Tarda Primavera
1949
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Regista
Un mirabile incantamento dove ogni immagine è disposta con infinito amore e straordinario senso estetico. Non si tratta di una mera scelta stilistica, ma di una vera e propria visione filosofica: la macchina da presa, spesso posta all’altezza del tatami, ci invita a partecipare alla vita quotidiana dei personaggi, a immergerci nella loro intimità domestica, quasi fossimo ospiti silenziosi in un Giappone di transizione. I suoi celebri "cuscini" (i pillow shots), inquadrature di pura transizione di oggetti inanimati o paesaggi urbani, fungono da pause meditative, da respiri narrativi che permettono allo spettatore di assimilare le emozioni appena vissute e di prepararsi a quelle che verranno, distillando il tempo in frammenti di pura contemplazione.
Ozu dimostra ancora una volta di essere un raffinato intellettuale realizzando un’opera che non solo dal punto di vista formale ma anche semantico rispecchi i valori e le tradizioni del suo popolo. Il suo cinema, pur nella sua apparente semplicità, è una complessa indagine sull'animo umano e sui mutamenti sociali del Giappone post-bellico. Mentre registi come Kurosawa si dedicavano a epopee eroiche o drammi storici e Mizoguchi esplorava la sofferenza femminile e le ingiustizie sociali, Ozu sceglieva di rimanere saldamente ancorato alla sfera domestica, esplorando con acuta sensibilità le crepe che si aprivano nel tessuto familiare tradizionale sotto la spinta della modernità e dell'occidentalizzazione. Le sue opere sono sismografi dell'anima giapponese, registrando con precisione quasi etnografica le tensioni tra il giri (il dovere, l'obbligo sociale) e il ninjo (il sentimento personale, il desiderio).
Affronta infatti in questo film un tema a lui caro: la disgregazione della famiglia e l’allontanamento degli affetti. Un motivo ricorrente nella sua filmografia – da Viaggio a Tokyo a Fiori d’equinozio – che qui, in Tarda Primavera, assume i contorni di una elegia dolcissima e struggente, la cronaca di un addio annunciato. Il conflitto generazionale, la solitudine dei genitori anziani, la difficoltà dei figli di conciliare la realizzazione personale con il legame filiale: sono temi universali che, attraverso la lente specifica della cultura giapponese, raggiungono vette di sublime commozione.
La storia è quella di un vedovo che vive solo con la figlia, Noriko, interpretata da una Setsuko Hara di abbagliante e malinconica bellezza, la cui enigmatico sorriso divenne simbolo di un'epoca e di una spiritualità. L’uomo, Shuhei, interpretato dal fedele Chishū Ryū, desidera che la ragazza trovi un marito e fa di tutto per convincerla. Ma la ragazza è profondamente riluttante a lasciare il padre da solo, intrappolata tra l'amore incondizionato per lui e la crescente pressione sociale a sposarsi. Il loro legame, permeato di silenzi eloquenti e di un'intesa quasi simbiotica, è il cuore pulsante del film, un ritratto di devozione che sfida la logica convenzionale. L’uomo, consapevole che solo una rottura drastica potrà spingere la figlia verso il suo futuro, metterà in atto uno stratagemma intriso di altruismo e dolore, un atto di finto tradimento per liberarla dal peso della sua dedizione. La scena finale, con Shuhei che sbuccia lentamente una mela, un gesto di quieta solitudine dopo la partenza della figlia, è un'icona del cinema di Ozu, epitome del mono no aware, la malinconia gentile per la transitorietà delle cose e la bellezza della loro impermanenza.
Il delicato equilibrio delle parti in gioco, la vellutata cascata di immagini che ci investe inondandoci di pura bellezza, lo stile cristallino, il morbido dibattito dei sentimenti: tutto ciò contribuisce a fare di questo film un’opera a cui non si può rinunciare. La sua apparente lentezza non è inazione, ma una profonda immersione nella psicologia dei personaggi, un invito alla pazienza che si traduce in una ricchezza emotiva rara. Le conversazioni, spesso ripetitive, la recitazione minimalista, i gesti quotidiani elevati a rituali: ogni elemento della grammatica oziana è volto a smascherare la complessità celata dietro la superficie della vita ordinaria. È un cinema che ci insegna ad ascoltare i silenzi, a leggere tra le righe delle convenzioni sociali, a percepire il non detto che intesse le relazioni umane più profonde. Tarda Primavera non è solo un film, ma un'esperienza meditativa, una lezione di vita sulla rinuncia e sull'accettazione, sulla bellezza struggente del lasciar andare e sul ciclo inevitabile dell'esistenza umana. Per stabilire un’oasi di pace e bellezza nelle nostre frenetiche esistenze.
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