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Harold e Maude

1971

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Regista

Hal Ashby è il regista di questo film bizzarro, irriverente, ironico fino al midollo. Un cineasta atipico, Ashby, figura emblematica di quella "New Hollywood" che osò sfidare le convenzioni, forgiando un cinema profondamente umano e spesso intriso di una sottile malinconia. La sua regia in "Harold e Maude" è un esercizio di leggerezza e profondità, capace di danzare tra il grottesco e il commovente senza mai cadere nel sentimentale o nel didascalico. Egli orchestra un balletto tra la vita e la morte, il conformismo e la libertà, con una sensibilità che ritroviamo in opere successive come il disincantato "Oltre il giardino" (Being There) o il tagliente "Shampoo", consolidando la sua reputazione di autore capace di leggere l'anima americana con uno sguardo acuto e mai giudicante.

La storia d’amore tra due improbabili personaggi diviene lo sfondo alle loro avventure minimaliste e surreali. Ma non si tratta di una semplice love story; è piuttosto un inno alla vita che si manifesta attraverso la più insolita delle mentorship. Ashby utilizza la disparità anagrafica non come stratagemma sensazionalistico, bensì come lente d'ingrandimento per esplorare la natura dell'affetto, della comprensione reciproca e della liberazione dalle gabbie sociali. Le loro "avventure" sono quadretti di ribellione quotidiana, fughe dalla banalità, dove il minimalismo delle azioni – una passeggiata al cimitero, un furto d'albero – si carica di un significato esistenziale smisurato, quasi a riflettere la poetica dell'assurdo che pervadeva certo teatro europeo del dopoguerra.

Le azioni si susseguono con una naturalezza terrificante e con un senso del grottesco che traspare in filigrana. "Terrificante" perché il film non arretra di fronte al macabro, lo abbraccia, lo disseziona con un candore quasi infantile, trasformando il tabù della morte e del suicidio in una forma d'arte, o almeno, in una bizzarra espressione di sé per Harold. Il grottesco non è qui una mera licenza comica, ma un vero e proprio strumento ermeneutico, un filtro attraverso cui decodificare l'ipocrisia borghese e le convenzioni sociali. La sequenza delle "finte morti" di Harold, sempre più elaborate e plateali, è un'accusa satirica alla famiglia americana tipica, troppo assorta nel proprio narcisismo per accorgersi del grido d'aiuto, o forse, del mero bisogno di attenzione del figlio.

Harold è un diciottene depresso e stanco della vita, il suo unico svago è frequentare funerali di sconosciuti, Maude è un’arzilla settantanovenne innamorata della vita, anticonformista e spericolata in sella alla sua motocicletta. Harold, interpretato da un Bud Cort dalla fragilità quasi eterea, è l'incarnazione di una gioventù disillusa, svuotata di senso in un mondo che sembra aver perso ogni direzione dopo gli ideali del Sessantotto. La sua fissazione per la morte non è nichilismo, ma una ricerca disperata di autenticità in un'esistenza che percepisce come un'infinita recita. Maude, d'altro canto, è un'esplosione di vita, una forza della natura anarchica e luminosa, una sorta di filosofa autodidatta che ha saputo fare dell'esistenza una forma d'arte. Ruth Gordon la interpreta con una vitalità contagiosa, portando sullo schermo l'essenza stessa della sua carriera, fatta di personaggi dalla forte personalità e dal fascino inossidabile. Il suo passato, solo accennato attraverso il tatuaggio del campo di concentramento, aggiunge una profondità insospettabile al suo carpe diem, trasformando la sua gioia di vivere in una forma di resilienza, un atto di suprema ribellione contro la sofferenza subita.

Quando i due si incontreranno sarà grande amore e appena Harold avrà annunciato alla famiglia che intende sposare Maude scoppierà un inevitabile pandemonio. Questo "amore" trascende le categorie, non è tanto romantico quanto vitale, un'alchimia che porta Harold a riscoprire i colori del mondo. Il pandemonio familiare, con le disperate manovre della madre di Harold per "normalizzarlo" attraverso incontri con psichiatri ottusi e improbabili appuntamenti al buio, è una satira pungente sulla psiche benpensante, sul terrore del diverso, sull'ossessione per le apparenze. L'istituzione familiare, così come la Chiesa e l'Esercito (altre "istituzioni" satirizzate nel film), sono presentate come entità soffocanti, incapaci di comprendere o accettare ciò che esula dalle loro strette norme.

Maude allora si preoccuperà di infondere tutto il suo amore per la vita in Harold prima di lasciarlo. La sua lezione non è solo sul vivere, ma anche sul morire. La scelta finale di Maude, compiuta in piena consapevolezza e serenità, non è un atto di resa, ma l'affermazione ultima della sua libertà e del suo controllo sulla propria esistenza. È il coronamento di una vita vissuta pienamente, fino all'ultimo respiro, e un insegnamento per Harold sulla natura ciclica dell'esistenza, sulla necessità di accettare il dolore e la perdita come parte integrante della bellezza del vivere. Il finale, con Harold che danza in cima a una scogliera con il banjo donatogli da Maude, è un momento di pura liberazione, l'eco di una trasformazione profonda, di un'anima finalmente liberata dalle sue catene.

Ruth Gordon e Bud Cort, entrambi con grande esperienza teatrale, sono gli interpreti di questa commedia dai toni grotteschi e deliziosamente surreali, donando alla storia un tocco di disincanto molto apprezzabile. La loro chimica è palpabile, un duetto che si eleva al di sopra della sceneggiatura, infondendo ai personaggi un'autenticità che rende credibile anche l'assurdo. La performance di Ruth Gordon, in particolare, è un capolavoro di vitalità e saggezza, che le valse una nomination al Golden Globe e cementò la sua fama come icona pop e anti-convenzionale. La colonna sonora, tessuta con le melodie malinconiche ed eversive di Cat Stevens, non è un mero accompagnamento, ma una vera e propria voce narrante che si fonde perfettamente con lo spirito del film, accentuandone la natura agrodolce e il messaggio di speranza e ribellione. Brani come "Trouble," "Where Do The Children Play?" e soprattutto "If You Want To Sing Out, Sing Out" diventano parte integrante dell'identità del film, inni alla libertà individuale e alla ricerca della propria voce.

Un film che rimane nel cuore come una piccola scoperta da custodire in segreto, ma che ha saputo, nel corso degli anni, emergere dalla sua iniziale semi-oscurità per affermarsi come un vero e proprio cult. Inizialmente accolto con indifferenza o perplessità dalla critica e dal pubblico, "Harold e Maude" è diventato un fenomeno di culto, proiettato ininterrottamente per anni in circuiti d'essai e riscoperto da generazioni di spettatori affascinati dalla sua originalità senza tempo. È una favola moderna, un manifesto di indipendenza e un promemoria costante che la vita, con tutte le sue assurdità e le sue inevitabili conclusioni, è un dono prezioso da celebrare e non da temere, da vivere con l'intensità e la leggerezza di un ballo sull'orlo di un precipizio.

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