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Grisbì

1954

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Jacques Becker fu un regista di assoluto rilievo nella storia della Settima Arte francese. Cresciuto all'ombra di un gigante quale Jean Renoir, di cui fu assistente per quasi un decennio, apprese da lui i ferri del mestiere con i quali seppe elaborare uno stile originalissimo: un linguaggio asciutto ed essenziale, di una precisione quasi documentaristica, che plasmò adattandolo ad ogni nuovo progetto narrativo. Fu anche una figura abbastanza controversa nel milieu culturale francese a causa della sua intransigenza e del suo rigore intellettuale, che lo portarono spesso a criticare cineasti e intellettuali della sua epoca. Prese di fatto le distanze da una sorta di ossessivo criticismo e da un'ostinata quanto effimera ricerca avanguardistica, in sostanza da quel fervido movimento di ingegni che sfociò poi nella Nouvelle Vague. Eppure, in un paradosso squisitamente francese, cineasti come François Truffaut e Jean-Luc Godard, autorevoli esponenti di quel movimento, vedevano proprio in Becker un modello a cui paradossalmente ispirarsi. Lo ammiravano in quanto "autore" che, come i loro idoli americani Howard Hawks o Nicholas Ray, riusciva a infondere una visione personale e profonda all'interno dei generi popolari. Con Grisbì (titolo originale Touchez pas au grisbi, 1954), Becker pose le basi per una rielaborazione in chiave europea del mito noir che divampava oltreoceano nei romanzi di Hammett e Chandler e nei film di Lang e Wilder, in quello che venne subito ribattezzato il Noir Mediterraneo. Il Noir di Becker è una sorta di desertificazione del canovaccio americano, un'operazione in cui Becker sfronda di ogni orpello il genere per approdare ad un minimalismo conturbante che conferisce alla narrazione un approccio più realista, più stanco, più umano.

La trama, tratta da un romanzo di Albert Simonin, è ingannevolmente semplice. Max (il leggendario Jean Gabin) è un gangster di mezza età, rispettato e temuto nella malavita parigina, che vorrebbe ritirarsi dopo aver messo a segno l'ultimo, grande colpo della sua carriera: una rapina all'aeroporto di Orly che gli ha fruttato 50 milioni di franchi in lingotti d'oro. Amante delle belle donne, del buon cibo e dei vestiti eleganti, Max è anche un accorto professionista che sa come muoversi e quando fermarsi. Il suo unico errore, la sua fatale debolezza, è forse quello di aver scelto come amico e socio di una vita l'inaffidabile Riton, un uomo debole, invaghito di Josie, una giovane soubrette che lo tradisce con il gangster rivale in ascesa, Angelo. Questi viene così a sapere da Josie del "Grisbì" (il nome gergale con cui la mala parigina chiamava il bottino) su cui hanno messo le mani Max e Riton e decide di tentare di impossessarsene. Rapisce così Riton e ricatta Max per avere l'oro. Max, l'uomo che voleva solo la pace, si troverà così a dover scegliere tra l'amico e il sogno di una vita, costretto a rientrare in un gioco violento dal quale si era già congedato. La scelta narrativa più radicale di Becker è che la rapina, l'elemento centrale di ogni film del genere, avviene prima dell'inizio del film. Non ci interessa l'azione, ma le sue conseguenze, la stanca e noiosa gestione del bottino.

In questo si manifesta la grandezza del film e la sua profonda originalità. È un'opera sulla stanchezza, sulla vecchiaia in una professione che non la contempla. Max è l'antitesi del gangster energico e psicopatico incarnato da Cagney. È un uomo che si lamenta dei reumatismi, che la sera vuole solo tornare nel suo appartamento segreto per mettersi in pigiama. Un film dove si respira l'aria della notte, con i suoi odori, le sue luci, la sua brulicante umanità. Il personaggio di Max è incarnato perfettamente nel volto solcato di rughe di Jean Gabin, che sembra condividere con Max la purezza morale e la maturità professionale di un uomo che non accetta compromessi. La performance di Gabin è una resurrezione. Dopo essere stato l'icona del realismo poetico degli anni '30, la sua carriera si era appannata. Questo film reinventa la sua maschera, creando l'archetipo del gangster maturo, elegante e disilluso che influenzerà generazioni di attori, da Lino Ventura a Jean-Paul Belmondo. È uno spossato guerriero che dopo una vita di scontri intende ad ogni costo fermarsi e ritirarsi nella quiete di un buen retiro. La scena più rivoluzionaria del film è forse quella più anti-drammatica. Dopo una serata fuori, Max e Riton tornano nell'appartamento di Max. Per quasi dieci minuti, li osserviamo compiere gesti di una banalità disarmante: si cambiano, si mettono il pigiama, Max si spalma una crema sul viso, prepara uno spuntino. È la famosa "scena del pigiama", un momento di puro realismo che umanizza questi criminali come mai prima. Non sono miti, sono uomini stanchi. Meravigliosa è anche la scena in cui, capite le intenzioni di Angelo, Max prende con sé Riton per metterlo al corrente delle mire del rivale, offrendo all'amico Foie Gras e Champagne, mentre l'inquadratura indugia sul particolare del coltello che voluttuosamente affonda nel Foie Gras, un gesto che unisce lusso e una sottile, implicita violenza.

Questo stile, questo focus sulla professionalità, sui rituali e sulla malinconia esistenziale, fa di Becker il padre spirituale del più grande autore del polar francese, Jean-Pierre Melville. Il cinema di Melville, con i suoi gangster laconici e i suoi codici d'onore quasi astratti, come in Frank Costello, faccia d'angelo o I senza nome, è una distillazione quasi metafisica di temi che Becker aveva già messo in campo con un approccio più terreno e realista. Se Becker è il prosatore, Melville è il poeta. In definitiva, Grisbì non è solo un film su una rapina andata storta. È un'opera profonda e malinconica sulla lealtà, sull'amicizia maschile e sulla fine di un'era. Il titolo originale è un avvertimento: "Non toccate il grisbi". Ma il film ci mostra che il vero, intoccabile tesoro non sono i lingotti d'oro, ma il sogno di una vecchiaia tranquilla, di una lealtà che resiste al tempo. E nel mondo fatalista del noir, quello è l'unico tesoro che viene sempre, inevitabilmente, violato. Il finale, con Max che cammina da solo nella notte parigina, ricco ma privato di tutto ciò che contava, è il sigillo perfetto su questo capolavoro stanco e indimenticabile.

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