Una Storia Vera
1999
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Regista
Un David Lynch che non ti aspetti: crepuscolare e melanconico tratteggia quest’opera con la pazienza di un ebanista. Se il suo nome è da sempre sinonimo di sogni contorti, incubi freudiani e le sfumature più oscure dell'inconscio americano – dalle arterie pulsanti di Velluto Blu alle autostrade della perdizione di Strade Perdute, fino ai labirinti onirici di Mulholland Drive – qui il maestro di Missoula si rivela in una veste di inaudita chiarezza e disarmante semplicità. Eppure, anche in questa apparente digressione dalla sua cifra stilistica, si rintraccia la sua inconfondibile indagine sulla condizione umana, sul desiderio di connessione e sulla ricerca di una verità interiore, seppur manifestata attraverso un percorso inequivocabilmente "dritto" e tangibile, una linearità che è essa stessa una forma di sovversione artistica.
Ne esce un film elegiaco dove il senso del viaggio unito al valore degli affetti familiari ne individuano la chiave di lettura. L’odissea di Alvin, lungi dall’essere la discesa agli inferi o il labirintico inseguimento di verità celate che caratterizzano le sue opere più iconiche, si configura qui come un’ascensione, un pellegrinaggio terreno intriso di grazia e di una dignità quasi biblica. La lentezza intrinseca del mezzo di trasporto – un vecchio trattore tosaerba che diventa simbolo di perseveranza e di un tempo ritrovato – non è una limitazione, ma la condizione stessa di una profonda meditazione esistenziale. Ogni miglio percorso è un miglio nell'anima, ogni fermata un incontro che svela frammenti di un'America rurale spesso dimenticata, ma ricca di umanità e di storie silenziose.
Un vecchio agricoltore dell’Iowa è deciso a far visita al fratello malato nel Wisconsin. I due è da tempo che non si parlano e l’uomo vorrebbe recuperare il rapporto perduto. Alvin, questo il suo nome, si mette in viaggio con un vecchio trattore tosaerba e inizia un periplo attraverso strade e varia umanità di un’America rurale. In questo contesto quasi fiabesco, gli incontri di Alvin sono pennellate di vita: una giovane ragazza incinta in fuga, un gruppo di ciclisti desiderosi di un po' di ristoro, un'anziana signora che teme per la propria vista e il proprio futuro. Ognuno di questi scambi è una tessera che compone il mosaico di un'umanità variegata, mostrando la capacità di Alvin non solo di affrontare il suo cammino, ma di ascoltare, consigliare e, in definitiva, connettersi con le esistenze altrui, lasciando dietro di sé una scia di gentilezza e saggezza che riecheggia la riscoperta dei valori semplici e primari. La sua è una missione non solo di riconciliazione familiare ma anche di riscoperta di sé e del mondo circostante, un ritorno alle radici più autentiche dell'esperienza umana.
La sorella Rose tenterà in ogni modo di opporsi al progetto per poi subirne inevitabilmente la poesia. È la poesia di una volontà incrollabile, di una determinazione silenziosa che resiste alle avversità fisiche e alle obiezioni del buon senso, trasformando l'improbabile in un atto di pura devozione. L’interpretazione di Richard Farnsworth nei panni di Alvin Straight, basata su una storia vera che Lynch stesso definì la sua opera "più sperimentale" per via della sua semplicità radicale, trascende la mera recitazione, donando al personaggio una vulnerabilità e una tenacia che commuovono. Il fatto che l'attore stesso stesse affrontando gravi problemi di salute durante le riprese aggiunge uno strato quasi insopportabile di autenticità e pathos alla sua interpretazione, rendendo il suo Alvin una figura tragicamente eroica, la cui lentezza è anche un tributo al corpo che resiste e alla mente che non si arrende, una testimonianza vivente della dignità intrinseca all'essere umano.
Un’opera delicata, rarefatta e densa di puro lirismo: un film del tutto atipico per il maestro dell’inquietudine Lynch. Persino la scelta, atipica per Lynch, di accettare una classificazione per "tutti" (G-rating) da parte della Disney – che distribuiva il film tramite Buena Vista International – non svilisce minimamente la profondità metafisica del racconto, ma piuttosto ne amplifica la risonanza universale, rendendolo accessibile a un pubblico più vasto senza comprometterne l'integrità artistica. Questo film, quasi un apologo morale, si distacca volutamente dagli stilemi visivi e narrativi che hanno definito il suo cinema, per abbracciare una sorta di neorealismo trascendentale americano, dove il quotidiano si carica di un significato profondo e spirituale. Non ci sono qui segreti da svelare nell'ombra, ma la luce diretta della verità che emerge dalla pazienza e dalla semplicità. È un inno alla vecchiaia, alla tenacia e al potere redentivo del perdono, un’epopea della resilienza che si rivela in ogni lento, inesorabile avanzare del tosaerba. Il minimalismo della colonna sonora di Angelo Badalamenti, un collaboratore storico di Lynch, con le sue melodie malinconiche e sparse che si fondono con il ronzio del motore e i suoni della natura, amplifica ulteriormente questa atmosfera di contemplazione e autenticità, invitando lo spettatore a sintonizzarsi con il ritmo del cuore di Alvin e del paesaggio.
Incantevole la fotografia di Freddie Francis, veterano del mestiere, vincitore di due oscar e collaboratore di registi del calibro di Scorsese e dello stesso Lynch. Il suo tocco non si limita a illuminare l'America rurale con una luce quasi sacra; Francis, che aveva scolpito l'ombra e l'angoscia in capolavori gotici per la Hammer Films (Il cervello che non voleva morire, Dracula il vampiro) e conferito densità visuale a Scorsese in opere come Cape Fear – film agli antipodi rispetto a Una Storia Vera per tematiche e atmosfera – qui chiude il cerchio di una carriera monumentale con un testamento di luminosa semplicità. Le sue immagini, spesso immerse in tonalità calde e terrose, catturano l'essenza stessa del paesaggio del Midwest, elevando la routine quotidiana e i panorami sconfinati a scenari di una bellezza commovente, quasi un dipinto di Hopper che prende vita. Con questo film Francis chiude una sorta di cerchio terminando gloriosamente la sua carriera nel mondo del cinema e plasmando immagini che corroborano il senso trasognato di tenerezza e poesia che il film di Lynch ispira, lasciandoci con un’impressione indelebile di pace e di armonia, l'ultima, luminosa pennellata di un maestro della luce e dell'ombra che qui trova la sua più sublime e serena espressione.
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