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Film Rosso

1994

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Krzysztof Kieslowski è un regista che troppo presto ha abbandonato questa terra, senza poterci regalare altri film come questo piccolo luminoso capolavoro. La sua improvvisa scomparsa, avvenuta all'apice della sua maturità artistica, ha privato il cinema di un'indagine morale e spirituale che pochi altri autori hanno saputo condurre con tale profondità e sensibilità. Tre Colori: Film Rosso non è solo una pellicola, ma una vera e propria summa filosofica, un testamento lucido e struggente della sua visione del mondo.

Film Rosso rappresenta la conclusione della trilogia dei “Tre Colori” progettata dal maestro polacco, un trittico che, attingendo ai principi fondanti della Rivoluzione Francese — Libertà, Uguaglianza, Fratellanza — li ha reinterpretati con una perspicacia acuta e talvolta cinica, ma sempre profondamente umana. Il rosso è il terzo colore della bandiera francese, rappresenta la fratellanza. Ma non una fratellanza astratta o meramente politica; piuttosto, quella rete invisibile e indissolubile di connessioni che lega le esistenze umane, spesso senza che esse ne siano consapevoli. Come già in Film Blu e in Film Bianco, anche in Film Rosso assistiamo alla scena dell’anziana signora che fatica a gettare i rifiuti, un leitmotiv visivo che Kieslowski eleva a potente simbolo di indifferenza e isolamento urbano. E in questo film, a differenza dei primi due in cui le protagoniste Julie e Dominique ignorano o passano oltre, la protagonista Valentine la aiuta, compiendo un gesto di pura e spontanea compassione, tenendo fede al tema dominante del film e indicando la direzione verso una ritrovata empatia.

Valentine, una giovane modella la cui vita è un caleidoscopio di apparenze e di effimere passerelle, conosce fortuitamente (e qui subentrerebbe la riflessione sull’entropico cinismo del Caso, o forse sulla sua ineluttabile provvidenza) un anziano giudice in pensione, Joseph Kern. Un uomo la cui esistenza, un tempo dedicata alla giustizia formale, si è ora ritirata nell'ombra di un'ossessiva osservazione del prossimo. Egli spia i vicini, intercettando le loro conversazioni private con un equipaggiamento sofisticato, per appagare il suo supposto senso del dovere, in realtà un morboso voyeurismo che è tanto una ricerca di conoscenza quanto una fuga dalla solitudine.

Il giudice invita Valentine a denunciarlo ai vicini, quasi sfidandola, mettendo alla prova la sua moralità e il suo senso di giustizia. Ma Valentine, dopo qualche esitazione, una danza sottile tra repulsione e curiosità, decide di non farlo, attratta magneticamente dal giudice, dalla sua lucida amarezza e dalla sua attività di spionaggio clandestina. È un’attrazione non di tipo romantico, bensì di risonanza intellettuale ed emotiva, quasi che Valentine riconosca nell'alienazione del giudice una metafora dell'isolamento che permea la società moderna.

Valentine entrerà così, con un’ingenuità quasi brechtiana, nella vita della coppia spiata, Auguste e Karin, scoprendone tutti i meschini segreti, le ipocrisie quotidiane e le piccole bugie che costellano la vita dei due, un microcosmo borghese che Kieslowski disseziona con precisione chirurgica. Queste rivelazioni non sono un mero espediente narrativo, ma servono a svelare la fragilità delle facciate e la complessità, spesso dolorosa, delle relazioni umane. Il giudice, dal canto suo, non è un semplice voyeur, ma un demiurgo disincantato che, attraverso la sua "orchestra" di vite altrui, cerca forse di ricomporre un senso perduto, un ordine in un universo che percepisce come caotico e privo di vera giustizia.

Amareggiata dalla vicenda dei due, e forse dalla scoperta della propria vulnerabilità emotiva, Valentine decide di raggiungere in Inghilterra il fidanzato per scoprire se è ancora innamorata di lui, o se la sua è solo una dipendenza affettiva. Sul traghetto sul quale viaggia ci sarà anche Auguste che, dopo aver scoperto il tradimento di sua moglie, sta andando a Londra per dimenticare, per fuggire da una realtà che si è rivelata insostenibile. Una tempesta farà affondare la nave, un cataclisma che agisce come un gesto divino, un reset cosmico che spazza via le false sicurezze e i piani preordinati. Ma i due riescono miracolosamente a salvarsi, un pugno di superstiti tra cui, in un'apparizione fugace e metaforica, anche i protagonisti di Film Blu e Film Bianco, a suggerire un destino comune, una fratellanza che trascende le singole narrazioni. E nella tragedia, a scoprirsi vicini, non più solo a livello fisico ma in una profonda, muta comprensione reciproca che va oltre le parole. È qui che la "fratellanza" si manifesta pienamente, non come ideale ma come inevitabile interconnessione delle esistenze.

La vicenda si svolge seguendo due registri narrativi: da un lato l’apparenza: le persone appaiono per quello che non sono, la loro scorza superficiale sembra nascondere abissi indecifrabili, maschere sociali dietro cui si cela una verità più complessa e spesso scomoda. Dall’altro lato l’essenza delle persone, la loro anima denudata di ogni orpello ed esposta al pubblico ludibrio come una sorta di libro senza copertina, in cui ogni pagina rivela fragilità, speranze e bassezze. Questa polarità non è meramente stilistica, ma è il cuore pulsante dell’indagine kieslowskiana sulla condizione umana. Il direttore della fotografia Piotr Sobociński illumina con maestria questa dicotomia, avvolgendo i personaggi in tonalità calde di rosso che si scontrano con le fredde luci della solitudine, mentre le note malinconiche e potenti di Zbigniew Preisner scandiscono il ritmo emotivo, anticipando e amplificando le rivelazioni interiori.

Una poetica dicotomia che incide come una lama rovente le vite dei personaggi di questa storia, riverberandosi nelle loro incertezze, nelle loro piccole bassezze, nella loro splendida e ineffabile umanità. Film Rosso non offre risposte facili, ma pone interrogativi eterni sul caso e sulla necessità, sull'osservazione e sulla partecipazione, sulla solitudine e sulla connessione. È un film che ci invita a guardare oltre la superficie delle cose, a riconoscere la fratellanza non come un'imposizione, ma come la tessitura ineludibile del nostro stare al mondo, un'elegia commovente sull'infinita complessità delle anime e sull'improbabile bellezza che emerge quando i destini si intrecciano.

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