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Casablanca

1942

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Quando Michael Curtiz cedette alle lusinghe dei fratelli Epstein che avevano da poco ultimato uno script ed erano alla disperata ricerca di un regista e di un produttore, il destino di questa pietra miliare del cinema era già scritto. Ma ciò che allora appariva come una febbrile odissea creativa, un vero e proprio ginepraio narrativo che vide susseguirsi e sovrapporsi le penne illustri di Julius e Philip Epstein e di Howard Koch, con continue riscritture e un finale tutt'altro che deciso fino all'ultimo ciak, si rivelò in realtà la fortuna del dilettante, o meglio, la serena casualità di un'opera destinata a incarnare l'essenza di un'epoca. Fu merito anche del produttore Hal B. Wallis, il cui infallibile intuito permise di navigare le tempeste della produzione, un'impresa logistica e artistica non da poco in tempo di guerra.

Il regista si rese subito conto delle potenzialità del copione e della possibilità di cavalcare il momento storico in cui il film sarebbe andato in lavorazione, vale a dire l’inizio dell’espansionismo nazismo nell’Europa occidentale. "Casablanca" non fu semplicemente un film sulla guerra; fu un sismografo emotivo del suo tempo, un riflesso fedele della diaspora e del disorientamento che attanagliavano milioni di individui. La città di Casablanca, sotto il regime di Vichy, diviene così un limbo, un purgatorio per rifugiati di ogni nazionalità, un epicentro di disperazione e speranza, dove il passaporto equivale a salvezza e ogni incontro può celare un destino. È un affresco umano che, pur calato in uno specifico contesto bellico, trascende la cronaca per toccare corde universali.

Humphrey Bogart e Ingrid Bergman danno vita ad un amore impossibile, nato in terre lontane e ritrovato tra i tavolini di un night club di Casablanca. La loro alchimia, frutto non solo di una recitazione sublime ma di un'intensa gravitas personale, eleva il melodramma a tragedia shakespeariana. Bogart, con il suo cinismo di facciata e lo sguardo tormentato, scolpisce Rick Blaine come l'archetipo dell'eroe riluttante, un idealista disilluso che sotto la scorza burbera cela un cuore ancora capace di un amore profondo e di un sacrificio nobile. Bergman, dal canto suo, infonde a Ilsa Lund una fragilità eterea e una forza interiore che la rendono ben più di una semplice "damigella in pericolo"; è una donna divisa tra dovere e sentimento, un dilemma morale che risuona ancora oggi. La loro relazione non è solo un intermezzo romantico, ma il fulcro emotivo attraverso cui il film esplora temi di lealtà, sacrificio e redenzione.

Intorno a questo palcoscenico infuria la guerra e i nazisti assumono il controllo di tutti gli stati chiave per il teatro bellico africano, incluso il Marocco. Rick’s Café Américain non è solo un locale notturno; è un vibrante microcosmo, un teatro delle illusioni e delle disillusioni, un rifugio precario per anime alla deriva, un crocevia di spie, eroi della resistenza, ufficiali corrotti e civili disperati. Il genio della pellicola risiede anche nella galleria di personaggi di contorno, tutti memorabili e perfettamente delineati, da Claude Rains nel ruolo dell'ambiguo Capitano Renault al subdolo Major Strasser di Conrad Veidt, passando per il viscere Peter Lorre e il gigantesco Sydney Greenstreet. Ogni volto, ogni battuta, contribuisce a dipingere un quadro vivido di un'umanità complessa, sospesa tra la paura e l'ultimo barlume di speranza.

Un grande classico che scorre come una perfetta sinfonia in cui immagini, trama e musica si fondono dinamicamente, in sublime armonia. La regia di Curtiz, coadiuvata dalla magistrale fotografia di Arthur Edeson, si avvale di un uso sapiente del chiaroscuro, mutuato dall'espressionismo tedesco, che non solo conferisce al film un'estetica noir seducente, ma amplifica il senso di mistero e precarietà. I primi piani di Bergman, in particolare, sono illuminati con una sensibilità quasi pittorica, conferendole un'aura eterea e vulnerabile. Il ritmo sincopato del dialogo, con le sue battute ormai entrate nel lessico comune, si sposa con la tensione crescente della narrazione, creando un'esperienza cinematografica immersiva che è contemporaneamente un melodramma romantico, un thriller di spionaggio e un dramma di guerra.

Da evidenziare che Curtiz, fedele al suo ideale estetico di un cinema di levigata bellezza, non cede alle lusinghe di una narrazione enfia di patriottismo ma rimane concentrato sulla storia d’amore, mantenendo uno sguardo in tralice per le vicende storiche di contorno. Questa raffinata sensibilità anti-retorica è ciò che ha reso "Casablanca" un'opera senza tempo. Non è un inno propagandistico, ma una sublimazione del dramma personale nel contesto di un conflitto globale. Il vero eroismo non è esibito con bandiere e discorsi pomposi, ma si manifesta nel sacrificio silenzioso, nella scelta dolorosa e nella rinuncia a sé stessi per un bene superiore. Il film offre un codice morale non negoziabile, dove la libertà e la giustizia prevalgono sul mero desiderio personale, un messaggio di speranza che non cade mai nel facile ottimismo.

Il suo linguaggio non è mai di condanna ma di languida malinconia. Una malinconia elegiaca che permea ogni scena, ogni sguardo, ogni nota di Max Steiner. È la malinconia dell'addio, del rimpianto per ciò che è stato e non potrà più essere, ma anche la malinconia agrodolce di un futuro incerto ma carico di un rinnovato senso del dovere. La scelta finale di Rick, quella di rinunciare al suo amore per un ideale più grande, non è una sconfitta, ma il più alto atto d'amore, un gesto che eleva il personaggio a un'icona immortale.

In evidenza la scena in cui Ilsa chiede al pianista Sam di suonare la “loro” canzone con le proverbiali parole: “Play Sam. Play As time goes by”. Oh yes, play it again, Sam... Questa sequenza, intrisa di una potenza emotiva devastante, è l'epitaffio musicale di un amore perduto e ritrovato. La melodia di "As Time Goes By", con le sue parole nostalgiche, diventa il simbolo stesso della memoria, del desiderio e del destino ineluttabile. E quel "Play it again, Sam", pur essendo una delle citazioni più celebri eppure erroneamente ricordate nella storia del cinema (la frase esatta non è mai pronunciata in quel modo), incarna perfettamente l'impatto culturale di un film le cui battute sono penetrate così profondamente nell'immaginario collettivo da trascendere la pellicola stessa. "Casablanca" è più di un film; è un monumento alla resilienza dello spirito umano, un'opera d'arte che continua a risuonare, "as time goes by", con la sua eterna bellezza e la sua toccante verità.

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