Il Monello
1921
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Regista
“Sei bobine di gioia” recitava la locandina originale del film, e davvero non c’è slogan più efficace di questo per descrivere l’elegiaca gioia di vivere infusa in quest’opera che ne fa un caposaldo della Settima Arte. Per chi si occupa di cinema recensire opere come questa non è facile. Non tanto per tentare di spiegarne la bellezza intrinseca, quasi impalpabile nella sua purezza, quanto per azzardare a circoscriverne in poche parole la tremenda portata innovativa. Il Monello rappresenta un esempio incarnato di come questa innovazione cambiò per sempre il cinema, elevandolo da mera attrazione da fiera a forma d'arte compiuta e profondamente umana. L'opera nasce in un'America che, uscita dalla Prima Guerra Mondiale, stava affrontando un periodo di grandi trasformazioni sociali ed economiche, un’epoca di apparenti "ruggenti" successi, ma che celava sotto il velo dello sfarzo la dura realtà di un'ampia fetta della popolazione. La figura di Charlot, con la sua povertà tenace e la sua dignità inossidabile, rispecchiava le difficoltà e le speranze di molti americani dell'epoca, offrendo loro non solo uno specchio, ma anche una catarsi e un barlume di speranza.
Il film si inserisce nel periodo d'oro del cinema muto, quando le possibilità espressive del linguaggio cinematografico erano in continua, febbrilissima evoluzione. Chaplin, con la sua maestria assoluta, sfruttò al massimo le potenzialità del mezzo, superando i limiti della parola per creare un linguaggio universale basato sull'espressività del corpo e del volto. Ogni micromovimento, ogni tic, ogni inclinazione del cappello, ogni sguardo del “Vagabondo” diventa parte di una complessa partitura mimica, in grado di comunicare sentimenti e pensieri con una chiarezza disarmante. Charlot è molto più di un semplice vagabondo; è un archetipo, un simbolo universale della condizione umana, capace di suscitare empatia e risate in ogni parte del mondo, trascendendo barriere linguistiche e culturali. Chaplin lo rende un personaggio complesso e sfumato, capace di passare dalla comicità più irresistibile alla tenerezza più straziante con una naturalezza che sbalordisce ancora oggi. È un antieroe picaresco, un Don Chisciotte delle metropoli, la cui lotta per la sopravvivenza si fa epopea quotidiana. La struttura narrativa del film, pur essendo apparentemente semplice e lineare, è al tempo stesso ricca di sfumature tematiche e psicologiche. Se la relazione tra Charlot e il bambino è indubbiamente al centro della narrazione, il film offre anche uno spaccato vividissimo della vita nei bassifondi, una critica sociale sottile ma incisiva alle istituzioni e alle ipocrisie del tempo, e un'ode commovente alla "famiglia scelta" contro le imposizioni della sorte.
Basato su un soggetto dello stesso Chaplin, diretto da Chaplin, interpretato da Chaplin, Il Monello è un manifesto della sua visione autoriale, un'opera totalizzante che porta l'impronta indelebile del suo genio poliedrico. Il film è incentrato sulla figura del clochard Charlot e della sua vita fatta di espedienti, una costante, tragicomica lotta per sopravvivere all’alienazione metropolitana e alla dura legge della strada. La sua esistenza precaria cambierà radicalmente quando la sorte gli affiderà un bimbo in fasce, abbandonato dalla madre. Quel piccolo essere indifeso, interpretato dal prodigioso Jackie Coogan, diverrà il suo figlio putativo, cresciuto tra mille difficoltà ma con un amore che trascende ogni convenzione. Nasce così un legame profondo e inaspettato tra il clochard e il bambino, che dovranno affrontare insieme le sfide della vita, dalla povertà che morde fino alle ingiustizie sociali e alla minaccia costante della separazione, fino a un commovente epilogo che suggella il trionfo dell'affetto più puro.
Tante scene sono marchiate a fuoco nell’immaginario collettivo, vere e proprie gemme di comicità fisica e dramma umano, rivelando l'incredibile tempismo comico e la maestria registica di Chaplin. Una su tutte: il bambino che, armato di fionda e una precisione invidiabile, spacca i vetri delle finestre per consentire a Charlot, improvvisato vetraio, di sostituirli. Mentre il piccolo si sporge dal muro per controllare la situazione con un misto di innocenza e complicità, alle sue spalle si profila minaccioso un poliziotto ignaro della loro truffa ben orchestrata. È un esempio sublime di gag visiva che non è solo divertente, ma definisce anche il loro rapporto simbiotico, la loro ingenua ribellione contro un mondo che non vuole vederli. L'alchimia tra Chaplin e il giovanissimo Coogan è palpabile, un'interazione così autentica da far dimenticare la finzione scenica, un'empatia che travalica il mero rapporto attoriale, e che purtroppo fu segnata, nella vita reale di Coogan, da vicende legate ai proventi del suo lavoro che portarono alla stesura della famosa "Coogan Bill", legge a protezione dei guadagni dei minori nell'industria dello spettacolo.
Il Monello è un film capitale, un'opera spartiacque dove la vita brulicante e spesso impietosa dei bassifondi plasma una storia che avvince e commuove con una forza elementare. La genialità di Chaplin di spaziare senza soluzione di continuità dal registro comico più esilarante a quello emotivo più profondo è l'autentica pietra angolare della narrazione. Chaplin è un maestro della commedia, ma di una comicità che è sempre intrisa di malinconia e di verità umana. Egli ha vergato i concetti primitivi di una grammatica della gestualità dal nulla, o per meglio dire, ha elevato il vaudeville e la pantomima a una forma d'arte sublime e universale, creando un tesoro imprescindibile per il cinema odierno: la sua influenza si vede in molti comici moderni, dalla fisicità esplosiva di Jim Carrey alla precisione meccanica di Rowan Atkinson, dalla malinconia silenziosa di Buster Keaton (suo contemporaneo e rivale) alla sottigliezza delle commedie contemporanee. La sua gestualità esagerata, le espressioni facciali emblematiche e le gag visive, spesso orchestrate come veri e propri balletti, sono diventate di fatto un linguaggio universale della comicità, riconoscibile in ogni angolo del globo. E questa leggiadria, questa leggerezza dell'anima, che gli deriva forse dalla sua stessa infanzia segnata dalla povertà e dalle istituzioni, gli consente di affrontare temi terribili – l'abbandono, la fame, la burocrazia disumana, la solitudine – con una declinazione disincantata, scevra da ogni pesantezza o didascalismo. Il sogno finale di Charlot, dove i bassifondi si trasformano in un'utopia angelica, è un esempio magnifico di come Chaplin riesca a infondere speranza e trascendenza nella brutalità del quotidiano, trasformando la realtà in aerea allegoria. Su ogni scena si posa lo sguardo profondo di Chaplin che sa cogliere l’essenza più recondita delle emozioni umane per restituirle in pure metafore di valori fondati sugli affetti autentici, sulla resilienza dell'animo e sulla bellezza intrinseca di ogni anima che popola le sue storie, rendendo Il Monello un inno imperecedero alla dignità umana e all'amore, in ogni sua forma inaspettata.
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