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I Ruggenti Anni Venti

1939

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L'opera che chiude un'era, un'elegia maestosa e malinconica che guarda indietro a un decennio di proibizionismo, prosperità illusoria e violenza, riassumendo un intero genere e consegnandolo alla leggenda. Uscito alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, il film è un epitaffio per un'America che non esisteva più, un'analisi quasi sociologica della nascita e della morte del gangster come eroe tragico moderno. Per questa sua completezza, per la sua potenza visiva e per la sua capacità di trasformare la cronaca in mito, il film ha tuttora una forza evocativa che lo rende inattaccabile dal Tempo.

L'estetica del gangsterismo trova la sua incarnazione definitiva, ancora una volta, nel corpo e nel volto di James Cagney. Se in opere precedenti come Nemico Pubblico Cagney era una forza della natura puramente psicopatica, un concentrato di violenza primordiale, qui il suo Eddie Bartlett è una figura più complessa e tragica. Cagney è l'icona perfetta del genere perché incarna un'energia nervosa, quasi proletaria, quella del ragazzo di strada che si fa da sé, un gallo da combattimento che si gonfia il petto per sembrare più grande. Ma in questo film, la sua tipica arroganza è venata di una profonda vulnerabilità. Il suo gangster non nasce tale. È un reduce della Prima Guerra Mondiale, un uomo qualunque a cui l'America ha promesso un futuro per poi sbattergli la porta in faccia. La sua discesa nel contrabbando di alcol non è una scelta ideologica, ma una conseguenza quasi inevitabile delle circostanze. È un uomo che voleva solo il suo pezzo di sogno americano e ha scoperto che l'unico modo per ottenerlo era infrangere la legge.

Il genere Gangster-Movie nasce direttamente dalle testate dei giornali degli anni Venti e Trenta, alimentato dalla fascinazione del pubblico per figure reali come Al Capone. In un'epoca di Grande Depressione, il gangster diventava un perverso eroe populista, un individuo che, con l'astuzia e la violenza, riusciva a battere un sistema che aveva tradito l'uomo comune. Film seminali come Piccolo Cesare e lo Scarface originale di Howard Hawks erano opere di una brutalità quasi documentaristica, così potenti da allarmare i censori. L'introduzione del Codice Hays impose una svolta moralistica: il crimine non poteva pagare. Ogni gangster doveva fare una brutta fine. I ruggenti anni Venti accetta questa regola, ma la trascende. La caduta di Eddie Bartlett non è una semplice punizione divina, ma la conseguenza logica delle forze storiche che lo hanno prima creato e poi reso obsoleto. È la fine del Proibizionismo a decretare la sua fine, rendendo il suo impero illegale improvvisamente inutile. Il film di Walsh diventa così il ponte perfetto tra la crudezza dei primi gangster film e le successive, più complesse decostruzioni del mito, da La fiamma del peccato fino a Il Padrino e Quei bravi ragazzi.

La trama del film segue l'ascesa e la caduta di Eddie Bartlett, ma la sua vera forza sta nel paradigma estetico del regista. Raoul Walsh è un grande occhio, un cronista instancabile della condizione umana, ma senza sentimentalismi. La sua regia è muscolare, diretta, incredibilmente moderna. In questo film, compie una scelta quasi rivoluzionaria: innesta nel tessuto narrativo del noir una struttura da semi-documentario. L'uso di una voce narrante fuori campo, che scandisce il passare degli anni con il tono impersonale di un cinegiornale, e i brillanti montaggi di immagini di repertorio, creano un affresco storico che va oltre la storia del singolo. La vicenda personale di Eddie, la sua rivalità con il più spietato George Hally (un Humphrey Bogart ancora in un ruolo da antagonista, ma già magnetico) e il suo amore non corrisposto per la cantante Jean, viene costantemente contestualizzata all'interno dei grandi eventi dell'epoca: la fine della guerra, l'ascesa del jazz, il crollo di Wall Street, l'elezione di Roosevelt. Walsh analizza il male e lo mette a nudo, mostrandolo non come un'aberrazione individuale, ma come il prodotto di precise condizioni sociali ed economiche. La semiotica del film è già pienamente noir, prima ancora che il termine diventasse di uso comune per il cinema americano: il fatalismo, la giungla urbana, un protagonista condannato dal suo passato e, soprattutto, la sensazione che le forze in gioco siano sempre più grandi dell'individuo.

Il finale è una delle sequenze più iconiche e commoventi della storia del cinema. Eddie Bartlett, ormai un fantasma del "pezzo da novanta" che era, ridotto a fare il tassista e a bere per dimenticare, compie un ultimo, disperato atto di nobiltà sacrificandosi per proteggere la donna che ama e il suo nuovo marito, il suo vecchio amico avvocato. Ferito a morte, barcolla per una strada innevata e crolla sui gradini di una chiesa, un luogo di redenzione che non potrà mai raggiungere. Quando un poliziotto chiede alla sua vecchia amica Panama Smith (Gladys George) chi fosse quell'uomo, lei risponde con la battuta che è diventata l'epitaffio di un'intera era: "He used to be a big shot" ("Era un pezzo da novanta"). In quella frase c'è tutto: la nostalgia per un passato glorioso, la tristezza per un presente miserabile, la sintesi perfetta della parabola del gangster come eroe tragico americano, la cui ascesa è tanto spettacolare quanto la sua caduta è inevitabile e solitaria. È un finale di una bellezza desolata che eleva un grande film di genere al livello di un capolavoro universale e senza tempo.

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