La Terra
1930
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Regista
Un grande poema naturalistico che celebra il rapporto tra il cittadino sovietico e il suo elemento. Il tutto in un’altissima forma estetica corroborata da un lirismo mai di maniera. Un lirismo che non si limita alla mera estetica ma si fa veicolo di un'esperienza quasi tattile, una sensibilità che avvolge lo spettatore nella fisicità della terra e dei suoi cicli. Se Ejzenstejn usava il montaggio per stimolare l'intelletto e Vertov per documentare la realtà cruda del "cine-occhio", Dovzhenko lo impiega per evocare una risonanza emotiva e quasi ancestrale, forgiando un'ode panteistica alla vita stessa. Dovzhenko firma uno dei più grandi capolavori del cinema muto con una visione permeata di straordinario senso delle immagini.
La Terra rappresenta un'opera monumentale nella storia del cinema, un poema visivo che celebra la natura, la vita contadina e l'ideale comunista. Dovzhenko, con la sua sensibilità poetica e il suo sguardo visionario, trascende i canoni del realismo socialista, come già Ejzenstejn prima di lui, per creare un film di straordinaria bellezza e potenza espressiva, in cui la terra, intesa come elemento naturale e come patria, diventa protagonista assoluta. Questa centralità tellurica si manifesta in ogni fotogramma, dal fruscio del grano sotto il vento ai solchi freschi del campo, elevando la materia a entità quasi divina, un'audacia che, nel contesto del didascalismo sovietico, non fu esente da pesanti critiche per il suo presunto "naturalismo borghese" e "misticismo", incapace di veicolare il messaggio rivoluzionario con la dovuta chiarezza di classe. L'opera, inserita nel contesto storico della collettivizzazione forzata delle campagne in Unione Sovietica, si distingue per la sua originalità e la sua forza simbolica, offrendo un'interpretazione lirica e profondamente umana del rapporto tra l'uomo e la natura.
Nel film si possono notare anche influenze del cinema d'avanguardia sovietico, in particolare del montaggio intellettuale di Ejzenstejn e del "cine-occhio" di Vertov. Dovzhenko utilizza il montaggio in modo creativo, alternando primi piani, campi lunghi e inquadrature dettagliate, creando un ritmo visivo dinamico e coinvolgente. La sua arte non si limita a un esercizio formale; essa traduce in immagini la profondità di un'anima ucraina intrisa di legame con la terra, superando i dettami propagandistici per toccare corde universali, quasi a voler infondere nello spettatore la stessa linfa vitale che scorre nei campi.
In un villaggio ucraino, al culmine di una calda estate, il vecchio Semën Trubenko muore serenamente sotto un melo, circondato dalla sua famiglia. La sua dipartita, in armonia con la natura, è un prologo di serena accettazione dei cicli vitali, che contrasta con la violenza che presto irromperà. Suo figlio, Vasil, un giovane e appassionato comunista, guida il movimento per la collettivizzazione delle terre e l'introduzione del primo trattore nel villaggio, scontrandosi con la resistenza dei kulaki, i contadini più ricchi. Il trattore, simbolo di progresso e meccanizzazione forzata, non è qui un mero arnese, ma quasi un golem metallico che irrompe in un ordine primordiale, scatenando una tensione palpabile tra l'arcaico e il moderno, tra la tradizione e l'imperativo ideologico. Questa collisione è il cuore del conflitto, non solo tra contadini ricchi e poveri, ma tra due visioni del mondo radicalmente opposte, una radicata nella ciclicità naturale, l'altra nell'accelerazione storica imposta dall'ideologia. Una notte, mentre torna a casa euforico dopo aver arato i campi con il nuovo trattore, Vasil viene ucciso da un kulak. La sua morte, tragica eppure epifanica, getta il villaggio nello sconforto, ma il suo funerale si trasforma in una celebrazione della vita e della fertilità della terra. La pioggia, a lungo attesa, cade sui campi, mentre una giovane donna incinta simboleggia la continuità della vita e il futuro radioso della comunità. La scena finale, con la pioggia purificatrice che benedice la terra e la figura della donna incinta che emerge come icona della perpetuazione, trascende la mera rappresentazione politica per assumere le sfumature di un rito pagano di rinascita, un inno alla fertilità che sfida la morte e la violenza, e che, per la sua forza quasi mistica e la rappresentazione della nudità di Vasil, sollevò non poche perplessità tra i custodi dell'ortodossia marxista-leninista, accusando Dovzhenko di indulgere in un'estetica non conforme ai precetti del realismo socialista.
La macchina da presa, con movimenti fluidi e inquadrature suggestive, cattura la bellezza dei campi di grano, la maestosità degli alberi secolari, la forza degli elementi naturali. La morte di Vasil, giovane e idealista sostenitore della collettivizzazione, diventa il pretesto per una riflessione sulla vita e sulla morte, sul ciclo eterno della natura e sulla continuità della vita. Il funerale di Vasil, trasformato in una celebrazione della vita e della comunità, è una delle scene più memorabili del film: le immagini dei contadini che danzano e cantano, il corteo funebre che si snoda attraverso i campi di grano, la fusione tra l'uomo e la natura, creano un'atmosfera di intensa commozione e di solenne bellezza. È un'estasi collettiva, un'elegia funebre che si trasforma in danza dionisiaca, dove il lutto è assorbito e superato dalla promessa ininterrotta della vita. Questa capacità di infondere il sacro nel quotidiano, il cosmico nel contingente, distingue Dovzhenko dai suoi contemporanei, proiettando "La Terra" oltre i confini del suo tempo e del suo intento programmatico. Un’opera incredibilmente moderna a fronte di un gusto estetico raffinatissimo e di un talentuoso uso della cinepresa. Il film, pur essendo stato realizzato in un contesto storico e politico specifico, conserva la sua attualità, invitando lo spettatore a riflettere sul rapporto tra l'uomo e l'ambiente, sull'importanza della comunità e sulla forza della speranza. Una pellicola che ancora oggi sa commuovere e appassionare, segno inequivocabile di un’arte che resiste al tempo vincendone il potere di decadimento. Una lezione di cinema, ma soprattutto una lezione sull'esistenza, sul fragile ma indissolubile patto tra l'uomo e il suolo che lo nutre e lo accoglie, un'opera che, ancora oggi, risuona con la forza di un archetipo, richiamandoci alle nostre radici più profonde e alla resilienza di fronte al divenire storico, una "Genesi" filmica che continua a germogliare nel subconscio collettivo.
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