Barry Lyndon
1975
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Regista
Decima fatica di Kubrick, è tratto dal romanzo di William Makepeace Thackeray, “Le memorie di Barry Lyndon”, un capolavoro della letteratura picaresca del XIX secolo che il regista di New York seppe trasfigurare in una delle più acuminate e, paradossalmente, fredde disamine del destino umano e della mobilità sociale.
Le riprese vennero effettuate in Irlanda, Germania e Inghilterra e furono realizzate nell’arco di due anni, un lasso di tempo che si rivelò indispensabile per catturare l'essenza di un'epoca con una precisione quasi maniacale. Kubrick compie un lavoro a dir poco meticoloso sulle location, inviando suoi collaboratori in giro per il Regno Unito, raccogliendo in tre anni un archivio sterminato di fotografie per valutare ogni singolo luogo per le riprese. Questa dedizione si tradusse in una fedeltà visiva che trascendeva la semplice riproduzione storica, conferendo al film una dimensione quasi tattile, una materialità dell'epoca.
Inoltre, e qui risiede una delle innovazioni più audaci e iconiche del film, Kubrick decide di girare le riprese in interni con la sola luce naturale, e per realizzare questo suo progetto si fa costruire speciali obiettivi con lenti prodotte dalla NASA – i leggendari Zeiss Planar 50mm f/0.7, originariamente sviluppati per la fotografia spaziale Apollo. Questa scelta non fu una mera esibizione tecnica, ma una dichiarazione estetica profonda: permise di illuminare le scene a lume di candela, replicando l'atmosfera luminosa dei dipinti del XVIII secolo. Il risultato è una tavolozza visiva di una bellezza mozzafiato, dove ogni inquadratura emana la morbidezza e la profondità dei maestri fiamminghi o olandesi – si pensi alla delicatezza della luce nei quadri di Vermeer o alla drammaticità chiaroscurale di Georges de La Tour, o ancora ai ritratti di Gainsborough e Reynolds, che sembrano prendere vita sullo schermo. Questa tecnica, ardita e rischiosissima, cementa la reputazione di "Barry Lyndon" non solo come film storico, ma come opera d'arte visiva a sé stante, un gigantesco repertorio iconografico dove ogni singolo fotogramma sembra un’opera pittorica.
Si consideri infine la puntigliosa ricerca condotta sui costumi, curati dalle Oscar-winning Milena Canonero e Ulla-Britt Söderlund, sulle fonti iconografiche, sulla gestualità e sull'etichetta dell'epoca, sul periodo storico nella sua interezza, e si avrà la cifra di uno dei film storici più belli mai realizzati. Questa ossessiva attenzione al dettaglio è la chiave di volta di un'immersione totale nell'età dei Lumi e del Rococò, un mondo di crinoline, parrucche incipriate e duelli d'onore. Questo risultato, come ebbe a dire spesso Kubrick, fu raggiunto grazie ad un grande lavoro di equipe di cui Kubrick andava particolarmente fiero, riconoscendo il contributo fondamentale di ogni singolo reparto nella costruzione di un'illusione così vivida e convincente.
Con Barry Lyndon Kubrick si confronta con il diciottesimo secolo inglese, narrando le imprese di un giramondo irlandese che fa di tutto per diventare nobile, passando per duelli, guerre e ricche vedove bramose del suo giovane corpo. È un’epoca di rigide gerarchie e nascenti ambizioni, dove l'ascesa sociale è un gioco crudele e spesso disilluso. Il film è diviso in due parti: nella prima assistiamo all’ascesa di Barry Lindon e a come questi riesca a raggiungere il potere e il denaro, nella seconda si parla del suo declino e delle sue disavventure in giro per l’Europa. Questa struttura bipartita, quasi classica nel suo disegno di fortuna e sventura, è commentata con distacco da una voce narrante onnisciente, che anticipa gli eventi e ne sottolinea l'implacabile fatalismo, in un tono che ricorda quello ironico e disincantato di Thackeray stesso.
Il personaggio è chiaramente un antieroe, un uomo in definitiva cinico e spietato, glaciale negli affetti se si esclude l’amore per il figlio. Barry non è un motore d'azione nel senso tradizionale; è piuttosto un opportunista passivo, una scheggia alla deriva nel grande fiume della storia, che si adatta e sopravvive più per fortuna che per intelligenza o virtù. A differenza di altri protagonisti kubrickiani, spesso mossi da una lucida follia o da un'ossessione che li porta alla distruzione (come Alex di "Arancia Meccanica" o Jack Torrance di "Shining"), Barry è privo di una vera profondità psicologica, quasi uno specchio delle convenzioni sociali che tenta di infrangere. La sua unica, vera vulnerabilità è l'affetto per il figlio Bryan, un amore che si rivelerà la sua definitiva condanna.
Un film stilisticamente puro e perfetto come un fiocco di neve, un gigantesco repertorio iconografico dove ogni singolo fotogramma sembra un’opera pittorica. A questa impeccabile maestria visiva si aggiunge una colonna sonora indimenticabile, composta prevalentemente da brani classici che non si limitano a fare da semplice sfondo, ma diventano parte integrante del racconto, commentando, ironizzando o amplificando il dramma. Il Trio n. 2 in mi bemolle maggiore di Franz Schubert, in particolare, diventa il leitmotiv del destino malinconico di Barry, la sua struggente melodia che pervade le sequenze chiave conferendo una gravità e una commozione che altrimenti la freddezza della narrazione non concederebbe.
Mentre in altre opere di Kubrick la dimensione onirica o psicologica aveva una forte valenza, talvolta riuscendo a prevaricare l’azione, in "Barry Lyndon" lo spazio epico travolge ogni psicologismo. Non siamo qui per scandagliare i meandri della mente di Barry, ma per osservare il suo percorso attraverso una società crudele e indifferente. La successione degli eventi è ciò che più preme al regista e in definitiva anche allo spettatore, avido di conoscere il destino del protagonista, in una narrazione che quasi si allinea a quella di una cronaca storica, sottolineando l'inesorabilità del tempo e delle circostanze. È un'opera che invita alla contemplazione estetica e alla riflessione sulla natura effimera della fortuna, un'epopea di un'ambizione vana che, con la sua glaciale bellezza, continua a incantare e a far riflettere sulla commedia e la tragedia della condizione umana.
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