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L’Avventura

1960

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Tre personaggi sono i vertici di un triangolo che Antonioni mette in campo in questa sua storia scritta in collaborazione con Tonino Guerra e Elio Bartolini. Un’architettura narrativa che, sin dalle prime inquadrature, suggerisce non tanto una stabilità geometrica quanto piuttosto la labilità dei legami, la fragilità di un’esistenza borghese agiata eppure pervasa da un’inquietudine endemica.

Sandro, architetto senza talento, Anna sua fidanzata, ricca e viziata, e Claudia, amica di Anna, ragazza dolce e remissiva, innamorata della vita. Questo trio non è che il punto di partenza per una vertigine esistenziale che Antonioni, con la sua inconfondibile lente analitica, si propone di esplorare. Durante una crociera alle isole Eolie Anna scompare senza lasciare tracce. Ma questa sparizione non è il fulcro di un enigma alla Hitchcock, né il catalizzatore di un’indagine poliziesca. Al contrario, essa diviene l'asse attorno al quale ruotano la frammentazione emotiva e la progressiva alienazione dei personaggi che restano, immersi in un paesaggio di silenzi e rivelazioni mancate. La ricerca della donna da parte di Sandro e Claudia, che percorrono la costa siciliana, di paese in paese, senza riuscire a reperire notizie sulla donna, è più un viaggio interiore, un pellegrinaggio attraverso le rovine del sentimento e della comunicazione. Le coste desolate, le rocce laviche, i vicoli angusti e le piazze assolate della Sicilia non sono mero sfondo, ma si fondono con gli stati d'animo dei protagonisti, assumendo il ruolo di veri e propri "paesaggi dell'anima", specchio della loro crescente desolazione interiore.

Intanto tra i due nasce qualcosa, un sentimento che Sandro dichiara a Claudia, che ricambia l’amore di Sandro. Un sottile gioco psicologico alla base di questo film, tutto incentrato sulla tensione emotiva che travolge Claudia, dilaniata dall’attrazione per Sandro da un lato e il rimorso per aver tradito l’amica dall’altro. La sua è una parabola di disvelamento e di caduta, un percorso dall'innocenza al compromesso, che Monica Vitti, musa antonioniana per eccellenza, interpreta con una sensibilità palpabile, traducendo ogni esitazione, ogni sguardo perso nel vuoto, in un ritratto indimenticabile della fragilità umana. Disarmante il personaggio di Sandro: inetto, ignavo, completamente in balia degli eventi, senza alcuna autorità. Egli è l'emblema di una mascolinità in crisi, svuotata di proposito e iniziativa, un archetipo dell'uomo moderno disorientato nell'opulenza effimera del "boom economico" italiano, incapace di costruire non solo opere solide (come dovrebbe fare un architetto) ma anche relazioni significative. La sua professione, l'architettura, diventa qui metafora della sua incapacità di dare forma e sostanza alla propria vita, di fronte alla disintegrazione del sé e dei legami affettivi.

Antonioni è ancora interessato, dopo Il Grido, a sondare il sottile gioco dei sentimenti in relazione al flusso di coscienza intimo e segreto che il regista si preoccupa di portare alla luce con lucido voyeurismo. La sua macchina da presa è un occhio implacabile, capace di indugiare su silenzi prolungati, su gesti incompiuti, su sguardi che si perdono nel vuoto, costruendo un’estetica della sospensione e dell’attesa. La fotografia di Aldo Scavarda, con le sue composizioni ampie e la sua luce naturale, contribuisce a creare un'atmosfera di straniamento, dove i personaggi appaiono spesso piccoli e isolati all'interno di vaste inquadrature, suggerendo la loro irrilevanza di fronte all'immensità dell'esistenza e all'ineluttabilità della solitudine.

Altro tema fondamentale in questa opera: l’assenza. Anna scompare quasi subito ma la sua presenza, nell’assenza, incombe sui due amanti. La sua disgregazione fisica corrisponde alla sua tangibile presenza nella mente e sul destino di chi la cerca e non sa, o forse non vuole, trovarla. Questa "assenza presente" è il cuore pulsante del film, una metafora della "malattia dei sentimenti" che Antonioni avrebbe continuato a esplorare nella sua cosiddetta "trilogia dell'incomunicabilità", proseguita poi con La Notte e L'Eclisse. Non si tratta solo dell'assenza di un individuo, ma dell'assenza di significato, di autenticità, di un centro morale in una società che, pur materialmente prospera, si rivela emotivamente arida. L'Avventura fu un film che divise profondamente critica e pubblico al Festival di Cannes del 1960, venendo inizialmente fischiato ma poi premiato con il Premio Speciale della Giuria, grazie anche alla strenua difesa di registi come Roberto Rossellini. La sua audacia formale, la sua volontaria rottura con le convenzioni narrative e la sua impietosa indagine sull'alienazione umana lo consacrarono come un'opera spartiacque, un capolavoro che segnò l'inizio di una nuova era per il cinema moderno, influenzando generazioni di cineasti nella loro esplorazione del disagio esistenziale e della crisi dei valori borghesi. È un film che non offre risposte ma pone domande, lasciando allo spettatore il compito di confrontarsi con il vuoto, l'incertezza e la vertigine dell'anima contemporanea.

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