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Aurora

1927

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Sunrise rappresenta forse il primo sontuoso tentativo di travalicare il mezzo espressivo della cinepresa per raggiungere un risultato artistico innovativo e sensazionale. Murnau girò questo film nei nuovi studi della Fox negli Stati Uniti, con ossessivo tecnicismo, esplorando ogni sequenza con foga creativa, nel tentativo di esplorare una nuova via narrativa che restituisse alla scena la genesi di un amore in ogni drammatica sfaccettatura. La sua celebre "Entfesselte Kamera" – la macchina da presa scatenata – non era più un mero registratore passivo, ma un'entità dinamica, quasi un personaggio essa stessa, capace di danzare tra i personaggi, di immergersi nelle loro psiche, di riflettere l'inquietudine e la gioia con una fluidità mai vista prima. Questa audacia visiva, che Murnau aveva già sperimentato con maestria nel suo periodo espressionista tedesco – basti pensare al sublime L'Ultima Risata – qui trova una nuova e più opulenta cornice, trasformando lo spazio cinematografico in un vero e proprio palcoscenico dell'anima. Con Sunrise Murnau non solo racconta una storia d'amore intensa e appassionante, ma crea un'esperienza visiva e emotiva unica, un vero e proprio poema sinfonico per immagini, che anticipa e influenza innumerevoli opere future.

Nel sottotitolo del film, "a song of two humans", risiede forse la chiave ermeneutica per accostarsi all'opera. Murnau con questo semplice slogan suggerisce infatti che il suo film non è solo una narrazione di una storia, ma un'opera d'arte totale che coinvolge tutti i sensi dello spettatore. La musica, la fotografia, la recitazione, la scenografia si fondono in una sinfonia visiva e sonora che ha lo scopo di trasmettere l'universalità dell'amore e delle emozioni umane. Il termine "canto" evoca l'idea di una melodia, di un'armonia che va oltre le parole, un'invocazione primordiale ai sentimenti più puri e complessi. L'amore, in questo senso, diventa un linguaggio universale, capace di travalicare le barriere culturali e sociali, le specificità geografiche e le contingenze storiche. Murnau, attraverso le immagini e le emozioni dei suoi personaggi – archetipi più che individui definiti – crea una sorta di partitura visiva che ci permette di comprendere le profondità dell'animo umano, il suo eterno oscillare tra luce e ombra, tra peccato e redenzione. È un inno al potere salvifico dell'affetto, una celebrazione della resilienza dello spirito di fronte alla tentazione.

La storia, basata sul romanzo di Hermann Sudermann “Viaggio a Tilsit”, è incentrata su una coppia di contadini, la cui quiete domestica è turbata dall’arrivo di una donna di città. Questa femme fatale, un archetipo cinematografico destinato a proliferare, non è qui solo una seduttrice, ma una catalizzatrice, una forza distruttiva che, paradossalmente, spinge i protagonisti verso una necessaria rinascita. Ella sedurrà l’uomo e in un sensuale turbinio di passione lo indurrà a liberarsi della sua vecchia vita uccidendo la moglie, per poi seguirla nella metropoli. L’uomo risoluto in un primo tempo, vacillerà dinanzi al suo ingrato compito, e ritroverà l’amore della moglie proprio in quella città che doveva accoglierlo da uxoricida, in un rovesciamento psicologico e spaziale di straordinaria efficacia. La dicotomia tra la placida, quasi idilliaca, ma anche soffocante campagna e la caotica, vivace, quasi dionisiaca metropoli diventa essa stessa una metafora del viaggio interiore della coppia, un percorso iniziatico che li porterà a riscoprire sé stessi e l'uno l'altro. La città non è solo sfondo, ma un essere pulsante, una prova iniziatica fatta di luci sfavillanti, di folle anonime e di inattesi momenti di gioia e riscoperta.

Sublimi alcune scene, come il tentativo di assassinio in barca sul lago, con primi piani al viso sardonico dell’uomo e i suoi parossistici tentennamenti dinanzi all'obiettivo prefissato. Qui, la regia di Murnau raggiunge vette di lirismo e tensione psicologica difficilmente eguagliabili, trasformando la superficie dell'acqua in uno specchio delle turbolenze interiori e il viaggio in barca in un rito di passaggio verso l'abisso morale. Ma è proprio da questo abisso che emerge la possibilità di una redenzione. L'odissea urbana che segue, con la celebre sequenza del luna park e le danze sfrenate nella città, è un vortice di immagini che esprimono la liberazione e la ritrovata leggerezza, un contrappunto visivo e emotivo alla pesantezza iniziale. Murnau, attraverso una regia raffinata e un uso sapiente delle immagini – che spaziano dalle miniature elaborate e le prospettive forzate per creare la maestosità della città, alle sovrimpressioni che evocano stati d'animo onirici – crea un'atmosfera di sogno e di poesia, che ci coinvolge emotivamente e ci invita a riflettere sulla fragilità dell'amore e sulla complessità dei sentimenti. Il gioco di luci e ombre, così intrinseco al linguaggio espressionista, qui si eleva a strumento narrativo e psicologico, plasmando non solo gli ambienti, ma le stesse anime dei personaggi. Il film è un inno alla vita e alla speranza, un'opera che ci ricorda che anche nei momenti più bui è possibile ritrovare la strada verso la redenzione, che l'amore, quando autentico, può superare ogni avversità e risorgere dalle proprie ceneri. Questo film fece di Murnau un artista celebrato anche a Hollywood, vincitore del primo e unico Oscar per "Unique and Artistic Picture", contribuendo a conferire nuova ruggente linfa alla Settima Arte e dimostrando, nel passaggio dal muto al sonoro, che il vero cinema è sempre stato, e sempre sarà, un linguaggio universale che parla direttamente all'anima. La sua influenza si estende ben oltre il suo tempo, tracciando un solco profondo nel linguaggio cinematografico e ispirando generazioni di registi con la sua audacia formale e la sua commovente umanità.

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