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A Brighter Summer Day

1991

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Certi film non si limitano a raccontare una storia. Certi film si comportano come macchine del tempo difettose, capaci di trasportarci non tanto in un'epoca, quanto nel sentimento di un'epoca, nella sua umidità, nel suo odore di polvere e sigarette economiche, nel ronzio dei suoi neon e nella disperazione silenziosa che impregna le pareti delle case. A Brighter Summer Day di Edward Yang è uno di questi congegni miracolosi e terribili. Un'opera-mondo, un romanzo-fiume traslato su pellicola che, sotto la superficie di un dramma adolescenziale, nasconde il sismografo dell'anima di una nazione in esilio, sospesa in un limbo storico e geografico.

Siamo a Taipei, all'inizio degli anni '60. L'isola di Taiwan è il rifugio precario del Kuomintang di Chiang Kai-shek, sconfitto sulla terraferma cinese dai comunisti di Mao. Una generazione di figli, nati sulla terraferma ma cresciuti sull'isola, vive un'identità scissa, un perenne stato di provvisorietà. I loro padri, funzionari e militari in attesa di un'improbabile riconquista, trasmettono un senso di sradicamento e di impotenza che i ragazzi metabolizzano e trasformano in una violenza nichilista, tribale. Le strade sono il loro regno, divise tra gang dai nomi evocativi – i "Little Park Boys", i "217" – che si combattono per un territorio che non è veramente loro, per un onore le cui regole sono un fragile scimmiottamento di codici antichi e di pose importate dal cinema americano. In questo universo crepuscolare si muove il nostro protagonista, Xiao Si'r, un ragazzo la cui innata rettitudine, ereditata da un padre integro ma piegato dalle circostanze, è una anomalia destinata a infrangersi.

Yang, con la precisione di un architetto della disperazione, non mette in scena un semplice racconto di formazione. Al contrario, orchestra la cronaca di una deformazione. L'arco narrativo di Xiao Si'r non è un'ascesa verso la maturità, ma una lenta, inesorabile discesa nell'oscurità, una perdita di innocenza che è specchio della perdita di innocenza di un'intera società. In questo, A Brighter Summer Day è l'anti-Bildungsroman per eccellenza, un'opera che dialoga più con il fatalismo cosmico di Thomas Hardy o con la disintegrazione morale di un personaggio di Dostoevskij che con le solari ribellioni di un Gioventù bruciata. Se James Dean urlava contro un mondo borghese che non lo capiva, i ragazzi di Yang bisbigliano e tramano in un mondo che non ha più nulla da dire, un mondo di padri sconfitti e di madri spaventate.

La regia di Yang è un trattato di epistemologia visiva. I suoi celebri piani-sequenza, la sua predilezione per le inquadrature distanti e statiche, non sono un vezzo stilistico, ma una precisa scelta morale e filosofica. La macchina da presa osserva, spesso da lontano, attraverso porte o finestre, lasciando che le figure umane si muovano in spazi che sembrano sempre troppo grandi o troppo angusti. L'oscurità non è solo una condizione luminosa, ma uno spazio drammaturgico attivo che inghiotte i personaggi, nasconde dettagli cruciali, amplifica la paranoia. Spesso, le azioni più importanti avvengono fuori campo o ai margini dell'inquadratura, costringendo lo spettatore a un lavoro di decifrazione, a tendere l'orecchio per cogliere un dialogo soffocato, a scrutare nel buio per intravedere una minaccia. È un cinema che nega la gratificazione immediata, che riflette la confusione e l'incertezza dei suoi protagonisti. In questo, Yang si rivela un fratello spirituale di Michelangelo Antonioni: entrambi usano il paesaggio – urbano, desolato, notturno – non come sfondo, ma come manifestazione esteriore di un vuoto interiore.

