L'impareggiabile Godfrey
1936
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Regista
In un universo cinematografico ordinato secondo le leggi della fisica newtoniana, dove a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, L'impareggiabile Godfrey opera come un acceleratore di particelle impazzito. Lancia i suoi personaggi l'uno contro l'altro a velocità folli, non per studiarne le collisioni, ma per godere del caos radiante che ne scaturisce. Il film di Gregory La Cava è l'esplosione primigenia, l'evento singolare da cui si è generata la galassia della screwball comedy, un genere che ha trasformato la disperazione della Grande Depressione in un parossismo di effervescenza verbale e slapstick esistenziale. E al centro di questo vortice, immobile e imperturbabile, c'è lui: Godfrey, il maggiordomo filosofo, l'uomo dimenticato che si ricorda di tutto.
La premessa è di una crudeltà così squisitamente classista da rasentare il teatro dell'assurdo di Ionesco. Durante una "caccia al tesoro" organizzata dall'alta società newyorkese, due sorelle viziate, la glaciale Cornelia (Gail Patrick) e la svampita Irene (Carole Lombard), devono trovare e portare come trofeo un "uomo dimenticato", un barbone. È un safari umano, un passatempo per annoiati patrizi che vedono la povertà non come una tragedia sociale, ma come un bizzarro oggetto da collezione. In questa discarica umana ai margini della civiltà, trovano Godfrey (William Powell), un uomo la cui dignità è inversamente proporzionale alla pulizia del suo soprabito. Irene, con l'incoscienza di un angelo sotto anfetamine, lo convince a seguirla, vincendo la gara e decidendo, con un capriccio che cambierà le sorti della sua famiglia, di assumerlo come maggiordomo.
Da questo momento, il film si trasforma in un'opera da camera ambientata nel più disfunzionale dei manicomi: la villa della famiglia Bullock. Godfrey non è semplicemente un servitore; è un antropologo, un Marco Aurelio precipitato in un happening dadaista. La sua quieta competenza, la sua logica ferrea, agiscono come un acido corrosivo sulla follia che lo circonda. La signora Bullock (Alice Brady), una matrona fatua con la risata di una iena e un "protetto" gigolò (Mischa Auer) che si esibisce in magistrali imitazioni di un gorilla, vaga per le stanze in una nebbia di egoismo. Il patriarca, Alexander Bullock (Eugene Pallette), è un Sisifo del capitalismo, un uomo la cui unica funzione è lamentarsi della propria ricchezza e delle spese della sua famiglia, con una voce roca che sembra provenire dalle profondità della terra. In mezzo a loro, Godfrey si muove con la grazia di un ballerino e la pazienza di un santo, un'isola di razionalità in un oceano di idiozia ereditaria.
La Cava, noto per il suo approccio quasi documentaristico e la sua predilezione per l'improvvisazione, lascia che i suoi attori costruiscano questo caos con una naturalezza sconcertante. Si dice che sul set incoraggiasse gli attori a ignorare il copione e a seguire il proprio istinto, pagando un dollaro per ogni "gag" improvvisata che finiva nel montaggio finale. Questa libertà è palpabile. Il dialogo non è semplicemente recitato; è lanciato, interrotto, sovrapposto, come in una jam session jazzistica dove ogni strumento cerca di sovrastare l'altro. Il ritmo è implacabile, una cascata di battute che non lascia respiro, una caratteristica che diventerà il marchio di fabbrica del genere, perfezionato in seguito da maestri come Howard Hawks e Preston Sturges.
