Movie Canon

The Ultimate Movie Ranking

Sentieri Selvaggi

1956

Vota questo film

Media: 5.00 / 5

(1 voti)

Regista

Uno dei film più controversi di Ford, a causa della gestione non proprio agevole del personaggio principale. Ma anche un’opera di una bellezza smisurata dove uomo e natura si compenetrano, si sfidano e si scoprono l’uno con l’altra, in una sinfonia visiva che eleva la prateria selvaggia, scolpita dal vento e dal tempo, a coprotagonista. Il paesaggio della Monument Valley, che Ford aveva già immortalato in capolavori come Ombre Rosse, non è qui un semplice fondale, ma una superficie su cui si proiettano le tormentate psicologie dei personaggi, un orizzonte di solitudine e di implacabile bellezza che amplifica l’epos e il dramma.

Tratto da un romanzo di Alan Le May, I cercatori (The Searchers) narra di una grande ricerca, o meglio, di un’ossessiva caccia. Ethan Edwards è un veterano della guerra civile americana, un reduce confederato il cui ritorno a casa preannuncia una rottura, più che un ricongiungimento. La sua comparsa dalla polvere del deserto, incorniciata da una porta aperta – un motivo visivo che sarà ripreso iconicamente nel finale – è l'ingresso di un elemento perturbatore. Si mette sulle tracce di una tribù nomade di Comanches, rea di aver rapito la giovane nipote, Cindy, e di aver sterminato la sua famiglia.

La sua ricerca, ardua sulla pista, si farà aspra e inane sul piano psicologico, dove l’uomo dovrà fare i conti con il proprio razzismo non più latente ma viscerale e con una misantropia dai risvolti spesso ironici, ma di un’ironia amara, quasi nichilista. Ethan non è l’eroe senza macchia e senza paura del western classico; è piuttosto una figura omerica, un Ulisse al rovescio, condannato a un eterno vagare, incapace di ritrovare la pace o un luogo a cui appartenere. Il suo odio per gli "indiani", lungi dall'essere una semplice difesa dei "bianchi", diventa una patologia che lo divora, trasformando la sua missione di salvataggio in una potenziale esecuzione, riflesso di una mente che non contempla la possibilità di redenzione o di "contaminazione" razziale.

Cinico è anche lo sguardo di Ford quando fa balenare allo spettatore che la caccia ai Comanche in realtà non sia più un inseguimento per liberare la ragazza ma per ucciderla (ha vissuto troppo a lungo con gli indiani e non ha più nulla della persona che era in precedenza, secondo il vecchio Ethan). Questo non era solo un audace passo tematico per il cinema dell'epoca, ma una radicale decostruzione del mito fondativo americano del "manifest destiny" e dell'eroe civilizzatore. Ford, maestro nell’esaltare la frontiera, ne rivela qui le brutali contraddizioni, esponendo la violenza implicita nella costruzione della nazione e il terrore della "mescolanza razziale" che alimentava gran parte dell'ideologia del tempo. La paura di Ethan che la nipote sia "diventata indiana" e che non possa più essere riaccolta nella società bianca rivela una verità scomoda sulle fondamenta morali di quella stessa società.

Un personaggio burbero dunque, che risulta di difficile gestione si è detto, sia per il regista che per l’attore che ne deve interpretare lo spettro caratteriale. John Wayne, icona del western classico, in questa pellicola offre una delle sue performance più complesse e sfaccettate, spogliandosi della sua aura di eroe immacolato per incarnare un uomo consumato dall'odio, dalla vendetta e da un dolore silenzioso, quasi mitologico. È una prova attoriale che segna un punto di svolta nella sua carriera, dimostrando una profondità drammatica raramente concessagli. Ford, con la sua proverbiale parsimonia di indicazioni e la sua abilità nel catturare l’essenza emotiva in pochi, incisivi sguardi, ha saputo estrarre da Wayne una rappresentazione di umanità ferita e repressa che risuona ancora oggi.

Il risultato finale è uno dei film western più belli e avvincenti di sempre, ma soprattutto una pietra miliare del cinema, un'opera che ha influenzato generazioni di registi, da Martin Scorsese a Steven Spielberg, da George Lucas (le lande desolate di Tatooine in Star Wars sono un chiaro omaggio alla Monument Valley fordiana) a Wim Wenders. La scena finale, con Ethan che si allontana nella polvere, condannato a rimanere un outsider, è diventata un'immagine iconica, un simbolo universale dell'alienazione e della solitudine. Quella porta, che si chiude dietro di lui, non è solo una barriera fisica ma un confine invalicabile che separa l'uomo dalla civiltà che ha contribuito a fondare, un confine che lo relega a una vita di solitudine, un fantasma di un'epoca che si sta chiudendo.

La sfida è ancora una volta a favore dell’uomo con l’occhio bendato che sta dietro la cinepresa e che, come invisibile eminenza grigia, tesse la tela per i suoi personaggi, guidandoli attraverso un paesaggio tanto fisico quanto interiore. John Ford non ha solo diretto un film, ha creato un mito e, al contempo, lo ha smontato pezzo per pezzo, lasciandoci con un’opera di bruciante attualità, un’indagine profonda sui meccanismi dell’odio e sulla complessa, spesso brutale, identità americana. La sua regia, asciutta ma potente, trasforma una storia di ricerca in un’odissea psicologica, un viaggio verso un’oscurità che risiede tanto nel cuore dell’uomo quanto nelle pieghe inesplorate del continente.

Galleria

Immagine della galleria 1
Immagine della galleria 2
Immagine della galleria 3
Immagine della galleria 4
Immagine della galleria 5
Immagine della galleria 6

Featured Videos

Trailer Ufficiale

Commenti

Loading comments...