Il Laureato
1967
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Regista
Benjamin Braddock sta tornando a casa dopo essersi laureato. Il suo volto è apatico, lontano, inerte mentre l’aereo atterra. Non è la gioia del traguardo raggiunto a scandire i suoi lineamenti, bensì una vertigine esistenziale che preannuncia il purgatorio borghese in cui sta per precipitare. È il volto di una generazione, quella che si affaccia agli anni Sessanta non con l'ottimismo sfrenato dei Baby Boomers, ma con un senso di vuoto, di attesa inesausta, di profonda estraneità ad un mondo che i suoi genitori hanno costruito e di cui lui si sente prigioniero. Questa anomia post-universitaria, sublimemente catturata dal primo fotogramma, si manifesta immediatamente nel reinserimento nel tessuto sociale: i genitori, gli amici, la vecchia vita, tutte coordinate che Ben percepisce come una gabbia dorata, un futuro già scritto e asfissiante che la celebre parola "plastica" – quel monito enigmatico ma incredibilmente rivelatore sulla sua presunta carriera – incapsula con agghiacciante precisione.
Proprio al party di bentornato organizzato dai genitori, il giovane Braddock incontra Mrs. Robinson, moglie del socio in affari del padre. Inizierà una sorta di storia d’amore con la donna, una relazione clandestina dove da un lato si staglia il cinismo annoiato di lei, dall’altro le ansie e le incertezze di lui. Il suo cinismo non è mera freddezza, ma la patina lucida di un’anima imprigionata, di desideri sopiti e di una ribellione mai del tutto consumata, ridotta a calcolo sensuale. Anne Bancroft dona al personaggio una gravitas quasi scultorea, trasformando Mrs. Robinson da predatrice archetipica a figura tragica, specchio di un’America benestante ma spiritualmente arida, una donna forse altrettanto vittima quanto carnefice di un sistema di convenzioni. Un dualismo, quello tra l'esperienza stanca di lei e l'innocenza impacciata di lui, che contrappone i due amanti e li compenetra, in un eterno rimando di passione e tentennamento, di seduzione e ritrosia, in cui il desiderio si fonde con la vergogna e la liberazione con la prigione.
L’amore per la figlia di Mrs. Robinson, Elaine, sembra poter salvare Ben dalla deriva emotiva, offrendo un barlume di autenticità, una via d'uscita dal torbido affare con la madre. Ma quando la relazione proibita con la madre emerge, l'idealismo di Elaine si scontra con la cruda realtà, e lei lo rifiuta, decisa a sposare un altro uomo, il buon e prevedibile Carl Smith.
Mike Nichols dirige snidando le radici delle passioni umane e le terribili conseguenze di un amore proibito con una maestria che trascende il mero racconto. A Nichols non interessa una dimensione morale della storia, né la denuncia sociale esplicita che essa porta in grembo. La sua lente è più chirurgica, più introspettiva. A Nichols interessa narrare la vicenda mettendo in luce, attraverso le contraddizioni di Ben, le difficoltà di un giovane uomo di adattarsi alle convenzioni sociali, di trovare un senso di sé in un mondo che gli offre solo ruoli prestabiliti e un benessere materiale privo di linfa vitale. La materia primordiale che fuoriesce e che costituisce di fatto il nucleo portante dell’opera è il racconto quasi verista di un amore censurato dalle convenzioni sociali e dal perbenismo borghese, il tutto senza alcun tipo di giudizio manicheo.
Non è un caso che questo film sia emerso proprio all'alba della New Hollywood, un movimento che avrebbe decostruito le narrazioni convenzionali, abbracciato l'ambiguità morale e messo a nudo le crepe del sogno americano. La fotografia di Robert Surtees, con i suoi primi piani talvolta claustrofobici e le inquadrature che isolano Benjamin nella grandezza di spazi vuoti, o lo ingabbiano tra gli artefici della sua stessa prigionia (i genitori, l'acquario, persino la camera d'albergo che diventa un rifugio e al contempo un lager emotivo), amplifica il senso di alienazione e la ricerca di un'identità autentica in un mondo che sembra offrire solo "plastiche". La colonna sonora, vera e propria cassa di risonanza dell'anima di Benjamin, è un capolavoro a sé stante, con le canzoni di Simon & Garfunkel che non si limitano a commentare l'azione, ma diventano la voce interiore del protagonista, un coro greco moderno che sussurra le sue ansie, le sue speranze, la sua disperazione. Brani come "The Sound of Silence" e "Mrs. Robinson" non sono solo hit, ma architravi narrativi che conferiscono al film una risonanza emotiva e generazionale senza precedenti.
Una scena memorabile sopra tutte le altre: il bacio tra Ben e Mrs. Robinson e la glaciale svestizione di lei. La sequenza è un microcosmo della loro intera relazione: Mrs. Robinson, con una calcolata meticolosità, chiede una gruccia per mettere via con cura la pelliccia leopardata – simbolo di un’eleganza predatoria e di un lusso ormai vuoto – e si prende il tempo di togliere una macchia dalla camicetta. Ben, a margine, è divorato dall’ansia e dalla vergogna, paralizzato dalla goffaggine giovanile di fronte a una seduzione così spietatamente efficiente. È una coreografia di potere e di desiderio celato, di controllo e di impotenza, che si consuma nel silenzio carico di un hotel anonimo, lontano dagli sguardi, ma che allo stesso tempo li intrappola entrambi in un gioco senza vincitori. La sequenza anticipa l'ambiguità del finale: la fuga liberatoria di Ben ed Elaine sul bus, seppur apparentemente un trionfo, dissolve i loro sorrisi in un’espressione di perplessità, di stanchezza, forse di terrore per un futuro che, al di fuori delle convenzioni ribaltate, è una terra incognita, un precipizio tanto quanto il letto di Mrs. Robinson. Un capolavoro che continua a interrogare le aspirazioni e le delusioni di ogni generazione.
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