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L'uomo che Uccise Liberty Valance

1962

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Regista

Il senatore Ransom Stoddard fa ritorno alla città natale per presenziare al funerale di un suo vecchio amico. Sarà l’occasione per ricordare quanto ha fatto per la sua cittadina e come ha raggiunto il successo, grazie anche all’uccisione della sua nemesi, Liberty Valance.
Questo incipit, all'apparenza semplice, nasconde in realtà il cuore pulsante di un'opera che scava nel profondo della narrativa storica e della costruzione del mito. Il funerale stesso è un rituale solenne, ma la sua vera funzione è quella di catalizzatore per un'indagine postuma sulla genesi di una leggenda, costringendo Stoddard a confrontarsi con l'abisso tra la sua celebre persona pubblica e la verità celata che lo ha forgiato. Il suo non è un semplice viaggio nostalgico, ma un pellegrinaggio alle radici di un'identità costruita, dove Ford, con la sua inimitabile acutezza, ci introduce immediatamente al tema centrale: la supremazia della narrazione necessaria sulla cruda facticità, un concetto che risuonerà ben oltre le polverose strade di Shinbone.

Per la prima volta insieme John Wayne e James Stewart prendono parte al capolavoro della maturità di John Ford, un regista che ha riscritto l’epoca pionieristica americana in chiave moderna con un’attenta indagine psicologica e una concezione dell’immagine dinamica ed empatica. La presenza di questi due giganti del cinema americano – John Wayne, l'emblema del West rude e pragmatico, e James Stewart, l'intellettuale idealista e disarmato – non è un mero espediente di casting, ma una collisione ideologica orchestrata con una maestria quasi scespiriana. La loro interazione incarna il conflitto centrale del film: la transizione epocale da una frontiera governata dalla pistola e dalla forza bruta all'avvento della legge, della democrazia e della civiltà. Ford, giunto al culmine della sua arte, abbandona in larga parte i panorami sconfinati e iconici di Monument Valley per confinare i suoi personaggi in interni quasi claustrofobici, una scelta non solo pragmatica (il film fu girato interamente in studio, un'anomalia per il Maestro) ma profondamente simbolica. La vastità esterna del West cede il passo all'intimità delle coscienze e delle relazioni umane, dove il vero dramma si svolge, lontano dagli spari e dalle cavalcate. L'indagine psicologica fordiana non è qui un mero abbellimento, ma il cuore pulsante di un'opera che decostruisce il mito fondativo americano, rivelandone le cicatrici e gli inevitabili compromessi.

Un western crepuscolare dove l’azione è centellinata con cura e sobrietà e dove il Maestro preferisce far interagire i personaggi con dialoghi serrati e confronti dialettici che rivelano gradualmente la sfera emotiva di ciascuno di loro. Questo "crepuscolare" è ben più di una semplice etichetta di genere; è la cifra stilistica e concettuale che permea ogni inquadratura. Siamo al tramonto di un'epoca, quella dei pistoleri e degli eroi solitari, e all'alba di un'altra, governata dalle urne e dagli atti legislativi. Ford dosa l'azione con la parsimonia di un drammaturgo di razza, sapendo che il vero duello non si combatte con la polvere da sparo, ma con le parole affilate e i silenzi eloquenti. I confronti dialettici tra Stoddard, l'avvocato che porta la legge e l'educazione, e Tom Doniphon, l'uomo della pistola e della terra, sono veri e propri scontri filosofici. Essi non sono solo personaggi, ma archetipi di principi antitetici destinati a scontrarsi, con uno che deve sacrificarsi affinché l'altro, e con lui il progresso, possa fiorire. È un'elegia commovente per un mondo che scompare, un lamento per gli eroi che, pur costruendo le fondamenta della civiltà, sono destinati a rimanere nell'ombra, la loro grandezza celata affinché la luce della modernità possa brillare, anche se su una menzogna necessaria.

Per la prima volta Ford fa largo uso di flashback e proprio con questa tecnica rivela nel corso della storia la vera vicenda che portò all’uccisione di Liberty Valance e il collegamento tra ogni personaggio coinvolto. L'adozione massiccia del flashback, in effetti, segna una svolta audace nella poetica fordiana, conferendo al film una struttura narrativa che ricorda da vicino l'architettura labirintica di Quarto Potere nella sua ricerca di una verità fondativa. Non è una semplice rievocazione nostalgica, ma un'indagine quasi forense, uno scavo archeologico nella memoria che dissotterra strati di convenzione per raggiungere la verità nucleare – e al contempo, per confermare la sua intrinseca malleabilità. Ogni frammento del passato, ogni testimonianza, contribuisce a decostruire il mito di Ransom Stoddard, rivelando la sua genesi non come un atto di eroismo solitario, ma come il risultato di un sacrificio collettivo e di un'omertà provvidenziale. Questo espediente narrativo è il motore che spinge il film oltre i confini del western tradizionale, trasformandolo in una disamina acuta sulla natura della storia, sulla formazione delle leggende e sull'ineluttabile compromesso tra ciò che è accaduto e ciò che è stato raccontato per il bene superiore della collettività.

Grazie a questi espedienti Liberty Valance rimane un’opera atipica nella filmografia fordiana, sicuramente affascinante nel suo sforzo creativo di innovare il genere attraverso canoni atipici, che fanno di questo film una sorta di opera meravigliosamente decadente. "Meravigliosamente decadente" è l'esatta definizione di un'opera che, pur celebrando la nascita di una nazione civilizzata e democratica, ne piange amaramente la perdita dell'innocenza e del romanticismo selvaggio della frontiera. È un'amara riflessione sulla necessità di sacrificare gli eroi "veri" – quelli forgiati dalla dura legge della sopravvivenza – in nome di un'immagine più pulita, più edificante e presentabile per il progresso. La frase iconica del film, pronunciata da un anziano direttore di giornale al culmine della rivelazione, "When the legend becomes fact, print the legend" (Quando la leggenda diventa realtà, stampa la leggenda), non è un cinico monito, ma una constatazione pragmatica dell'arte di governare, del potere della narrazione e del fondamentale bisogno umano di eroi, reali o fittizi che siano. È un'affermazione che scava nel profondo della coscienza americana, esplorando il bisogno di narrazioni fondative, anche quando queste si discostano dalla cruda, scomoda verità.
L'uomo che uccise Liberty Valance non è solo un western, ma una disamina quasi pirandelliana sull'identità, sulla maschera sociale e sul prezzo del progresso. In un'epoca in cui il western stava iniziando la sua parabola discendente, Ford non solo lo innovava audacemente, ma ne tesseva al contempo l'elogio funebre, con un realismo asciutto e una malinconia intrinseca che si ritrovano raramente in opere di genere. Il film si erge come un monumento alla complessità morale, un'opera che trascende i propri confini per interrogare la natura stessa della memoria storica e del sacrificio necessario per forgiare una civiltà. La sua atipicità risiede proprio in questa coraggiosa onestà intellettuale, nel rifiuto di abbellire una realtà che, per quanto crudele, è stata la vera matrice dell'America moderna. È un capolavoro non solo per la sua esecuzione tecnica e la brillantezza delle sue interpretazioni, ma per la sua capacità di farci riflettere su cosa scegliamo di credere, e perché, nel vasto e mutevole panorama della storia umana, e su come le fondamenta di una nazione siano talvolta edificate non sulla verità, ma sulla bellezza ineludibile della leggenda.

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