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The Holdovers - Lezioni di vita

2023

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La prima cosa che colpisce di The Holdovers è la sua estetica. Payne non si limita a omaggiare gli anni '70; li resuscita. Dalla grana della pellicola alla palette di colori desaturati: i marroni, i grigi, i verdi spenti del New England invernale, dai lenti zoom che scrutano i personaggi alle dissolvenze incrociate, fino al font usato per i titoli di testa (completo di finti graffi sulla pellicola), ogni scelta formale è un atto di devozione filologica. Si ha la sensazione palpabile di guardare un film diretto da Hal Ashby, il poeta malinconico di quel cinema. L'opera respira l'aria di classici come Harold e Maude o L'ultima corvé, condividendone l'umanesimo agrodolce, l'attenzione per i disadattati e un umorismo che nasce dal dolore. È un film che sembra avere cinquanta anni, nel senso più nobile del termine. Un'attenzione filologica al particolare che rievoca il rigore estetico di Wes Anderson.

Ma l'estetica, da sola, sarebbe un guscio vuoto. Il vero miracolo del film è il suo ritorno a un tipo di narrazione che il cinema contemporaneo ha quasi dimenticato: una storia fondata interamente sui personaggi, sulle loro imperfezioni, sulle loro ferite e sulla chimica che si crea tra loro. In un'epoca dominata dalla trama e dagli alti concetti, Payne compie un gesto radicale: si ferma, e ascolta tre anime perse.

Paul Hunham (un Paul Giamatti che offre la performance della carriera) non è il solito professore burbero dal cuore d'oro. È un intellettuale fallito, un uomo la cui erudizione e il cui cinismo sono una corazza per proteggere un cuore spezzato dalla delusione e dall'ingiustizia di classe. Il suo odore di pesce e il suo occhio pigro non sono gag, sono i segni di una solitudine profonda.

Angus Tully (l'esordiente Dominic Sessa, una rivelazione) non è il solito adolescente ribelle. È un ragazzo brillante, spiritoso e fragile, terrorizzato dall'abbandono e mascherato da un'arroganza che è solo un meccanismo di difesa.

Mary Lamb (Da'Vine Joy Randolph, giustamente premiata con l'Oscar) è l'ancora emotiva del film. Cuoca della scuola e madre in lutto per il figlio morto in Vietnam, incarna un dolore dignitoso e stoico che smaschera l'autocommiserazione intellettuale di Paul e l'immaturità di Angus.

L'interazione tra questi tre personaggi, costretti a passare le vacanze di Natale insieme nel collegio deserto, ha la profondità psicologica di un romanzo di J.D. Salinger. È una storia sulla ricerca di una connessione autentica in un mondo di ipocriti, un incontro tra solitudini che, per un breve, fragile momento, creano una famiglia surrogata, tanto improbabile quanto necessaria.

A questo punto qualcuno potrebbe sollevare l'obiezione più ovvia, quella legata all'ansia da influenza. The Holdovers è un capolavoro di artigianato o un'opera d'arte seminale? Non apre nuove strade come, ad esempio, un'opera come Everything Everywhere All at Once (per rimanere in ambito contemporaneo). La sua innovazione è per sottrazione: spoglia il cinema moderno dei suoi orpelli, della sua frenesia, per tornare a un'essenza narrativa quasi classica. In un ecosistema cinematografico saturo di franchise, di universi condivisi e di narrazioni che guardano sempre al prossimo capitolo, un film così fieramente autoconclusivo, così devoto alla complessità dei suoi personaggi e alla perfezione della sua sceneggiatura, non è un atto di nostalgia. È un atto radicale di resistenza.

Ecco perché la presunta debolezza del film è, in realtà, la sua forza più grande. Dimostra che il cinema umanista, fondato sulla parola e sulla performance, non è "vecchio e superato", ma senza tempo. La sua perfezione non è accademica e sterile; è viva, pulsante, capace di generare un'empatia profonda e universale. Il film di Payne entra nel Canone non come un innovatore che butta giù le porte, ma come un custode che le tiene aperte. È un'opera che, con amore e maestria, ci ricorda una forma di racconto che rischiamo di dimenticare, dimostrando che è ancora oggi necessaria, potente e commovente. In un'epoca di complessità formali e intellettuali, a volte un film perfettamente scritto, recitato divinamente e che ti scalda il cuore con la sua malinconica intelligenza non è solo un piacere, è una necessità.

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