Faust
1926
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Regista
Murnau rilegge Goethe con sguardo profondo e deferente, al contempo consapevole degli immensi spazi da perlustrare con il nuovo mezzo espressivo che aveva a disposizione: il cinematografo. Ne scaturisce questo suggestivo affresco corroborato da un forte senso icastico e un grande senso scenico. Murnau in sostanza compì un’operazione straniante filtrando il piano onirico di Goethe e imprimendolo su pellicola, trasformando la tela drammatica in un universo di pura visione. Questo non era solo adattamento, ma una vera e propria traduzione di concetti filosofici e stati d'animo interiori in grammatica cinematografica, rendendo tangibile l'inquietudine esistenziale che permeava la Germania della Repubblica di Weimar. Il risultato ammaliò e sconcertò le platee europee consacrando il regista tedesco a Vate del nuovo espressionismo, un movimento di cui Faust divenne non solo un cardine visivo, ma anche la più sontuosa espressione metafisica.
L'opera rappresenta un punto di svolta nella storia del cinema. Realizzato nel 1926, questo adattamento del celebre dramma di Goethe non è una semplice trasposizione sullo schermo, ma una vera e propria rielaborazione dell'opera originale attraverso il linguaggio cinematografico, spingendosi oltre le sperimentazioni formali del pur seminale Gabinetto del Dottor Caligari per abbracciare una grandiosità allegorica senza precedenti. Murnau sfrutta con maestria le potenzialità del cinema muto per creare un'atmosfera frastagliata e surreale, dove le ombre si allungano come presagi, i volti si deformano per rivelare abissi psicologici e la realtà si mescola alla fantasia in un balletto visivo ipnotico. Il regista tedesco non si limita a illustrare la storia di Faust, ma la reinventa, creando un'opera visivamente potente e emotivamente coinvolgente che ha segnato profondamente il cinema europeo, la cui eco risuonerà persino nelle produzioni horror hollywoodiane degli anni '30, specialmente quelle della Universal, che ne mutuò l'uso magistrale del chiaroscuro e della scenografia monumentale.
La trama segue fedelmente il dramma goethiano, eppure la sua trasposizione rivela strati di significato aggiuntivi. Il patto tra Faust e Mefistofele, l'eterna giovinezza, la bellezza effimera e la dannazione eterna sono tutti temi che vengono esplorati in modo profondo e suggestivo, trasformandosi in archetipi dell'eterna lotta tra spirito e materia. Attraverso una serie di sequenze oniriche e allucinatorie, che sono il corrispettivo filmico del monologo interiore e delle descrizioni più liriche di Goethe, Murnau ci immerge nell'universo interiore di Faust, un uomo tormentato dalla sete di conoscenza e dal desiderio di potere. La figura di Mefistofele, interpretato da un magistrale Emil Jannings (lo ricordiamo splendido protagonista ne L'Ultima Risata, dove la sua fisicità sapeva esprimere l'inesprimibile), è affascinante e inquietante al tempo stesso, un diavolo ambiguo che seduce e corrompe non solo con la promessa di piaceri, ma con la sottile insinuazione intellettuale, rendendolo un tentatore ben più complesso di una mera personificazione del male. La sua è una performance che bilancia il grottesco con una solenne gravitas, un'incarnazione del Male che seduce per la sua stessa grandezza e intelligenza. Il finale, tragico e redentore, attraverso la potenza purificatrice dell'amore, lascia nello spettatore una profonda impressione, ponendo interrogativi sulla natura del bene e del male, sulla mortalità e sull'immortalità, e sulla capacità dell'animo umano di trascendere la propria stessa corruzione.
Una parabola mistica in cui ci si interroga sul confine sottile che divide l'uomo dal Soprannaturale, una forza che non è solo esterna e che agisce sull'uomo, ma è anche uno specchio dell'anima umana. Le paure, i desideri e le ossessioni di Faust si manifestano attraverso le visioni e le allucinazioni che lo tormentano, rendendo il film una discesa negli abissi della psiche, dove il fantastico diventa l'esternazione del rimosso e del desiderato. Notevoli in questo senso gli artifici tecnici che Murnau mette in campo al servizio di questa idea: i volti dei personaggi si deformano, allungandosi o schiacciandosi, per sottolineare le loro emozioni e i loro tormenti interiori, un'estetica mutuata dalle avanguardie pittoriche e teatrali del tempo. I paesaggi sono spesso filmati con scarsa luce divenendo inquietanti e surreali, un trionfo del chiaroscuro che non solo crea atmosfera di mistero e di angoscia, ma eleva il paesaggio a stato d'animo, un elemento drammatico a sé stante.
Grandissime risorse economiche per quello che fu considerata la prima vera grande produzione europea. Con un budget di ben 2 milioni di marchi, fu uno dei film più costosi mai realizzati fino a quel momento, un investimento della UFA (Universum-Film AG) che mirava a competere con la crescente egemonia hollywoodiana, dimostrando la capacità dell'industria cinematografica tedesca di produrre opere di respiro epico e ambizione artistica. Questa ingente somma di denaro permise a Murnau di realizzare una pellicola visivamente sfarzosa e ambiziosa, con effetti speciali all'avanguardia per l'epoca – come le miniature impressionanti, le doppie esposizioni per le apparizioni spettrali o l'iconica ombra gigantesca di Mefistofele che incombe sulla città – e scenografie grandiose, capaci di evocare sia la scala cosmica che il più intimo dramma umano.
Una delle scene più emblematiche del film è quella in cui Faust, dopo aver firmato il patto con Mefistofele, si ritrova in un mondo di piaceri e di sensazioni. La scena è ricca di simbolismo, una vera e propria danse macabre tra lusso e corruzione: le donne che danzano rappresentano le tentazioni della carne, il vino simboleggia l'ebbrezza e la follia, mentre la musica (all'epoca eseguita dal vivo, spesso con orchestre sinfoniche) crea un'atmosfera di esaltazione e di decadenza. Allo stesso tempo, la scena è permeata da un profondo senso di malinconia e di precarietà, sottolineando la natura effimera dei piaceri terreni, un richiamo alle allegorie della Vanitas presenti nella pittura nordica. È in questi momenti che Murnau dimostra la sua maestria nel fondere il sensuale con il spirituale, il grandioso con il tragico. Un’opera in definitiva che seppe miscelare potentemente lirismo e iconografia, mutuando da secoli di arte e mitologia per plasmare un linguaggio cinematografico del tutto nuovo, sfruttando con maestria i mezzi che ebbe a disposizione. Faust non è solo un capolavoro del cinema muto; è un'autentica palestra di stilemi, un tesoro inestimabile per il Cinema del futuro, la cui influenza si può rintracciare in generazioni di registi, da Orson Welles a Ridley Scott, che hanno attinto alla sua capacità di creare mondi visivi immersivi e narrazioni che trascendono il mero racconto per divenire esplorazioni dell'animo umano.
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