Bastardi senza Gloria
2009
Vota questo film
Media: 5.00 / 5
(1 voti)
Regista
Un film per certi versi sorprendente questo di Tarantino, che si discosta dal filone metropolitano, intriso di pulp e crimine, per cimentarsi con il genere bellico, ma lo fa a modo suo, con la consueta irriverenza e una vertiginosa maestria stilistica che travalica ogni aspettativa. Tarantino non si limita a un semplice cambio di set, ma espande il suo universo di citazioni, archetipi e destrutturazioni narrative in un contesto storico che, nelle sue mani, diventa materia malleabile, quasi fosse un gigantesco giocattolo per una riscrittura audace e provocatoria.
Ma la guerra di Tarantino è scevra da ogni rigore storico o cronachistico, è una guerra onomatopeica, grottesca, per alcuni aspetti da fumetto, un’epopea pulp che si nutre di pura fantasia vendicatrice. Non è una ricostruzione storica, bensì una gloriosa e catartica contro-narrazione, un'esplosione di desiderio represso e di giustizia poetica che si manifesta attraverso il medium cinematografico. Qui la storia non è data, ma creata, modellata dalla volontà di un autore che non teme di riscrivere il passato per soddisfare un irrefrenabile bisogno di giustizia retributiva. È la pura essenza del revisionismo cinematografico, che non cerca di insegnare, ma di liberare, di far esplodere la fantasia in una catarsi collettiva che trascende il confine tra schermo e spettatore. In tal senso, il film si erge a monumento di un cinema che riflette su se stesso, sulle sue capacità demiurgiche di fabbricare miti e di sovvertire narrazioni consolidate.
Aldo Raine è un tenente americano che raduna una squadra di veri duri: il loro compito sarà infiltrarsi nella Francia occupata e “uccidere quanti più nazisti possibile”. Un mantra semplice, brutale, che eleva questi "bastardi" a figure quasi mitologiche, una sorta di Apache metropolitani calati nel cuore dell'Europa in guerra, destinati a infondere il terrore nei cuori degli oppressori. La loro violenza è rituale, quasi performativa, pensata non solo per eliminare il nemico fisico, ma per sgretolarne la psiche, per trasformare il simbolo della svastica in un monito inciso a fuoco sulla fronte di chi sopravvive, un marchio indelebile che li segna come "nemici dell'umanità".
In seguito la sua squadra sarà chiamata a svolgere delicate missioni, non ultima l’attentato alla vita di Hitler, un'audacia narrativa che cristallizza l'intento del film: non raccontare la Storia, ma distorcerla, piegarla, ridisegnarla per un effetto catartico ed esplosivo. L'idea di eliminare il Führer non è solo un twist di trama, ma la dichiarazione d'intenti più potente di Tarantino, un atto di ribellione contro la fatalità degli eventi, un sogno ad occhi aperti che il cinema rende possibile.
Per farlo Raine sceglierà un cinema parigino di proprietà di un’ebrea scampata al massacro della sua famiglia e pronta a vendicarsi per conto proprio. Shosanna Dreyfus, interpretata con intensità struggente da Mélanie Laurent, non è solo una vittima trasformata in carnefice, ma è la personificazione stessa del potere del cinema. La sala cinematografica, luogo sacro per Tarantino, non è un mero sfondo, ma il teatro di una vendetta che si consuma attraverso lo schermo, il fuoco del proiettore che diventa arma, la pellicola stessa che si trasforma in combustibile per la rivoluzione. È un'apoteosi del meta-cinema, un film che celebra il potere liberatorio e distruttivo della Settima Arte, capace di rovesciare tiranni e riscrivere i destini. Il suo atto finale non è solo un incendio, ma una purificazione, una proiezioni di volti vendicatori che si impongono sulla narrazione ufficiale, bruciando il passato e aprendo le porte a un futuro riscritto dall'immaginazione. Questo è il trionfo della finzione sulla realtà, un inno alla capacità del racconto di forgiare nuove verità.
Un Brad Pitt superomistico, surreale e sardonico interpreta questo sgozzanazisti da cartoon. Il suo Aldo Raine è un'icona, un Southern caricature che si muove con la gravità di un fumetto e la scanzonata sicurezza di un eroe pulp. La sua inflessione marcata, la sua cicatrice, la sua brutalità quasi gioiosa, lo rendono immediatamente riconoscibile e memorabile, un crocevia tra il genere western e l'estetica grindhouse, perfettamente calato in un ruolo che è al contempo archetipo e parodia.
Menzione specialissima, quasi doverosa, per l’interpretazione di Cristoph Waltz nei panni del colonnello Hans Landa, una grande prova di talento che da lustro all’intera opera e che, senza dubbio, ne eleva il tono a vette inattese. Landa, "il cacciatore di ebrei", è un villain che buca lo schermo, un poliedrico poliglottismo che maschera una ferocia calcolatrice e una lucidità terrificante. La sua intelligenza acuta, la sua ironia sottile e la sua capacità di manipolare ogni conversazione lo rendono un personaggio ipnotico, capace di creare una tensione palpabile con la semplice cadenza della sua voce o il posizionamento di una sedia. Ogni suo monologo è una lezione di suspense psicologica, una danza tra la cortesia più affettata e la crudeltà più gelida. Waltz non si limita a recitare, ma abita Landa, dando vita a uno dei personaggi più complessi e indimenticabili del cinema moderno, un'incarnazione del male che non ha bisogno di violenza fisica per terrorizzare, ma si serve della parola come arma affilata. La sequenza iniziale della fattoria, così come il celebre "strudel test", sono esempi paradigmatici della sua abilità nel dominare la scena, trasformando dialoghi apparentemente innocui in vertiginosi precipizi di terrore. La sua perfidia è così raffinata da risultare quasi seducente, un ingranaggio perfetto nella macchina narrativa di Tarantino.
Inutile cercare riferimenti storici o aderire pedissequamente alla realtà, meglio godersi l’immenso valore artistico del film e lasciare fluire le immagini, immergersi in questo sogno lucido di vendetta e cinema. La bellezza di Inglourious Basterds risiede proprio nella sua capacità di emanciparsi dalla tirannia della veridicità storica per abbracciare una più profonda verità emotiva e simbolica. Il film non è un documentario, ma un'opera d'arte che riflette sulla natura della guerra, dell'odio e della giustizia, attraverso una lente iperbolica e stilizzata. E, con la sua inconfondibile battuta finale di Aldo Raine, "You know somethin', Utivich? I think this just might be my masterpiece", Tarantino non si limita a celebrare la vittoria dei suoi "bastardi", ma lancia una dichiarazione d'intenti, quasi un sigillo autoriale sulla sua audace e geniale rivisitazione del genere, riconoscendo, con la sua tipica autoironia e grandiosità, l'impatto e la risonanza di un'opera che è destinata a rimanere nel pantheon del cinema.
Inglourious Basterds in questo senso non deluderà di certo, ma si erge a pietra miliare nel percorso autoriale di Tarantino, un'opera audace, provocatoria e intrinsecamente cinematografica che celebra il potere della finzione di plasmare la realtà e di offrire, seppur solo sullo schermo, una catarsi desiderata da troppo tempo.
Paesi
Galleria
















Commenti
Loading comments...