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Anora

2024

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Regista

Un fulmine a ciel sereno squarcia la fiaba di Cenerentola, la fa a pezzi e ne usa i frammenti insanguinati per comporre un mosaico di panico, umorismo nerissimo e disperazione terminale. Questo è "Anora" di Sean Baker, un'opera tellurica che si conficca nella retina dello spettatore con la violenza di un'iniezione di adrenalina diretta al cuore. Baker, il cantore definitivo delle periferie incandescenti d'America, l'entomologo delle vite vissute ai margini del Sogno, abbandona le ciambelle color pastello della Florida e i cieli polverosi del Texas per immergersi nel cemento e nel neon di Brighton Beach, Brooklyn. E lo fa orchestrando non un semplice film, ma una sinfonia parossistica, un'escalation di caos che riscrive le regole del thriller sociale, trasformandolo in una commedia screwball sotto cocaina e anfetamine.

Al centro di questo uragano c'è lei, Anora, o "Ani", interpretata da una Mikey Madison in stato di grazia assoluta, la cui performance è un atto di combustione spontanea che dura due ore e un quarto. Ani è una ballerina esotica e sex worker, una professionista del desiderio a pagamento che naviga le acque torbide del suo mestiere con un pragmatismo disincantato e una lingua più affilata di un bisturi. Non è una vittima da compatire né un'eroina da santificare. È una sopravvissuta, un prodotto purissimo del tardo capitalismo in cui il corpo è l'ultimo capitale da investire e l'amore una transazione con termini e condizioni scritti in piccolo. Quando nella sua vita irrompe Ivan (un magnifico Mark Eydelshteyn), il figlio viziato, ingenuo e irresponsabile di un oligarca russo, il film innesta la prima marcia di quella che sembra una rivisitazione di Pretty Woman per l'era di OnlyFans. Un matrimonio impulsivo a Las Vegas, la promessa di una vita da favola. Ma Baker non è Garry Marshall. L'incantesimo si spezza quasi subito.

Nel momento in cui i genitori di Ivan, dall'altra parte del mondo, scoprono il misfatto, scatenano i loro mastini: un prete ortodosso con la faccia da sicario, un gorilla armeno dal cuore tenero e un traduttore recalcitrante. La missione: annullare il matrimonio, con ogni mezzo necessario. È qui che "Anora" decolla, trasformandosi da dramma romantico a inseguimento senza fiato, un After Hours scorsesiano che si svolge quasi interamente nell'arco di poche, terribili giornate. L'appartamento di Brighton Beach diventa un campo di battaglia claustrofobico, una Kammerspiel della minaccia dove le barriere linguistiche e culturali creano un cortocircuito di violenza e farsa.

Baker dirige questa discesa agli inferi con una maestria che lo consacra definitivamente. La sua cinepresa, febbrile e nervosa, sembra incollata ai suoi personaggi, catturandone ogni goccia di sudore, ogni tic di panico. L'uso della pellicola 35mm non è un vezzo estetico, ma una dichiarazione di intenti: la grana visibile del supporto fisico rispecchia la grana della vita dei suoi protagonisti, la loro imperfezione, la loro disperata materialità. Il ritmo, scandito da un montaggio frenetico che sembra opera dello stesso Sean Baker (come da sua abitudine), è implacabile. Si ha la sensazione di essere intrappolati in una stanza con personaggi che urlano in tre lingue diverse, spinti sull'orlo di un precipizio da forze più grandi di loro. È cinema fisico, viscerale, che ti afferra per la gola e non ti molla.

Ma la genialità di "Anora" risiede nella sua capacità di far detonare le aspettative, di giocare con i generi per poi trascenderli. È una commedia degli equivoci che finisce a pugni in faccia. È un thriller domestico che ha l'energia di un film di guerra. È una satira sociale che ha la profondità di una tragedia greca. Ani non è la principessa da salvare. Quando la situazione precipita, si trasforma in una Erin Brockovich del sesso a pagamento, una stratega della disperazione che combatte per il suo "giusto" compenso, per il riconoscimento di un contratto che per lei non è solo un pezzo di carta, ma l'unica, chimerica via di fuga da una vita di precarietà. È la "Final Girl" di un horror che non è mai stato girato, una che sopravvive non grazie alla sua purezza, ma grazie alla sua impurità, alla sua conoscenza enciclopedica della natura umana e delle sue bassezze.

Il parallelismo più audace, e forse più calzante, non è tanto con i fratelli Safdie, cui Baker viene spesso accostato per l'ansia propulsiva delle sue narrazioni. No, "Anora" è un romanzo di Dostoevskij remixato dai Coen e girato da Scorsese. Ivan non è solo un ricco scemo; è un moderno Principe Myškin de L'Idiota, un'anima pura e infantile corrotta dal denaro e dall'assenza di responsabilità, un "santo folle" la cui bontà involontaria scatena il caos più totale. Gli sgherri russi non sono semplici cattivi da B-movie; sono figure grottesche e tragiche, prigioniere di un codice d'onore feudale che si scontra comicamente e violentemente con l'individualismo anarchico americano. Il film diventa così una disamina spietata dello scontro tra due imperi in declino: quello americano, fondato sul mito dell'auto-realizzazione e della transazione, e quello russo, ancorato a un potere patriarcale, brutale e familistico.

Brighton Beach non è solo uno sfondo, ma un personaggio, una sineddoche di questo mondo globalizzato. È un limbo culturale, un pezzo di Unione Sovietica trapiantato a Brooklyn, dove i sogni americani vengono filtrati attraverso una lente post-comunista. È in questo crocevia che la lotta di Anora assume un significato universale. La sua battaglia per la validità di un matrimonio farsa diventa una metafora della lotta per la dignità in un sistema che mercifica ogni cosa, dalle emozioni ai legami familiari.

In questo teatro dell'assurdo, Baker trova lampi di un'umanità struggente. Il rapporto tra Ani e Toros (Karren Karagulian, attore feticcio di Baker), il gorilla armeno, è un capolavoro di scrittura. Tra minacce e insulti, nasce una forma di rispetto, una solidarietà tra due anime che, pur essendo su fronti opposti, riconoscono l'una nell'altra la stessa disperata necessità di sopravvivere. Sono momenti di quiete prima della tempesta, sguardi che dicono più di mille dialoghi, a testimonianza di una sensibilità registica che va ben oltre la semplice messa in scena del caos.

"Anora" è un film estenuante, esilarante, terrificante e, infine, profondamente toccante. È il ritratto di una donna che rifiuta di essere una nota a piè di pagina nella storia di qualcun altro. È un'opera che pulsa della vita stessa, con tutta la sua violenza, la sua comicità involontaria e la sua inaspettata tenerezza. Sean Baker non si limita a filmare i suoi personaggi; li ama, li comprende e li eleva, senza mai giudicarli. Con "Anora", firma non solo il suo film più maturo e ambizioso, ma anche uno dei manifesti cinematografici più potenti e necessari del nostro tempo. Un'opera che entra di prepotenza nel canone contemporaneo, lasciando lo spettatore senza fiato, con il sapore agrodolce della polvere da sparo e delle lacrime in bocca.

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