchica e si unisce alla ribellione, scoprendo l'amore e la lealtà che lo spingono oltre il proprio individualismo, accettando un destino che lo eleva da semplice fuorilegge a leader. Luke si rende conto delle sue potenzialità e acquista la consapevolezza di costituire l’ultima speranza per fermare l’Imperatore, ma non senza affrontare prove estenuanti, sia fisiche che psicologiche, che mettono in discussione la sua stessa identità. Leia si innamora perdutamente di Han ma non vuole dipendere dal suo individualismo, mostrando una forza d'animo e una leadership che vanno ben oltre il cliché della principessa in pericolo, affermandosi come pilastro emotivo e strategico della Ribellione.

L’Imperatore inizia a costruire una nuova Morte Nera e affida il comando dell’operazione al suo braccio destro Darth Vader, la cui presenza incombe sul film con una minacciosa onnipresenza, incarnazione del male assoluto ma anche figura tragica, la cui ombra si allunga inesorabile sulla famiglia Skywalker.

I ribelli nel frattempo si sono organizzati stabilendo una base segreta su Hoth, pianeta ricoperto dai ghiacci, teatro di una delle sequenze d'azione più iconiche della storia del cinema, la battaglia contro gli AT-AT, colossi meccanici che avanzano inesorabili evocando immagini di una guerra titanica, un vero e proprio scontro tra Davide e Golia tecnologico.

Vader riesce a scoprire la base e sferra un attacco che distrugge la base e costringe i Ribelli a fuggire, inaugurando una narrazione frammentata che segue le diverse traiettorie dei personaggi.

Luke si reca sul pianeta Dagobah seguendo il consiglio di Obi Wan, alla ricerca del maestro Yoda, ultimo dei cavalieri Jedi, che può aiutarlo ad affinare la conoscenza della Forza. Le scene su Dagobah sono un capolavoro di atmosfera, dove la nebbia e le paludi nascondono un sapere antico e un addestramento spartano, un percorso iniziatico che mette alla prova non solo le abilità di Luke, ma la sua fede e la sua psiche, culminando nell'enigmatica sequenza della caverna, un vero e proprio rito di passaggio.

Leia e Han riparano presso la Città delle Nuvole, da un vecchio amico di Han, Lando Calrissian. Questa metropoli sospesa, con la sua architettura avveniristica e i suoi corridoi labirintici, diventa la cornice per un dramma di tradimento e redenzione, un noir spaziale dove la fiducia è merce rara.

Questi però li vende all’Impero per poi pentirsene subito dopo e aiutarli a scappare, un tradimento che sottolinea la complessità morale del film, dove anche i personaggi "buoni" sono capaci di scelte ambigue, e dove la redenzione è un percorso doloroso.

Han viene però ibernato nella grafite e ceduto al cacciatore di taglie Boba Fett per essere consegnato al suo creditore Jabba the Hutt, in una scena di struggente addio tra Han e Leia, sigillando il loro amore con un'iconica, straziante dichiarazione.

Luke nel frattempo arriva nella Città e sfida Vader in un combattimento con le spade laser, il cui esito, una lezione brutale sull'immaturità e sull'arroganza, è tanto fisico quanto psicologico.

Apprenderà una verità terrificante durante la lotta: Darth Vader è suo padre. Questa rivelazione, forse la più celebre e imitata nella storia del cinema, non è solo un colpo di scena narrativo, ma il fulcro tematico e psicologico dell'intera saga, trasformando una favola spaziale in una tragedia familiare shakespeariana.

La grandezza de L’Impero sta nel suo essere un trait d’union tra Guerre Stellari e Il Ritorno dello Jedi, non un semplice ponte, ma la spina dorsale emotiva e narrativa che conferisce alla trilogia originale la sua risonanza epica. Grazie a questa sua condizione di interconnessione riesce a conservare una narrazione mai ridondante, una varietà di ambientazioni che lo rende affascinante, si passa dalle nevi immacolate di Hoth alle paludi mefitiche di Dagobah, dalla freddezza tecnologica della nuova Morte Nera all’etereo fascino della Città delle Nuvole. Ogni luogo è un personaggio a sé, contribuendo all'atmosfera e allo sviluppo della trama, un vero e proprio manuale di world-building cinematografico.

Una scena memorabile che ha varcato le porte della storia del cinema è il duello tra Darth Vader e Luke con l’orrenda mutilazione di Luke e la scioccante rivelazione del finale. Ma è ben più di un semplice scontro: è un balletto operatico di luci e ombre, un confronto quasi metafisico tra due destini intrecciati.

La scena è un capolavoro del cinema d’azione: le spade laser guizzano nella penombra e i due contendenti sembrano antichi samurai trasfigurati dalla tecnologia, la loro lotta è coreografata con una precisione letale, ogni fendente è carico di significato, ogni parata rivela la disperazione di Luke e la letale maestria di Vader. La drammaticità è amplificata dalla musica di John Williams, che con i suoi motivi cupi e maestosi eleva il duello a un rito di iniziazione doloroso.

La scena in cui Vader rivela a Luke di essere suo padre è anch’essa stilisticamente perfetta: Vader si sporge dal parapetto e, con le sue parole, rivela in un’insospettata umanità, un sentimento puro per il figlio, mentre Luke ferito e aggrappato ad un pilone che sporge sull’abisso, è stravolto dal dolore per la ferita e dall’orrore per la rivelazione. L'inquadratura, le pause, l'interpretazione di James Earl Jones che dà voce a Vader – ogni elemento concorre a creare un momento di pura catarsi, un punto di non ritorno che ridisegna la moralità dell'intero universo di Star Wars. Non è solo un padre che parla al figlio, ma un'anima dannata che tenta di trascinare il proprio sangue nel baratro, offrendo una visione terrificante e seducente del potere.

Una scena di una bellezza abbacinante, adamantina: degno finale di un caposaldo della fantascienza che, invece di rassicurare, ha osato sfidare le aspettative, lasciando il pubblico in un precipizio emotivo, consapevole di aver assistito a qualcosa di più grande di un semplice film, ma a un'autentica pietra miliare della narrativa moderna.

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