Un Uomo Tranquillo
1952
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Regista
Ford girò questo film come un atto d’amore incondizionato verso il suo paese d’origine: l’Irlanda. Non fu semplicemente un capriccio artistico o una deviazione dal suo consolidato percorso nel genere western, ma una vera e propria epopea personale, un desiderio accarezzato per decenni fin dagli anni Trenta, quando i tentativi di portare su schermo il racconto di Maurice Walsh "Green Rushes" si scontrarono con la logistica e le resistenze delle produzioni. Per Ford, figlio di immigrati irlandesi, il ritorno idealizzato nella terra degli avi attraverso la macchina da presa era un pellegrinaggio spirituale, un modo per riconnettersi con radici profonde e mai recise, sebbene spesso celate dietro la maschera del regista burbero e quintessenzialmente americano.
Per farlo volle con sè il suo attore feticcio John Wayne. Qui, tuttavia, il "Duca" non è l'indomito pioniere o il solitario cavaliere della prateria, ma si trasforma in Sean Thornton, un pugile americano segnato dal dolore e dalla ricerca di redenzione, che indossa il tweed e si scontra con le peculiarità di una comunità rurale irlandese. È una delle performance più tenere e vulnerabili di Wayne, un ritratto sfaccettato che rivela la sua inaspettata capacità di recitare la timidezza, la rabbia contenuta e l'amore con una delicatezza che trascende la sua statura imponente. Attraverso Sean, Ford sembra proiettare una parte di sé: l'uomo potente che desidera pace e appartenenza, ma deve ancora affrontare i suoi demoni interiori e le aspettative sociali.
Ne scaturì un’opera emozionante dove pathos narrativo e sintesi estetica risultano inscindibili, dando vita ad un film sicuramente degno di menzione all’interno della filmografia fordiana. Ogni inquadratura è una pennellata di vibrante nostalgia, un'ode alla bellezza selvaggia e ai volti schietti dell'Irlanda rurale. Ford non si limita a filmare un paesaggio; lo anima, lo rende coprotagonista, un personaggio che respira con i suoi abitanti, con i muri di pietra secolari e i campi verdi che sfumano nell'orizzonte, avvolti dalla nebbia mattutina e baciati dal sole del tramonto. Il film non è solo una storia, ma un'esperienza sensoriale e culturale, un tuffo nell'anima di un popolo.
La storia è quella di un pugile irlandese negli States. Dopo la tragica fine di uno dei suoi incontri in cui muore il suo avversario, farà ritorno nel paese d’origine. Questo ritorno, tuttavia, non è solo geografico, ma anche spirituale. Sean cerca un rifugio, una quiete che il mondo rumoroso della boxe e la metropoli americana non possono offrirgli. Ma l'Irlanda che trova non è quella della sua memoria infantile o delle favole; è una terra viva, pulsante, intrisa di tradizioni e regole non scritte che lo straniero (sebbene di sangue irlandese) fatica a comprendere. In Irlanda troverà l’amore nella fiera e caparbia Mary Kate Danaher, interpretata da una Maureen O'Hara di fuoco, con la quale condivide una chimica esplosiva che illumina lo schermo. Ma dovrà ancora una volta combattere per esso, non più sul ring, ma contro una serie di ostacoli e impedimenti intrinsecamente irlandesi: la testardaggine del fratello di Mary Kate, Red Will Danaher, la questione irrisolta della dote, e le incomprensioni culturali tra l'individualismo americano e il senso di comunità irlandese.
Il film progredisce in un crescendo rossiniano di equivoci, situazioni comiche e drammatiche, che culmina in una delle più memorabili e prolungate scazzottate della storia del cinema. Questa non è una semplice rissa, ma un rituale catartico, un balletto di onore e riconciliazione che coinvolge l'intera comunità, unendo Sean e Red Will in un abbraccio virile e liberatorio, sancendo finalmente l'integrazione di Sean e il trionfo dell'amore. È un trionfo di vita, di folclore e di umanità.
Un film in cui la mano di Ford è poeticamente ispirata nel riprendere i luoghi delle sue origini e in cui John Wayne incarna tutto ciò che il vecchio leone bendato avrebbe voluto essere. Ford, notoriamente, considerava questo film un'anomalia, una "vacanza" dai suoi western più duri, ma in realtà è una delle sue opere più rivelatrici, un'indagine profonda sull'identità e l'appartenenza. La regia è un vero e proprio atto di amore visivo, con panoramiche che catturano la vastità e l'intimità del paesaggio di Cong, Connemara, facendoci sentire parte di quel mondo pittoresco e a tratti magico.
Interessante è l’uso del colore, costrinse Ford a rivedere alcuni suoi cavalli di battaglia (come i piani sequenza) per adattarsi al nuovo mezzo espressivo, ne nasce un modo nuovo di guardare la narrazione rispetto al pattern western bianco e nero che schiude al regista una nuova e più matura maniera che troverà pieno compimento in “The Searchers”. L'adozione del Technicolor non è qui una semplice aggiunta di vivacità, ma un elemento narrativo e stilistico cruciale. Il verde smeraldo dell'Irlanda, il rosso fiammante dei capelli di Mary Kate, i colori caldi degli interni dei pub e delle cottage, non sono solo decorazioni; essi contribuiscono a creare un'atmosfera quasi fiabesca, elevando la realtà a mito. Ford, abituato alle sfumature monocromatiche del West che esaltavano la drammaticità e la solitudine, si trova qui a dipingere con una tavolozza ricca e audace, imparando a sfruttare la profondità e la saturazione del colore per dare vita a ogni dettaglio, trasformando il paesaggio stesso in un personaggio vibrante e presente. Questa esplorazione cromatica e compositiva getta le basi per la maestria visiva che avrebbe poi raggiunto con Sentieri Selvaggi, dove il colore non è più solo una bellezza ma un veicolo per l'isolamento e la vastità spietata, dimostrando come Ford sapesse plasmare il linguaggio cinematografico per esprimere le più intime sfumature dell'animo umano e della terra che lo ospita, sia essa l'Irlanda romantica o il West implacabile. "Un Uomo Tranquillo" rimane così una gemma luminosa nel suo corpus, un testamento alla sua versatilità e al suo amore per la narrazione, intrisa di calore, umorismo e una profonda, impalpabile poesia.
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