Ma il cuore pulsante del film è la dinamica tra William Powell e Carole Lombard. Ex coniugi nella vita reale, la loro alchimia sullo schermo è una delle meraviglie del cinema classico. Powell è l'epitome della raffinatezza stoica; il suo Godfrey è un enigma avvolto in un tight. Ogni sua reazione è misurata, ogni sopracciglio inarcato è un trattato di sociologia. Lombard, d'altra parte, è pura energia cinetica. La sua Irene non è semplicemente "svitata"; è un essere pre-logico, una forza della natura che agisce per impulsi puri e irrefrenabili. Il suo amore per Godfrey non è romantico, è ossessivo, totalizzante, quasi primordiale. È lei il vero motore del cambiamento, l'agente del caos che, paradossalmente, smantella il vecchio ordine per farne nascere uno nuovo. La sua celebre performance, che la consacrò regina della commedia, è un capolavoro di fisicità e tempismo, un turbine di risate, svenimenti e dichiarazioni d'amore urlate con la disperazione di un'eroina tragica intrappolata in una farsa.
Sotto la superficie scintillante della commedia, L'impareggiabile Godfrey è una delle più acute e spietate satire sociali mai prodotte da Hollywood. Realizzato nel pieno della Depressione, il film mette in scena un mondo spaccato in due. Da una parte, l'opulenza insensata e autoreferenziale dei Bullock, così distaccati dalla realtà da non riuscire nemmeno a concepire la sofferenza altrui. Dall'altra, la "Hooverville" sulla riva dell'East River, la città dei baracche dove Godfrey e i suoi compagni vivono con una dignità e una solidarietà che sono completamente assenti nel lussuoso attico dei loro "superiori". Il film non è una chiamata alla rivoluzione proletaria – sarebbe stato impensabile per la Hollywood dell'epoca – ma una favola morale profondamente americana. La soluzione non è politica, ma individuale e capitalista. Godfrey, che si rivela essere un rampollo di una ricca famiglia di Boston caduto in disgrazia per una delusione d'amore, non guida una rivolta, ma usa la sua intelligenza e un po' di astuzia in borsa per redimere se stesso e i suoi amici.
In questo, il finale del film è quasi un manifesto del New Deal roosveltiano filtrato attraverso la lente dell'ottimismo hollywoodiano. Godfrey non redistribuisce la ricchezza; la crea. Trasforma la discarica in un'impresa di successo, un locale notturno chiamato "The Dump" (La Discarica), dando lavoro e dignità ai suoi amici "dimenticati". È una visione che riecheggia il Candide di Voltaire: di fronte a un mondo assurdo e crudele, la risposta è "coltivare il proprio giardino". Godfrey non cambia il sistema, ma ne crea una versione più giusta e umana al suo interno. È una fantasia, certo, ma una fantasia necessaria per un'America che aveva un disperato bisogno di credere nella possibilità di un riscatto.
C'è una qualità meta-testuale nel film che lo rende straordinariamente moderno. La villa dei Bullock non è solo una casa, è un palcoscenico dove ognuno recita una parte senza conoscerne il senso. Godfrey diventa il regista di questa commedia dell'arte, l'unico a vedere i fili che muovono i fantocci e a decidere di tagliarli. La struttura narrativa stessa è una sorta di inversione del mito di Pigmalione: non è l'uomo colto che educa la donna grezza, ma l'uomo che ha conosciuto la vera vita a tentare di instillare un briciolo di umanità in una tribù di selvaggi vestiti da sera.
Rivedere L'impareggiabile Godfrey oggi significa assistere alla nascita di un linguaggio. È un'opera seminale che contiene il DNA di quasi tutte le commedie romantiche che seguiranno, da Susanna! a Quando la moglie è in vacanza, fino a certi echi nelle opere di Wes Anderson, con le sue famiglie eccentriche e i suoi interni meticolosamente disordinati. Ma al di là della sua importanza storica, il film sopravvive per la sua intelligenza affilata come un rasoio, per il suo ritmo impeccabile e per la sua capacità di farci ridere di fronte all'abisso. È un cocktail Molotov lanciato con un sorriso smagliante, un atto di sovversione culturale mascherato da intrattenimento leggero. In un'epoca di disperazione, La Cava e i suoi attori hanno compiuto il miracolo più grande: hanno usato la risata non come una fuga dalla realtà, ma come un'arma per smascherarne la profonda, esilarante assurdità.
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