Zatoichi
2003
Vota questo film
Media: 0.00 / 5
(0 voti)
Regista
Takeshi Kitano dirige e interpreta un’opera grezza e rifulgente imperniata sul concetto di valore e onore, riprendendo una serie televisiva giapponese andata in onda negli anni sessanta, molto popolare. Ma il "Zatoichi" di Kitano non è una mera rivisitazione; è un’immersione profonda, quasi archetipica, nella psiche di un’icona, filtrata attraverso la lente autoriale di un regista che ha ridefinito la violenza e il dramma nel cinema contemporaneo. La sua è una rilettura che preserva l'anima del personaggio pur infondendogli l'inconfondibile estetica del "Beat" Takeshi: quella giustapposizione di una brutalità fulminea e quasi astratta con momenti di lirismo e di grottesca, a tratti surreale, comicità. La "grezza" componente si manifesta nell'immediatezza dei duelli e nella spietata realtà della condizione umana, mentre la "rifulgente" traspare nella cura maniacale per la fotografia, i colori vivaci – in particolare quel biondo platino della chioma di Zatoichi, provocatoria anomalia nel Giappone feudale – e un’eleganza stilistica che si sottrae a ogni facile categorizzazione.
Il samurai cieco Zatoichi è una sorta di icona in Giappone e la sua aura si è innervata all’immaginario nipponico varcando il Pantheon dei Grandi Eroi, non meno di figure come Toshiro Mifune in "Yojimbo" o i personaggi stoici di "Lone Wolf and Cub". La sua peculiarità, la cecità elevata a forma di acuità sensoriale e spirituale, lo rende un "anti-eroe" per eccellenza nel panorama della chanbara, il genere dei film di spada giapponesi. Non è un nobile samurai, ma un massageur itinerante, un giocatore d'azzardo, un yojimbo riluttante, il cui bastone da passeggio cela una lama letale. La sua figura trascende il mero intrattenimento, incarnando una resilienza e una saggezza popolare che affondano le radici nella filosofia zen e nel pragmatismo dei diseredati.
Uno spadaccino cieco arriva in un villaggio dominato da uno spietato e potente samurai, il cui potere è esercitato attraverso la violenza cieca dei yakuza locali. Questo microcosmo rurale diventa il palcoscenico di un dramma intriso di povertà, disperazione e corruzione. La desolazione del villaggio, quasi un ritratto dickensiano della provincia giapponese, fa da contraltare alla placida apparente indifferenza di Zatoichi. Sarà ingaggiato da due geishe, Okinu e Shinkichi, per rivendicare l’onore del padre trucidato. Ma le due sorelle non sono semplici figure da salvare; sono esse stesse veicoli di una vendetta intricata e profondamente personale, portatrici di un trauma che le lega indissolubilmente al destino del villaggio e a quello di Zatoichi stesso. Le loro storie parallele aggiungono strati di complessità, mostrando come l'onore e la vendetta possano plasmare destini inaspettati, superando i tradizionali ruoli di genere dell'epoca.
Duelli sensazionali, ma anche introspezione e dimensione zen. I combattimenti, marchio di fabbrica di Kitano, sono fulminanti, quasi chirurgici. Non c'è la coreografia acrobatica di altri film di genere, ma un'esplosione improvvisa di violenza che si risolve in frazioni di secondo, lasciando l'eco inquietante del metallo che affonda nella carne. Questa estetica della violenza è un commento sulla sua futilità e sulla sua inevitabilità. La "dimensione zen" non è solo una quiete contemplativa, ma una prontezza di spirito che permette a Zatoichi di percepire il mondo con una sensibilità che va oltre la vista, affidandosi all'udito, all'odore, all'intuizione. È una consapevolezza profonda del momento presente, una forma di mushin (mente vuota) che gli consente di agire senza esitazione, quasi un'estensione del suo bastone-spada.
Leggiadra è la mano del regista nel restituire l’atmosfera solenne e primordiale del rituale samurai, di concetti filtrati dalla grande arte guerriera del Budo quali onore, lealtà, amicizia, vendetta. Kitano non si limita a mostrarli; li interroga, li decostruisce, spesso li sovverte con un umorismo nero e inaspettato. La colonna sonora, opera sublime di Joe Hisaishi, contribuisce in modo determinante a questa atmosfera, passando da sonorità epiche e drammatiche a passaggi giocosi e percussivi, come l'iconica sequenza delle "danze dei costruttori", un vero e proprio interludio musicale che spezza la tensione e introduce un elemento di folclore gioioso. È un film che si permette anacronismi audaci – come le già citate chiome bionde o le improvvise sequenze di tip-tap – per ribadire la sua natura di fiaba moderna, una parabola sui valori eterni che trascende la pura ricostruzione storica per toccare corde universali.
Parallelamente all’estetica delle Arti Marziali e della lotta con la spada, che in questo film rivestono un ruolo centrale, s’intravede in filigrana l’amore di Kitano per il folklore giapponese, il precipuo sapore della Tradizione che avvolge come una soffusa luce crepuscolare tutta la narrazione. Questo amore si manifesta nei piccoli dettagli della vita quotidiana del villaggio, nelle superstizioni, nei costumi, nei giochi d'azzardo, e nella galleria di personaggi secondari pittoreschi e indimenticabili che popolano la scena. La "luce crepuscolare" suggerisce non solo la fine di un giorno, ma la conclusione di un'era, un'epoca di samurai e di onore che sta lentamente cedendo il passo a una modernità più cinica e brutale, o forse a un mondo in cui i vecchi codici non bastano più a contenere la complessità umana.
Una sorta di forza icastica si sprigiona dalla ferma placidità del protagonista, dal suo tranquillo stoicismo e dal suo attaccamento alla tradizione. Zatoichi non è solo un guerriero, ma un enigma, un uomo che ha scelto di vivere ai margini, celando un passato e una profondità che si rivelano solo attraverso le sue azioni e un sorprendente twist finale che ribalta la percezione dello spettatore. La sua placidità non è indifferenza, ma la calma di chi ha visto troppo, sofferto troppo, e ha imparato che la vera forza risiede nella quiete interiore, anche di fronte al caos più furioso. Il suo attaccamento alla tradizione non è una cieca aderenza al passato, ma un riconoscimento del valore intrinseco dei principi morali, un faro in un mondo alla deriva.
Un Kitano magistrale per un film davvero emozionante e tagliente, che riesce a essere al contempo un omaggio devoto e una radicale reinterpretazione di un classico. "Zatoichi" è un'opera che cattura l'anima del Giappone feudale e la proietta nel futuro, offrendo uno spettacolo visivamente mozzafiato e tematicamente denso, in cui la violenza diventa arte e l'arte interrogazione filosofica. È un capolavoro che conferma la grandezza di Kitano come regista e attore, capace di equilibrare la brutalità più cruda con una sensibilità poetica e un tocco di geniale follia.
Galleria









Featured Videos
Trailer Ufficiale
Commenti
Loading comments...