
Va' e uccidi
1962
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Regista
Un altro esempio di film deturpato da un titolo italiano dozzinale che di fatto lo trasforma in un giallo da ombrellone. "Va' e uccidi" suona come un b-movie da bancarella, mentre il titolo originale, The Manchurian Candidate, evoca immediatamente un'eco ben più sinistra e risonante, proiettando lo spettatore nel cuore gelido della paranoia geopolitica dell'epoca. Non è un caso che "manchuriano" sia poi entrato nel lessico comune a definire un individuo ipnotizzato, un burattino senza volontà propria, un perfetto veicolo di un male oscuro e invisibile.
E invece si tratta di un grande film, dove scenari politici e microcosmi psicologici si incrociano per dar vita ad un thriller serrato e intelligente, che trascende la mera suspence per addentrarsi nelle torbide acque della psiche e della manipolazione ideologica. Tratto da The Manchurian Candidate di Richard Condon, il film narra la storia di un veterano della guerra di Corea, il Sergente Raymond Shaw, che fa ritorno a casa dopo aver subito un condizionamento mentale e una programmazione subdola da parte del regime comunista di quel Paese, in una clinica segreta che fonde tecniche pavloviane con una distorsione quasi orwelliana della realtà. La sua missione occulta sarà di realizzare un attentato politico atto a sovvertire il Paese dall'interno, una minaccia infinitamente più insidiosa di qualsiasi forza esterna.
Un altro prigioniero di guerra, il Maggiore Bennett Marco (interpretato con la consueta intensità da Frank Sinatra, in una delle sue prove attoriali più complesse e sfaccettate), tormentato da incubi ricorrenti e da una crescente sensazione di falsità nei suoi ricordi, aiuterà a dargli la caccia e a scovarlo, in un'odissea che lo porterà a dubitare della propria sanità mentale e della lealtà di chiunque. Il lavoro drammaturgico compiuto con consumato mestiere da George Axelrod nell’adattare il romanzo al grande schermo è semplicemente eccezionale. Grazie al suo lavoro, il film conserva quell’atmosfera di psicodramma e incubo paranoico che ne costituisce l’essenza più profonda, amplificando la dimensione distopica del romanzo e trasformandola in un'esperienza viscerale e intellettualmente stimolante. Axelrod non si limita a trasporre la trama, ma infonde la sceneggiatura di un'arguzia caustica e di un veleno satirico che sferzano la demagogia politica e il conformismo borghese, rendendo il film un commentario sorprendentemente acuto sulla fragilità della democrazia americana.
Lo spettatore viene condotto per mano attraverso i misteri della mente umana e come questa possa venire stravolta da una riprogrammazione malevola, tale da rendere potenzialmente uno spietato nemico chiunque, persino l'eroe di guerra più decorato. È una riflessione agghiacciante sulla perdita dell'identità, sulla violazione della volontà individuale e sulla possibilità che il nemico più pericoloso non sia oltre cortina, ma possa annidarsi nel cuore stesso della società, camuffato dietro un sorriso rassicurante o un distintivo d'onore. Questo tema della "programmazione" e del controllo mentale ha permeato non solo il genere thriller ma ha avuto echi in tutta la cultura popolare, influenzando opere successive dal cyberpunk alla fantascienza, fino al cinema d'autore più sperimentale.
La regia di John Frankenheimer è un capolavoro di tensione e disorientamento. Il modo in cui articola le sequenze di sogno e flashback, alternando prospettive e deformando la percezione della realtà, è maestrale. Le scene del condizionamento, in particolare, con il loro montaggio serrato e le inquadrature angolate, immergono lo spettatore in un labirinto sensoriale di terrore e confusione, evocando la schizofrenia della psiche di Shaw e la manipolazione cui è sottoposto. Frankenheimer, già maestro nel genere del thriller psicologico (si pensi a Seven Days in May o Grand Prix, dove la pressione mentale è palpabile), qui raggiunge vette ineguagliate di claustrofobia mentale, esasperando il senso di una cospirazione tanto vasta quanto incomprensibile.
Il film scatenò forti polemiche per la sua visione politica in cui gli americani non sono necessariamente i buoni, ma vittime, carnefici e burattini in un gioco di potere assai più cinico di quanto la retorica della Guerra Fredda volesse ammettere. La figura della matriarca e manipolatrice, Mrs. Iselin, interpretata da una glaciale e inquietante Angela Lansbury (che guadagnò una nomination all'Oscar per questa sua performance iconica), è il fulcro di questa ambiguità morale. Incarna una forma di patriottismo isterico e opportunista che non esita a strumentalizzare il proprio figlio per sete di potere, rivelando una minaccia interna più insidiosa di qualsiasi agente straniero. La sua perfidia, la sua sottile ma implacabile crudeltà, eleva il film da semplice thriller a un’esplorazione inquietante della corruzione dell'anima e del perverso intreccio tra politica e famiglia.
Distribuito nel 1962, nel pieno della crisi dei missili di Cuba e del maccartismo ancora palpabile, Va' e uccidi fu percepito da molti come eccessivamente audace, se non addirittura sedizioso, per la sua rappresentazione di un complotto così profondamente radicato nel tessuto stesso dell'America, coinvolgendo figure di spicco e mettendo in discussione la purezza dell'ideale americano. La leggenda metropolitana, poi in parte smentita ma persistente, che il film sia stato ritirato dalla circolazione dopo l'assassinio di John F. Kennedy, solo un anno dopo la sua uscita, a causa della sua sconcertante e traumatica risonanza con gli eventi reali, ha contribuito ad accrescerne il mito e la sua aura di opera "maledetta" e profetica. È una testimonianza della sua capacità di colpire nervi scoperti e di anticipare le ansie e le cospirazioni che avrebbero poi marcato gli anni successivi. E solo per questo, per la sua audacia profetica, per la sua acuta analisi delle patologie del potere e della psiche umana, andrebbe visto e apprezzato come un classico intramontabile del cinema d'autore e del thriller politico.
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