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Léon

1994

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Regista

Un punto di arrivo per Luc Besson, regista transalpino che con questo film raggiunge la piena consacrazione dopo il successo in patria di Nikita. Se con quest'ultimo Besson aveva già delineato i tratti salienti del suo "cinéma du look", fatto di estetica iper-curata, personaggi archetipici e una predilezione per l'azione stilizzata, in Léon questa formula raggiunge una maturità inaspettata. Non si tratta più solo di un virtuosismo visivo, ma di un linguaggio cinematografico al servizio di un'emozione profonda e sfumata, un'evoluzione che eleva il film al di là della mera operazione commerciale.

Il film ha riscosso notevole successo al botteghino finendo per entrare nella schiera dei film più amati. Un trionfo popolare che, tuttavia, non è di certo stato condiviso da una parte della critica, che ha tacciato Besson di eccessiva stilizzazione dei personaggi e di ridondante americanizzazione della sceneggiatura. Questo dibattito sulla presunta “americanizzazione” merita un’analisi più approfondita. Alcuni puristi del cinema d’autore francese, ancorati a una visione più intellettuale e meno votata allo spettacolo, vedevano in Besson una sorta di traditore che abbracciava i codici di Hollywood. Eppure, proprio in questa apparente cedevolezza risiede la sua forza: Besson non rinuncia alla sua identità autoriale, ma la fonde con una grammatica universale, quella del thriller d'azione e del dramma emotivo, rendendo la sua opera accessibile e risonante su scala globale. La stilizzazione, lungi dall'essere un difetto, diventa una cifra distintiva, un filtro attraverso il quale il regista compone la sua realtà cinematografica, permeata di archetipi quasi mitologici.

E in effetti Besson, seppure con qualche caduta di tono, scrive e dirige una storia con personaggi stilizzati, ma la forza del film a nostro parere è proprio questa. La linearità della narrazione, tanto vituperata da alcuni critici come semplicistica, crea invece un pattern in cui violenza e poesia si intrecciano con una chiarezza quasi didascalica, dando vita a una storia dove i personaggi ribaltano i cliché senza forzature. Questa semplicità strutturale è un’elegante scelta stilistica che permette di concentrarsi interamente sull'evoluzione psicologica dei protagonisti e sulla dinamica della loro relazione, piuttosto che perdersi in meandri narrativi complessi. È un approccio che ricorda le favole moderne o le parabole urbane, dove il messaggio e il cuore pulsante della storia emergono in tutta la loro potenza emotiva.

La storia è incentrata sul killer professionista Leon, un italiano trasferitosi a New York e al soldo di un potente boss mafioso. Léon, magnificamente interpretato da Jean Reno, è un antieroe solitario e metodico, la cui esistenza è scandita da rituali quasi monastici: il bicchiere di latte, la meticolosa pulizia delle armi, e soprattutto, la cura maniacale della sua pianta d'appartamento, una metafora palese della fragilità e della necessità di accudimento che si annidano sotto la sua scorza dura. La vita dell’uomo è divisa tra i suoi contratti e una tranquilla esistenza dove Mathilda è una sua piccola vicina di casa con cui ama parlare. Quando la famiglia della bambina sarà sterminata da poliziotti corrotti, guidati da un Gary Oldman gigionesco e memorabile nel ruolo dell'antagonista Norman Stansfield – un demone nichilista perennemente sotto l'effetto di psicofarmaci, la cui teatralità esasperata serve da perfetto contraltare alla sobria introversione di Léon – l'assassino si sentirà in dovere di proteggere Mathilda.

Un’amicizia improbabile quanto incantevole tra un killer e una bambina fa di questo film un cult con un delicato gusto per l’introspezione. Il film si inserisce nel solco di opere che esplorano dinamiche simili, pur distinguendosi per la sua specificità e il suo tono. Si pensi a Taxi Driver di Martin Scorsese, dove un Travis Bickle alienato e violento assume su di sé il fardello di salvare una giovane prostituta dalla depravazione urbana, o a Paper Moon, dove il legame tra un truffatore e una bambina orfana si tesse in un contesto di povertà e adattamento. Tuttavia, Léon si spinge oltre, intessendo una rete emotiva complessa e talvolta ambigua, che ha suscitato non poche discussioni all'epoca della sua uscita. Il suo essere "italiano" è un dettaglio quasi simbolico, che lo colloca come un estraneo in una metropoli americana, amplificando la sua solitudine e la sua natura di outsider, un professionista della morte che trova un inaspettato scopo nella vita.

L’amore platonico di Léon per Mathilda è un’impalpabile germoglio che cresce silenziosamente e crea una sorta di aura magica nella quale Besson si muove abilmente incastonando una storia che sa toccare le giuste corde dell’emozione umana. La relazione tra i due protagonisti, una Natalie Portman qui al suo debutto con una performance che è a dir poco sbalorditiva per intensità e maturità, è il cuore pulsante del film. Besson naviga con maestria il potenziale burrascoso di un tale legame, mantenendo un equilibrio precario ma costante tra protezione paterna, dipendenza reciproca e un'inquietante precocità emotiva. Mathilda non è una vittima passiva; è una forza propulsiva, desiderosa di vendetta, che spinge Léon fuori dalla sua zona di comfort e lo costringe a confrontarsi con la propria umanità latente. Il suo desiderio di imparare il "mestiere" del killer non è una mera emulazione della violenza, ma un disperato tentativo di riappropriarsi di un controllo sulla propria vita, persa in un istante.

La colonna sonora di Eric Serra, eterea e pulsante, contribuisce in maniera significativa a forgiare questa "aura magica", mescolando sonorità elettroniche a melodie malinconiche, che amplificano il senso di isolamento dei personaggi e la loro ricerca di un rifugio emotivo nella desolazione urbana di New York. Léon è, in definitiva, un'opera che trascende i generi, un'odissea urbana che esplora i confini della moralità, della solitudine e della redenzione, lasciando un'impronta indelebile nella memoria dello spettatore grazie alla sua crudezza, alla sua poesia e all'indimenticabile alchimia tra i suoi straordinari protagonisti. Un film che, con il suo equilibrio tra l'estetica pop e la profondità emotiva, continua a sedurre e a far riflettere, dimostrando come la stilizzazione possa essere veicolo non di superficialità, ma di un'intensa verità umana.

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