Lo Squalo
1975
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Regista
Basato su un romanzo di Peter Benchley che ne cura anche lo sceneggiatura un film che ha divorato ogni record d’incasso all’epoca consentendo a Steven Spielberg di entrare a far parte dello Star System di Hollywood e di imporsi come giovane regista di razza su cui puntare le proprie fiches. Un autentico terremoto culturale che non solo riplasmò il volto dell'industria cinematografica, inaugurando di fatto l'era del "blockbuster estivo" con tutto il suo corollario di marketing massivo e uscite a tappeto, ma scolpì anche un'impronta indelebile nell'immaginario collettivo, ridisegnando la percezione delle vacanze al mare e, più in profondità, la psicosi collettiva di fronte a un pericolo primordiale e invisibile.
Un gigantesco squalo minaccia i turisti di una località di villeggiatura, Amity Island, un'idilliaca cittadina costiera che vive di flussi turistici estivi, il cui sindaco, per bieco interesse economico, sottovaluta la minaccia con conseguenze tragiche. Il capo della polizia locale, l'eroe riluttante Martin Brody, uomo di terra afflitto da talassofobia, chiede l’aiuto di un biologo marino, il brillante e pragmatico Matt Hooper, e di un cacciatore di squali, il burbero e carismatico Quint, figura omerica la cui saggezza scaturisce da una vita passata tra le onde e da un passato marchiato dalla tragedia. Inizierà così un’epica battaglia tra il manipolo di audaci e il Leviatano nelle acque aperte dell’Oceano Atlantico, una vera e propria odissea marina che si trasforma in un confronto esistenziale tra l'uomo e la natura selvaggia, tra il progresso e l'istinto di sopravvivenza.
Dietro le quinte di quest'avventura nautica, la leggenda vuole che gran parte del genio del film sia nato dalla necessità. Bob Mattey, a cui furono affidati gli effetti speciali, costruì infatti tre squali meccanici per le riprese, soprannominati affettuosamente "Bruce" dal nome dell'avvocato di Spielberg: uno da utilizzare per le riprese subacquee e a fior d’acqua, uno per riprenderlo dalla barca sul lato destro e uno per il lato sinistro. Gli ultimi due avevano il corpo cavo per alloggiare i meccanismi idraulici che facevano muovere la testa mentre il primo li aveva all’interno del corpo ed era a tutti gli effetti simile ad un enorme robot. Va da sè che queste soluzioni fecero scuola e molti altri utilizzarono le soluzioni di Mattey. Tuttavia, il malfunzionamento quasi costante di questi animatronics nelle acque salate dell'Atlantico costrinse Spielberg a una scelta radicale: mostrare meno lo squalo e affidarsi di più alla suggestione, al punto di vista subacqueo, ai dettagli inquietanti e, soprattutto, alla colonna sonora. Questa "fortuna sfortunata" si rivelò la chiave del successo, perché fu proprio l'assenza, la minaccia intuita ma non ancora vista, a generare un terrore atavico e penetrante che nessun effetto speciale dell'epoca avrebbe potuto eguagliare.
Spielberg dal canto suo tesse la ragnatela di sequenze con consumato mestiere (nonostante la sua giovane età), dimostrando una padronanza della grammatica cinematografica degna dei maestri del passato. Costruendo, anche grazie ad un grande lavoro in sede di montaggio di Verna Fields – autentica "madre" del film, che con il suo ritmo serrato e la sua maestria nel cesellare la tensione diede al film la sua impronta inconfondibile – una storia che massacra i tempi morti e procede a ritmo serrato. La capacità di Spielberg di manipolare il ritmo narrativo, alternando momenti di quiete apparente a esplosioni di puro orrore, è magistrale. La suspense non è generata solo dagli attacchi dello squalo, ma dalla sua latenza, dalla sua presenza incombente, sottolineata in modo geniale dalla celeberrima partitura musicale di John Williams. Le due note ascendenti del violoncello, capaci di evocare la vicinanza della bestia senza mai mostrarla, sono diventate un archetipo sonoro del pericolo imminente, un vero e proprio personaggio aggiuntivo del film, tanto iconico quanto lo squalo stesso.
Notevole la perizia del regista nel realizzare le scene d’azione in alto mare dove gli attacchi dello squalo assumono un impatto visivo impressionante, grazie sia all’uso parsimonioso e quindi più efficace degli squali meccanici di Mattey sia all’abile mano che governa la cinepresa. La macchina da presa di Bill Butler si muove con fluidità e precisione, immergendoci nell'ansia dei personaggi, spesso con soggettive subacquee che riproducono il punto di vista del predatore, o con carrellate che amplificano la vastità e l'indifferenza dell'oceano. "Lo Squalo" non è solo un thriller mozzafiato, ma anche un'acuta indagine sulla natura umana di fronte alla paura: la negazione istituzionale, l'eroismo inaspettato, la saggezza dei pochi che osano sfidare l'ignoto. Un'opera che, a quasi mezzo secolo dalla sua uscita, continua a definire il genere, a spaventare intere generazioni e a dimostrare come la vera maestria cinematografica risieda nell'arte della suggestione, nella costruzione sapiente della tensione e nella capacità di toccare corde profonde dell'inconscio collettivo.
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