Butch Cassidy
1969
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Regista
George Roy Hill, maestro incontrastato di un certo cinema di antagonismo e marginalità rispetto ai canoni, talvolta rigidi e compiacenti, di Hollywood, firma con Butch Cassidy and the Sundance Kid un’opera ironica e per certi versi screziata di una comicità a tratti surreale, che si impone come uno dei pilastri della New Hollywood. In un’epoca di profonda revisione dei generi e delle convenzioni, Hill non si limita a decostruire il western, ma ne reinventa la grammatica con una leggerezza sorprendente e una malinconia intrinseca. Il film non è una semplice evasione, ma una meditazione agrodolce sulla fine di un’era, un lamento per la frontiera selvaggia che scompare sotto i colpi della modernità.
Viene narrata la storia di due banditi celebri, realmente esistiti, Butch Cassidy e Sundance Kid, qui trasformati in figure quasi mitologiche eppure così profondamente umane. L’attore William Goldman, sceneggiatore premio Oscar per questo capolavoro, compie un’operazione geniale, elevando la cronaca dei fatti a epica personale, intrisa di arguzia e di un fatalismo romantico. I due sono archetipi e insieme personaggi profondamente sfaccettati e complementari: il primo, Butch, è la mente carismatica, l’ideatore di ogni rapina, dotato di un’innata capacità di leadership e di una verve contagiosa; il secondo, Sundance, è il braccio armato, silenzioso e letale, con la sua infallibile Colt e un’abilità nel tiro che rasenta la leggenda. Ma al di là della loro complementarità criminale, ciò che emerge è un legame di fratellanza quasi simbiotico, che trascende l’amicizia e si configura come il vero nucleo emotivo del racconto. Il loro rapporto, fatto di battibecchi affettuosi, lealtà incrollabile e un’intesa che si esprime anche nei silenzi, è il motore inossidabile che eleva Butch Cassidy da semplice western a precursore del genere “buddy movie”.
La coppia seminerà il terrore tra le fila della Union Pacific, la compagnia ferroviaria americana che, con la sua rete di binari e i suoi capitali, incarna il progresso ineluttabile, incaricata di modernizzare un paese ancora selvaggio e privo di grandi vie di comunicazione. In questo scontro, il vero antagonista non è un singolo sceriffo o un rivale ben definito, ma la civiltà stessa che avanza, impetuosa e inarrestabile. Le cose cambieranno drasticamente quando un dirigente della Compagnia derubata, esasperato e determinato a far rispettare l’ordine, metterà insieme una squadra implacabile, composta dai migliori uomini di legge e dai più abili tracker, che braccherà i due senza dare loro tregua. Questa caccia all’uomo, che si protrae per chilometri e giorni, diventa quasi un’allegoria della lotta impari tra l’individuo ribelle e la forza organizzata del sistema, tra l’anarchia poetica del fuorilegge e la logica ferrea della legge e del progresso industriale. I loro inseguitori, spesso ridotti a figure quasi astratte, inarrestabili, rappresentano il destino stesso che li incalza, la fine di un’epoca in cui gli eroi solitari potevano ancora imperare.
Per sfuggire a questa morsa, i due emigrano in Bolivia, convinti di poter trovare un nuovo Eden dove le loro “abilità” criminali possano ancora fruttare. Qui tenteranno di riciclarsi come ladri di banca, ma si troveranno in perenne difficoltà con i costumi locali, la lingua, e un contesto socio-culturale che li rende, paradossalmente, ancora più "pesci fuor d'acqua". Questo esilio forzato, che li vede passare dalle praterie del Wyoming ai paesaggi andini, sottolinea ulteriormente il loro status di anacronismi viventi, uomini senza più un posto nel mondo che cambia, incapaci di adattarsi e condannati, in fondo, a rimanere fedeli a se stessi fino alla fine.
Il film è un lungo, appassionato esercizio di talento, un vero e proprio duetto virtuosistico di Robert Redford e Paul Newman, che davvero si completano a vicenda dando vita ad una delle più riuscite e iconiche coppie cinematografiche di sempre. La loro intesa sullo schermo è palpabile, una chimica rara che trascende la semplice recitazione e si nutre di una profonda amicizia fuori dal set. Newman, con il suo magnetismo maturo e la sua ironia sorniona, e Redford, con la sua bellezza malinconica e la sua aura di ragazzo perbene trasformato in fuorilegge, non interpretano semplicemente Butch e Sundance, ma sono Butch e Sundance, conferendo ai personaggi una vulnerabilità e un fascino irresistibili. La loro performance eleva il film ben oltre il genere western, rendendolo un ritratto universale di amicizia, lealtà e la struggente accettazione del proprio destino. Non è un caso se, dopo questo successo, i due torneranno a collaborare con Hill in La Stangata, cementando ulteriormente il loro status di duo leggendario, e influenzando generazioni di film incentrati sulla dinamica di coppia.
Splendida e leggiadra la regia di Hill, che si avvale dell’indimenticabile fotografia di Conrad Hall, capace di alternare tonalità seppia evocative – che richiamano le vecchie foto dell’epoca, sottolineando l’aspetto storico del racconto e la sua natura di "ricordo" – a colori vibranti che esaltano la vastità del paesaggio e la vivacità dei personaggi. La sua mano trova in ogni dialogo un motto arguto, uno scarto ironico che rende il film quantomai atipico nel panorama western e tuttavia, grazie proprio a questa unicità, sicuramente godibile. L’uso innovativo del rallentatore, della freeze frame finale, e l’inserimento inatteso della musica pop di Burt Bacharach, con la celeberrima "Raindrops Keep Fallin' on My Head", conferiscono al film una sensazione di atemporalità e di giocosa irriverenza che lo distingue dai suoi contemporanei e lo rende un’opera antesignana del revisionismo di genere. Butch Cassidy and the Sundance Kid non è solo un film sui banditi, ma un’ode malinconica a un mondo che scompare, un capolavoro di equilibrio tra commedia, avventura e tragedia, che continua a brillare per la sua intelligenza, il suo fascino inossidabile e l’indelebile impronta lasciata nella storia del cinema.
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