Il film è popolato da un cast corale che ricorda la vastità di un'epopea tolstojana, ma il suo cuore pulsa attorno a due poli: Xiao Si'r e Ming. Se Xiao Si'r è un giovane Werther con un codice d'onore che nessuno rispetta più, Ming è una figura tragica di sconcertante modernità. Non è una femme fatale, ma una vittima che ha imparato a usare la propria fragilità come un'arma di sopravvivenza. Passa da un protettore all'altro non per malizia, ma perché in quel mondo la lealtà è una valuta senza valore e l'unica cosa che conta è avere qualcuno che ti difenda, oggi. La sua celebre, agghiacciante battuta – "Io sono come questo mondo, non cambierò mai" – non è un'ammissione di cinismo, ma la più lucida e disperata delle constatazioni. È la resa di fronte a un caos che non può essere ordinato, la stessa resa che Xiao Si'r, nella sua ingenua ricerca di un assoluto morale, non può accettare. Il loro rapporto è una coreografia funebre, un tentativo di trovare un centro di gravità in un universo che si sta sfaldando.

La grandezza di Yang risiede anche nella sua capacità di intessere il macro-cosmo storico nel micro-cosmo individuale attraverso oggetti-simbolo potentissimi. C'è la radio, fonte di sogni e connessione con un mondo esterno (l'America di Elvis Presley, la cui "Are You Lonesome Tonight?" dà il titolo originale, ironico, al brano che i ragazzi tentano di suonare), ma anche di statica e di notizie incomprensibili. C'è la torcia elettrica che Xiao Si'r ruba dal set di uno studio cinematografico, un fascio di luce artificiale con cui cerca di squarciare il buio, di illuminare i segreti, un simbolo del cinema stesso come strumento di indagine. E poi, soprattutto, c'è la katana, un'arma giapponese trovata in una vecchia casa, fantasma di un'identità coloniale passata che viene riutilizzata come feticcio di potere in un presente senza simboli propri. È un'arma che non appartiene a nessuno, proprio come quei ragazzi non appartengono a nessun luogo.

Basato su un fatto di cronaca reale – il primo omicidio commesso da un minorenne a Taiwan, che sconvolse l'opinione pubblica – il film trascende l'aneddotica per diventare una meditazione universale sul fallimento delle utopie. La tragedia non è solo quella di un ragazzo che uccide la ragazza che ama perché non riesce a "salvarla" o a "possederla", ma quella di un'intera generazione a cui è stato promesso un "giorno d'estate più luminoso" che non arriverà mai. Il mondo dei padri, con le sue regole confuciane e il suo rigore burocratico, si rivela un castello di carta spazzato via dal vento della storia. La scena dell'interrogatorio del padre di Xiao Si'r da parte della polizia segreta è un capolavoro di umiliazione e paranoia, la rappresentazione plastica di come un regime autoritario possa erodere la dignità di un uomo giusto, lasciandolo svuotato e terrorizzato. Quando il padre torna a casa, distrutto, e picchia il figlio per una piccola infrazione, capiamo che il contagio della violenza è sistemico, che fluisce dall'alto verso il basso, dallo Stato alla famiglia, dal padre al figlio.

Guardare A Brighter Summer Day oggi, nella sua monumentale versione restaurata di quasi quattro ore, è un'esperienza immersiva e totalizzante. È un film che richiede pazienza, che ci chiede di abitare i suoi silenzi, di perderci nei suoi corridoi bui, di familiarizzare con decine di volti e di storie. Ma la ricompensa è un'opera di una profondità e di una complessità che hanno pochi eguali nella storia del cinema. È un'elegia per un'innocenza perduta, un thriller psicologico, un affresco sociale e un saggio filosofico sulla natura della violenza. Edward Yang ha creato il suo Guerra e Pace, un'opera che, partendo da un angolo specifico e dimenticato del mondo, ci parla della condizione umana con una voce così potente e universale da risultare, ancora oggi, assolutamente essenziale. È il buio abbagliante di un capolavoro assoluto.

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